La tragedia della Marmolada è una ferita aperta in primis per le vite umane perdute. Qualcuno dice che non si sarebbe potuta prevedere. Ma non possiamo negare che non si è voluto vedere cosa stava e sta accadendo: i ghiacciai alpini che ogni anno si ritirano mediamente di 30 metri, la lenta agonia delle montagne, il troppo caldo in quota (i dieci gradi registrati anche nel giorno della sciagura significano che il permafrost se ne va e sotto il ghiaccio si formano veri e propri fiumi d’acqua che portano via tutto). Non si è potuto/voluto vedere che questo fenomeno andava avanti da tempo. «Non deve accadere più», ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi, «dobbiamo prendere provvedimenti». Ma intanto, rispondendo in maniera regressiva alla crisi energetica innescata dall’invasione di Putin all’Ucraina, il governo di larghe intese programma la riapertura delle centrali a carbone, trivelle nell’Adriatico e va a caccia di fonti fossili stipulando accordi con Stati che sono altrettanto dittatoriali della Russia. Tristemente, non ci si rende conto che serve una radicale inversione di marcia. Nei modi di produzione, nelle politiche, negli stili di vita, come scrivono gli attivisti di Extinction rebellion, su questo numero di Left. E non basta agire a livello nazionale, come spiegano il diplomatico Grammenos Mastrojeni e il fisico Antonello Pasini, autori del libro Effetto serra, effetto guerra (Chiarelettere) che hanno collaborato al nostro dossier. I cambiamenti climatici generano conflitti, esodi biblici. Ma al tempo stesso la guerra, e quella che si sta consumando nel cuore dell’Europa in modo particolare, ha scatenato la guerra del gas, del petrolio, delle materie prime, oggetto oggi più che mai di grandissime speculazioni. Se l’aggressione all’Ucraina è stata feroce, pessima è stata la risposta da parte dei governi occidentali pronti a inviare armi, ma non altrettanto solleciti nell’applicare con coerenza sanzioni alla Russia e investire su rinnovabili e fonti alternative. La stessa Europa che nel bene e nel male ha cercato una risposta complessiva al covid (mettendo in comune il debito e investendo massicciamente sulla ricerca di vaccini) sulla questione energetica e della lotta al climate change non ha ancora preso provvedimenti sistematici e incisivi. Ogni Stato fa per sé, procedendo in ordine sparso, con la Francia che investe sul nucleare e la Germania che riapre le centrali a carbone. Non rendendosi conto che i fenomeni climatici estremi vanno aumentando e che serve un approccio globale come denunciano da tempo i ragazzi dei Fridays for future. Per farsene un’idea basta anche solo ripercorre le notizie dei mesi scorsi: a marzo i poli Nord e Sud hanno registrato temperature record. E un’ondata di calore ha colpito molte parti del mondo. A Delhi, nel mese di maggio, facevano già 49 gradi. Quello che di solito era il picco dell’estate ora è la nuova normalità. Studi scientifici ci dicono che la megalopoli ha perso il 50-60% delle sue zone umide e dell’ecosistema naturale che aiutava a moderare le temperature. E nemmeno la tradizionale fuga dal caldo insopportabile della città verso la montagna offre più tregua. La feroce siccità che l’India sta vivendo porta con sé la distruzione dei raccolti (del grano in modo particolare), ma porte anche un aumento notevolissimo dei consumi energetici per il massiccio e impattante uso di condizionatori. Va detto che gli effetti di questa situazione non colpiscono tutti allo stesso modo. A soffrire di più di queste ondate di calore sono soprattutto i più poveri che vivono in case affollate e prive di climatizzatori, costretti a fare lavori di fatica avvolti in una bolla di calore che non lascia scampo. E non è un problema che riguarda solo il continente indiano. Gli effetti del climate change si fanno sentire anche negli Usa, dalla Florida alla Louisiana, dal Mississippi al Kansas, dal Missouri al Minnesota e oltre. Le morti a causa del calore sono in aumento anche da questa parte del mondo. Tante altre volte abbiamo parlato - e torneremo a farlo - degli effetti devastanti del climate change sul grande continente africano, che sta già provocando desertificazioni e esodi di massa, soprattutto interni al continente, creando conflitti. Il recente rapporto dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite) torna a ribadire che queste temperature da record non sono un evento naturale. Sono largamente determinate dall’influenza umana sul clima. Dobbiamo fermarci prima che sia troppo tardi.
L'editoriale è tratto da Left dell'8-14 luglio 2022 
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La tragedia della Marmolada è una ferita aperta in primis per le vite umane perdute. Qualcuno dice che non si sarebbe potuta prevedere. Ma non possiamo negare che non si è voluto vedere cosa stava e sta accadendo: i ghiacciai alpini che ogni anno si ritirano mediamente di 30 metri, la lenta agonia delle montagne, il troppo caldo in quota (i dieci gradi registrati anche nel giorno della sciagura significano che il permafrost se ne va e sotto il ghiaccio si formano veri e propri fiumi d’acqua che portano via tutto).

