Dai commenti sui social cinesi emerge una visione dualistica del conflitto scoppiato in Europa. Da una parte c’è la contrarietà alla guerra, in generale. Dall’altra spicca l’insofferenza verso l’egemonismo occidentale e degli Stati Uniti in particolare

Durante la mia ormai quasi trentennale permanenza in Cina, di guerre che sono salite sulla ribalta dei media e all’attenzione dell’opinione pubblica cinesi ce ne sono state diverse. La prima che ricordo è quella nella ex-Jugoslavia. Si trattava di una guerra lontana per ovvie ragioni geografiche, ma che divenne d’un tratto tremendamente “vicina” all’indomani dello sciagurato bombardamento dell’ambasciata cinese a Belgrado da parte di missili Nato e in cui perirono tre giornalisti cinesi. La reazione diplomatica cinese fu stentorea e indignata definendo l’azione “barbarica e criminale”; quella popolare sfociò invece in violenti disordini che presero di mira ambasciate e consolati dei Paesi Nato a Pechino, Shanghai, Canton, Chengdu e altri centri del Paese. E quella fu anche la prima e ultima volta in cui mi sentii non propriamente al sicuro e a mio agio nel girare per le strade di Pechino.

La seconda guerra fu la “War on terror” con l’invasione delle forze della coalizione occidentale dapprima dell’Afghanistan nel 2001 e poi dell’Iraq nel 2003. Anche queste erano percepite da qui come guerre lontane (e da non combattere in quanto portate avanti non sotto l’egida dell’Onu), ma con l’estendersi temporale del conflitto e l’affiorare della crisi finanziaria ed economica del 2006, l’impatto sull’economia e la società cinese di questi distanti eventi iniziò a farsi sentire in modo preoccupante: fu forse questo il momento in cui la Cina ebbe modo di percepire per la prima volta sulla propria pelle gli effetti concatenati e avversi della globalizzazione. A seguire, al prosieguo dei conflitti in Iraq e in Afghanistan si aggiunsero quelli feroci in Libia e in Siria i quali, vista la perduranza, anche da queste parti divennero col passare del tempo parte del sottobosco informativo delle notizie che non fanno più notizia, e di cui si finisce per non parlare più.

Ma lo scorso febbraio l’invasione russa dell’Ucraina ha riportato prepotentemente la guerra sui media e i social media cinesi. E nel mio caso anche in conversazioni estemporanee con colleghi di lavoro. Il giorno dopo l’inizio del conflitto mi apprestavo infatti ad iniziare una riunione con il mio capo cinese e dopo essermi seduto davanti alla sua scrivania d’un tratto mi ha chiesto, guardandomi dritto negli occhi: «Come stai? Tutto bene?». «Sì, tutto bene» dico io, un po’ sorpreso dalla domanda.
«È appena scoppiata una guerra in Europa e volevo sapere come ti sentivi. Quanto dista l’Italia dall’Ucraina?». In tutta onestà devo ammettere che…

L’autore: Mauro Marescialli è laureato in Lingua e letteratura cinese e vive e lavora a Pechino da oltre 25 anni dove dirige MetaDesign. Ha da poco pubblicato per Orientalia ed. il libro Studi cinese?


L’inchiesta prosegue su Left del 25 marzo 2022 

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