«L’America è tornata indietro di 50 anni” è la sostanza di quello che leggiamo in questi giorni sui giornali. Indietro a prima della sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti del 1973 “Roe vs Wade”, quando una donna texana (il cui nome di fantasia era Roe), abusata da un marito alcolista e violento, sposata a 16 anni, madre di due bambini e già vittima di violenza sessuale, assistita da un gruppo di avvocate vinse contro lo stato del Texas rappresentato dall’avvocato Wade. Quella sentenza (arrivata dopo tre anni) riconosceva il diritto all’aborto anche in assenza di problemi di salute della donna e del feto e si rifaceva al 14esimo emendamento della Costituzione che riconosce il diritto alla privacy e alla libera scelta per ciò che attiene alla sfera più intima dell’individuo. Permetteva inoltre l’intervento fino a quando il feto può sopravvivere al di fuori dell’utero materno.
Gli Usa non hanno una legge federale valida per tutti gli Stati e quindi il ribaltamento della storica sentenza del ’73 nei giorni scorsi, ad opera della Corte Suprema ora a maggioranza conservatrice (repubblicana), lascia liberi gli Stati di adottare le norme che vogliono. Almeno in 26 Stati abortire sarà illegittimo totalmente o parzialmente, con norme più restrittive e punitive; risultato per cui gli aggressivi movimenti pro-vita si sono adoperati in tutti questi anni. Quello che sta già succedendo e che succederà a breve è che un numero impressionante di donne in età fertile negli Usa (da 36 a 40 milioni di donne secondo le diverse stime) verrà privato della possibilità di ricorrere alla volontaria interruzione di gravidanza, se necessaria, in quanto vive in Stati che sono contrari all’aborto. Oppure verrà obbligata a…
* L’autrice: Irene Calesini è psichiatra, psicologa clinica e psicoterapeuta, si occupa da anni di vittime di violenza domestica e collabora con la Scuola di psicoterapia dinamica Bios Psychè
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