In tanti si chiedono, giustamente, come sia possibile che passino inosservati i segni della patologia che è alla base di un infanticidio. Perché, purtroppo, manca una vera prevenzione oltre che una ricerca sulle cause, sulle dinamiche patologiche e sulla eziopatogenesi

Nel pesante bilancio delle morti in famiglia dei giorni scorsi grava come un macigno la tragedia della piccola Elena, uccisa brutalmente a neanche cinque anni, in un piccolo centro del catanese, dalla giovanissima madre. E se è vero dei femminicidi che, sempre accanto alle ragioni culturali che innegabilmente li accomunano tutti, esiste la varietà delle dinamiche di rapporti umani malati, il figlicidio ribalta completamente la gerarchia dei fattori in gioco, chiamando immediatamente in causa la drammatica assenza dell’amore materno, un amore che si dà per scontato non debba, non possa mai mancare, come fosse istinto animale tramandato dal codice genetico.

La maternità è invece rapporto umano profondo, perché il neonato prima, il bambino poi, non hanno solo bisogni animali, hanno un’identità umana che esige di svilupparsi trovando conferme nel confronto con gli altri esseri umani: è questo il senso della nostra lunga dipendenza dall’altro, così lontana dalla quasi istantanea autonomia degli altri mammiferi. Dipendenza alla quale il bambino si lascia andare felice, finché può. Lo si vede bene dalla corsa di Elena tra le braccia della mamma arrivata a prenderla all’asilo, ripresa dalle telecamere e rimbalzata ovunque, nell’era dei social. Stando alle cronache Martina Patti, la madre ventitreenne, aveva già in mente l’orrendo piano che avrebbe messo in atto subito dopo: pare lo studiasse da tempo, tanto che gli inquirenti le imputerebbero anche la premeditazione. Di certo, malgrado i media abbiano riportato dichiarazioni della donna secondo le quali si sarebbe sentita come «posseduta» mentre agiva, l’intenzionalità di uccidere la bambina è maturata nel tempo e la sempre inverosimile teoria del raptus in questo caso non si è neanche ventilata. C’erano dei segnali di forte malessere: la nonna paterna avrebbe riferito episodi di gravi maltrattamenti della madre nei confronti della piccola Elena ma, come accade quasi sempre, nessuno ne ha colto il potenziale di devastante violenza. Giustamente si chiede a gran voce – come ha fatto Lucia Ercoli, coordinatrice dell’Osservatorio nazionale sui minori vulnerabili – un cambio di passo sulla tutela dei minori, così trascurata nel nostro Paese, stanziamento di fondi che possano aumentare le “sentinelle” capaci di intercettare il disagio
familiare. Ma la domanda più urgente, quella che purtroppo ci si pone sempre a posteriori, è come sia possibile che…

L’articolo prosegue su Left del 24 giugno 2022 

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