L’Italia ha una legge sulla cittadinanza incivile, del tutto inadeguata alle trasformazioni avvenute nella società e nella composizione demografica. Lo ius scholae è una misura modesta ma sarebbe un primo elementare segnale di civiltà

L’Italia ha una norma sulla cittadinanza – la legge 91/1992 – vecchia ormai di trent’anni che si distingue per miopia e insipienza nell’ambito dell’Unione europea: non solo perché nega il diritto legato al luogo di nascita, ma perché prevede misure straordinariamente restrittive in materia di residenza e tempistiche straordinariamente lunghe perché i minori possano ottenere la cittadinanza al compimento del diciottesimo anno di età.

Nel XXI secolo nessuna maggioranza parlamentare ha manifestato una vera volontà di modificarla nel senso dell’inclusione, dell’integrazione e dei diritti; l’unico tentativo intrapreso, nel 2015, è naufragato in Senato. A oggi, bambine e bambini, ragazzi e ragazze nonché adulti residenti di lungo periodo restano impietosamente esclusi dalla categoria di cittadino, ovvero dall’unica che rende titolari di pieni diritti.

L’Italia ha una legge sulla cittadinanza letteralmente incivile, perché del tutto inadeguata alle trasformazioni avvenute tanto nella società e nella composizione demografica del Paese quanto nel mondo intero. In coincidenza con la fine dell’anno scolastico 2021/22, la comunità educante ha avviato una mobilitazione perché questa legislatura approvi una riforma che almeno cominci a rispecchiare questi cambiamenti e a rispondere alle esigenze, alle sfide e anche alle opportunità che essi determinano e propongono. Il movimento parte dalle scuole, perché la legge sulla cittadinanza attualmente in vigore ha un impatto terrificante sulla comunità scolastica che si è creata in questi ultimi tre decenni, quella che è il nostro presente e a maggior ragione il nostro futuro: lascia infatti oltre 877mila minori, nati e/o cresciuti in Italia in una condizione di svantaggio rispetto ai coetanei in possesso della cittadinanza.

Nella scuola pubblica la diversità è un arricchimento che produce rapporti paritari, uguaglianza, emancipazione. Le pratiche virtuose della scuola pubblica dovrebbero trovare finalmente, in questa legislatura, una traduzione giuridica che inneschi un analogo arricchimento in tutta la società. Nella scuola si creano reti di rapporti interpersonali tra docenti, genitori, studenti e studentesse, ed è questa comunità che chiede di approvare una riforma della cittadinanza che sia a tutela dell’interesse dei e delle minori e a beneficio della convivenza e della salute del patto che tiene insieme la società italiana. Negare diritti, frammentarli, differenziarli significa, al contrario, gettare le basi di disuguaglianze, discriminazioni, gerarchie formali e informali.

Oggi, i minori stranieri scolarizzati in Italia sono esclusi, tra le altre cose, da percorsi ed esperienze scolastiche importanti (come gite di classe all’estero, scambi europei ed extraeuropei alla secondaria di secondo grado) e gli ostacoli sono se possibile ancora più alti al momento di passare all’università: impossibile immatricolarsi in quota studenti italiani, impossibile partecipare a…

Gli autori: Costanza Margiotta e Filippo Benfante fanno parte del movimento Priorità alla scuola

L’articolo prosegue su Left del 24 giugno 2022 

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