A pochi mesi dalle elezioni presidenziali la campagna elettorale entra nel vivo e segna uno storico punto di svolta. Distinguendosi nettamente dai partiti tradizionali, i movimenti sociali, inclusi quelli dei nativi, si affidano alle donne

Secondo l’Istituto brasiliano di geografia e statistica (Ibge), più della metà della popolazione brasiliana (51,13%) è costituita da donne che rappresentano il 53% dell’elettorato ma che, tuttavia, oggi occupano meno del 15% delle cariche elettive. Per trovare il Brasile nel Global gender gap report 2021 (rapporto del World economic forum), si devono scorrere 107 paesi su 156, a dimostrazione di un retrocesso storico che impedì, stroncò o sminuì la traiettoria politica di donne brillanti. 

Gran parte di questa arretratezza si deve al rifiuto e all’incapacità dei partiti di schierare o sostenere le candidature femminili. La politica ha messo in campo modalità a volte fantasiose nel tentivo di minare ogni sforzo istituzionale volto a colmare il divario tra uomini e donne nella rappresentanza politica.

Per legge i partiti dovrebbero schierare almeno il 30% di candidature femminili e a loro destinare un’identica proporzione di finanziamento pubblico (Fundo eleitoral). Ad esempio, se una sigla di uno schieramento candida il 50% di donne, queste avranno diritto a 50% del finanziamento statale per promuovere la loro piattaforma politica. Benché questo meccanismo sia regolato dalla legge, secondo i dati pubblicati dal Tribunal superior eleitoral (Tse), nelle presidenziali del 2018, in cui l’intero parlamento venne rinnovato, oltre la metà dei partiti del Paese erogò…

L’articolo è tratto da Left del 22-28 luglio 2022 

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