Il 24 aprile gli sloveni si recheranno alle urne per rinnovare l’Assemblea nazionale. Gli aventi diritto sono circa 1,8 milioni ma è facile prevedere che quasi la metà di loro resterà a casa, secondo “tradizione”. Nonostante le turbolenze e i clamorosi rovesciamenti di fronte cui si assistito dall’ultima tornata elettorale del giugno del 2018, il governo guidato dal premier Janez Janša è arrivato a scadenza naturale.
Nel firmare il decreto con cui nel febbraio scorso aveva fissato la data delle consultazioni, il presidente della repubblica, Borut Pahor, aveva anche sottolineato che avrebbe conferito il mandato di formare il governo al politico in grado di assicurare i 46 voti necessari per la maggioranza assoluta «con le firme dei deputati a sostegno dell’esecutivo, anche se questo non è richiesto dalla Costituzione». In caso contrario, Pahor aveva spiegato che si sarebbe rivolto al partito di maggioranza relativa affinché si cercasse i voti in parlamento. Data la tradizionale frammentarietà del quadro politico sloveno è questo secondo scenario, allo stato, il più probabile. È questa considerazione che rende il futuro assetto politico sloveno quanto mai incerto.
La partita, stando agli ultimi sondaggi disponibili, sembra apertissima e il testa a testa tra i due partiti maggioritari nelle preferenze degli sloveni, giocata sul filo del punto percentuale. E se tra i due contendenti c’è, come sempre, il Partito democratico sloveno (Sds) di Janša – partito che rappresenta la destra populista e xenofoba vicina alle posizioni del premier ungherese Viktor Orban e al cosiddetto Gruppo di Visegrad -, a sorprendere è l’assenza del tradizionale rivale, il Partito socialdemocratico (Sd), in lento ma costante declino. A farne le veci, sul fronte sinistro (moderato) dello schieramento politico nazionale, è un gruppo nuovo di zecca, il Movimento Libertà (Gibanije Svoboda, Gs), guidato da Robert Golob, parvenu della politica ma che nel giro di pochissimi mesi è riuscito ad aggregare attorno a sé un consenso inaspettato.
Un movimento che a gennaio di quest’anno non esisteva e che oggi le ultime rilevazioni demoscopiche accreditano, invece, di un clamoroso 25%, solo un punto in meno dell’Sds. Piace, con ogni evidenza, il modello di uomo-azienda incarnato da Golep, ex manager del colosso della distribuzione elettro energetica Gen-I, mentre, di contro, la scintilla tra il paese e Janša non sembra essere mai scoccata veramente.
Saranno però i gruppi minori a fungere da vero ago della bilancia detto che nessun partito o coalizione raggiungerà la maggioranza assoluta e detto, anche, che Janša rischia di trovarsi a rivivere lo stesso scenario già vissuto nel 2018 quando, nonostante avesse ottenuto una maggioranza relativa schiacciante (25% contro il 13% di Lista Marjan Šarec-Lms) fu costretto a rinunciare all’incarico per l’incapacità di mettere insieme una coalizione di governo. Molti dei partiti di “seconda fascia” – dal punto di vista del consenso – afferiscono, infatti, al medesimo campo di riferimento – liberale e progressista – del movimento presieduto da Golep e potrebbero, all’indomani delle elezioni, consentirgli di conquistare la poltrona di primo ministro, indipendentemente dal fatto che il Movimento Libertà risulti effettivamente il più votato domenica prossima. Sempre che si riesca a trovare la quadra, vincendo quella connaturata tendenza all’autoreferenzialità che ha impedito di trovare un accordo programmatico già prima delle elezioni.
Il riferimento è al già citato moribondo Partito Socialdemocratico (crollato nuovamente intorno all’8% dopo una breve parentesi in cui sembrava in ripresa) e alla Lms, movimento fondato da Marjan Šarec, predecessore di Janša alla guida del paese, prima del suo “suicidio politico” nel gennaio del 2020. Proprio la Lms, secondo le ultime rilevazioni, sta danzando sulla fatidica soglia del 4% – quella necessaria per entrare in parlamento – e all’orizzonte potrebbe addirittura profilarsi un’esclusione che avrebbe del clamoroso. Alla vigilia, al contrario, non sembra possibile alcuna intesa con Levica, il partito di sinistra radicale accredito dai sondaggi di un misero 6%, sempre più isolato nel panorama politico nazionale anche in ragione delle scelte pro-Putin manifestate nelle scorse settimane. Difficile un accordo con loro anche in considerazione del fatto che Levica, già al governo con LMS, fu tra le cause della caduta del governo Šarec. Tra i partiti di governo solo Nuova Slovenia (N.Si) sembra certa di poter superare lo sbarramento con un consenso stimato intorno al 7%, mentre fuori dai giochi è il Partito Democratico dei Pensionati (DeSUS), ormai residuale nelle preferenze.
In un contesto in cui il tutto si giocherà sul filo del singolo voto, un piccolo vantaggio per Golep potrebbe essere rappresentato dalle sue origini goriziane. Fattore che potrebbe favorirlo nell’acquisizione dei due seggi che la legge elettorale prevede per i rappresentanti della minoranza italiana per i quali si è anche candidato il presidente della comunità italiana in Slovenia, Maurizio Tremul, fresco del recente endorsment della Lega dei cattolici comunisti istriani.
L’Europa è ovviamente spettatrice interessata e c’è da giurare che la maggior parte delle cancellerie continentali speri in un cambiamento radicale di governo. Le posizioni populiste e anti-migratorie sostenute dall’esecutivo di Janša, unitamente alle politiche illiberali e persecutorie portate avanti nei confronti dei media nazionali e al sostanziale euroscetticismo dell’attuale primo ministro, hanno provocato più di un mal di pancia a Bruxelles. Non un dettaglio visto che proprio dall’Europa sono in arrivo i dieci miliardi previsti dal Recovery fund.