Non si è potuto/voluto vedere che questo fenomeno andava avanti da tempo. «Non deve accadere più», ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi, «dobbiamo prendere provvedimenti». Ma intanto, rispondendo in maniera regressiva alla crisi energetica innescata dall’invasione di Putin all’Ucraina, il governo di larghe intese programma la riapertura delle centrali a carbone, trivelle nell’Adriatico e va a caccia di fonti fossili stipulando accordi con Stati che sono altrettanto dittatoriali della Russia. Tristemente, non ci si rende conto che serve una radicale inversione di marcia. Nei modi di produzione, nelle politiche, negli stili di vita, come scrivono gli attivisti di Extinction rebellion, su questo numero di Left. E non basta agire a livello nazionale, come spiegano il diplomatico Grammenos Mastrojeni e il fisico Antonello Pasini, autori del libro Effetto serra, effetto guerra (Chiarelettere) che hanno collaborato al nostro dossier. I cambiamenti climatici generano conflitti, esodi biblici.

Ma al tempo stesso la guerra, e quella che si sta consumando nel cuore dell’Europa in modo particolare, ha scatenato la guerra del gas, del petrolio, delle materie prime, oggetto oggi più che mai di grandissime speculazioni. Se l’aggressione all’Ucraina è stata feroce, pessima è stata la risposta da parte dei governi occidentali pronti a inviare armi, ma non altrettanto solleciti nell’applicare con coerenza sanzioni alla Russia e investire su rinnovabili e fonti alternative. La stessa Europa che nel bene e nel male ha cercato una risposta complessiva al covid (mettendo in comune il debito e investendo massicciamente sulla ricerca di vaccini) sulla questione energetica e della lotta al climate change non ha ancora preso provvedimenti sistematici e incisivi. Ogni Stato fa per sé, procedendo in ordine sparso, con la Francia che investe sul nucleare e la Germania che riapre le centrali a carbone. Non rendendosi conto che i fenomeni climatici estremi vanno aumentando e che serve un approccio globale come denunciano da tempo i ragazzi dei Fridays for future. Per farsene un’idea basta anche solo ripercorre le notizie dei mesi scorsi: a marzo i poli Nord e Sud hanno registrato temperature record. E un’ondata di calore ha colpito molte parti del mondo.

A Delhi, nel mese di maggio, facevano già 49 gradi. Quello che di solito era il picco dell’estate ora è la nuova normalità. Studi scientifici ci dicono che la megalopoli ha perso il 50-60% delle sue zone umide e dell’ecosistema naturale che aiutava a moderare le temperature. E nemmeno la tradizionale fuga dal caldo insopportabile della città verso la montagna offre più tregua. La feroce siccità che l’India sta vivendo porta con sé la distruzione dei raccolti (del grano in modo particolare), ma porte anche un aumento notevolissimo dei consumi energetici per il massiccio e impattante uso di condizionatori. Va detto che gli effetti di questa situazione non colpiscono tutti allo stesso modo. A soffrire di più di queste ondate di calore sono soprattutto i più poveri che vivono in case affollate e prive di climatizzatori, costretti a fare lavori di fatica avvolti in una bolla di calore che non lascia scampo. E non è un problema che riguarda solo il continente indiano.

Gli effetti del climate change si fanno sentire anche negli Usa, dalla Florida alla Louisiana, dal Mississippi al Kansas, dal Missouri al Minnesota e oltre. Le morti a causa del calore sono in aumento anche da questa parte del mondo. Tante altre volte abbiamo parlato – e torneremo a farlo – degli effetti devastanti del climate change sul grande continente africano, che sta già provocando desertificazioni e esodi di massa, soprattutto interni al continente, creando conflitti. Il recente rapporto dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite) torna a ribadire che queste temperature da record non sono un evento naturale. Sono largamente determinate dall’influenza umana sul clima. Dobbiamo fermarci prima che sia troppo tardi.

L’editoriale è tratto da Left dell’8-14 luglio 2022 

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Direttore responsabile di Left. Ho lavorato in giornali di diverso orientamento, da Liberazione a La Nazione, scrivendo di letteratura e arte. Nella redazione di Avvenimenti dal 2002 e dal 2006 a Left occupandomi di cultura e scienza, prima come caposervizio, poi come caporedattore.