In Francia si punta ad abolire le rotte aeree brevi a favore della mobilità ferroviaria. In Spagna verrano rimborsati gli abbonamenti per il treno. In Germania sono stati calmierati a 9 euro. Da noi nulla. Anzi, «Intercity e regionali specie nel Sud Italia hanno subito tagli ingenti, con conseguenze gravi su economia e turismo» denuncia Edoardo Zanchini, curatore del report "Pendolaria" di Legambiente

Il periodo delle vacanze estive e dei viaggi è ormai arrivato e secondo un’indagine dell’Istituto Demoskopika in Italia si conteranno 343 milioni di presenze e 92 milioni di arrivi. Una moltitudine di turisti che utilizzerà ogni tipo di mezzo di locomozione per muoversi fra le nostre mete turistiche: macchine, aerei, navi, treni. Ma quale tra questi vettori è il più ecologico per affrontare una vacanza sostenibile? Presto detto: secondo un report del 2021 dell’Agenzia europea dell’ambiente (Aea), il treno emette, per passeggero ospitato, quasi cinque volte meno CO2 rispetto al trasporto aereo, 4,3 volte meno rispetto a un’autovettura privata e 2,4 meno volte rispetto agli autobus. Stando al dossier Transport and environment 2020, sempre pubblicato da Aea, nel 2018 i trasporti hanno rappresentato 25% delle emissioni di gas a effetto serra dell’Unione europea. Di questo 25% poco meno di tre quarti è causato dal trasporto su strada, mentre il restante quarto viene diviso tra il trasporto marittimo e aereo con rispettivamente la quota del 14% e del 13% delle emissioni di CO2. Quello su rotaia invece copre solo lo 0,4% del totale della CO2 emessa da tutti i trasporti.

Potenziando la locomotiva ai danni dei restanti mezzi di trasporto, dunque, il guadagno ecologico sarebbe notevole. In questa direzione si sta muovendo già da un anno un Paese europeo a noi vicino, la Francia, che ha presentato e approvato un disegno di legge per abolire alcuni collegamenti aerei sulle rotte domestiche brevi, a favore dei collegamenti ferroviari. Mentre la Spagna rimborserà il 100% dell’importo degli abbonamenti ferroviari relativi a linee controllate dallo Stato acquistati fino a dicembre 2022 e la Germania ha calmierato i prezzi degli abbonamenti per i treni a 9 euro mensili fino ad agosto. Una scelta pragmatica visto i costi dell’energia causati dalle speculazioni e dall’invasione russa ai danni dell’Ucraina e gli evidenti effetti del cambiamento climatico sui territori dell’Unione europea.

E l’Italia? A che punto è in questa transizione verso un trasporto più sostenibile? Per Edoardo Zanchini, curatore per Legambiente di Pendolaria, la storica campagna della associazione ambientalista dedicata ai treni, siamo a un punto di svolta anche grazie ai soldi messi in campo dall’Europa. Nell’ultimo report annuale di Pendolaria si sviscerano gli investimenti proposti.

L’Europa, con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e la Terza missione del suo statuto “Infrastrutture per una mobilità sostenibile” impegna risorse pari a circa 26 miliardi di euro nel rafforzamento e nell’ammodernamento della nostra rete ferroviaria. Di questi soldi, 13 miliardi sono destinati all’apertura di nuovi collegamenti ad alta velocità, quasi un miliardo per il potenziamento di alcune linee regionali, 2,4 miliardi per il potenziamento e l’elettrificazione delle linee ferroviarie al Sud e un miliardo per la sperimentazione dei treni ad idrogeno e la sostituzione dei treni diesel con treni ad emissioni zero.

Il problema per Zanchini però non è il futuro, ma il passato. «Tra il 2011 e 2012 c’è stato un taglio del 40% delle risorse per le tratte ferroviarie. Oggi, e parlo soprattutto dei treni intercity e regionali nel sud Italia, i treni sono meno di dieci anni fa. Questo è un grosso problema non solo per i cittadini, ma anche per il turismo di queste zone».

Nel report si denuncia il drammatico divario fra Nord e Sud e isole del nostro Paese (con l’unica eccezione della regione Puglia) in fatto di trasporti su rotaia. Per dare un’idea delle differenze che esistono, le corse dei treni regionali in tutta la Sicilia sono, ogni giorno, 494 contro le 2.150 della Lombardia. Muoversi al Sud con un treno da una città all’altra, su percorsi sia brevi che lunghi, può portare a viaggi di ore, in vagoni carichi come carri bestiame e all’interno di treni vecchi e soggetti a guasti frequenti.

Una condizione di progressivo abbandono che determina gravi conseguenze sull’economia e il turismo. All’interno del report Pendolaria si fanno anche alcuni esempi: la tratta Napoli-Bari che ancora non possiede un collegamento diretto, o la Cosenza-Crotone dove si impiegano 2 ore 39 minuti per percorrere soli 115 chilometri. In Sicilia la situazione pare ancora più critica con solo tre collegamenti al giorno garantiti sulla tratta Ragusa-Palermo con 4 ore e 23 minuti di percorrenza media. È evidente che un qualsiasi turista, anche il più accorto in termini di sostenibilità ambientale, viene scoraggiato da simili difficoltà di movimento. Proprio per questo, la maggior parte dei viaggiatori stranieri prediligono come mete le città d’arte o le regioni come il Veneto, iper collegate con treni, aeroporti e tranvie.

Che impatto potrebbero avere, in questo scenario, gli investimenti del Pnrr, anche nell’ottica di dare una spinta al turismo nel Sud Italia? Secondo Zanchini potrebbero non bastare. «Per valorizzare le ricchezze turistiche del nostro meridione non serve solo colmare il vuoto infrastrutturale, ma serve un’offerta di servizio. Si ragiona sulle ferrovie solo come cantieri e infrastrutture, ma si deve pensare più in grande. Ci vorrebbe un piano ragionato per collegare le varie mete tra loro. Quanti treni mettere, come collegare le stazioni alle spiagge e ai siti archeologici, o aggiungere delle piste ciclabili per facilitare gli spostamenti».

Questa scarsa attenzione nella progettazione denunciata da Zanchini ha portato dal 2009 ad una diminuzione del 47% dei passeggeri dei treni intercity, nonostante l’incremento complessivo dei passeggeri sulle tratte nazionali. Nel frattempo aumentavano invece gli investimenti su strade e autostrade, tanto da intercettare, secondo il Conto nazionale dei trasporti (redatto dal governo, ndr) il 60% del totale speso per le infrastrutture. Nelle regioni meridionali economicamente dissestate i treni intercity e regionali, che sono finanziati in larga parte dallo Stato, hanno infatti finora pagato lo scotto della spending review e di una cultura del mercato che ha reso la gomma e l’alta velocità le uniche pratiche di movimento possibili.

Un’idea sbagliata per Anna Donati, esperta di tutela del territorio e dei sistemi urbani di mobilità: «Esiste tutta una gamma di fruitori dei mezzi su rotaia che si spalma, qualora messa in condizione, su tutte le tipologie di treni esistenti. I nostri cittadini e i nostri turisti per vari motivi possono prediligere la velocità, la convenienza o la bellezza del paesaggio che il viaggio in treno propone. Basterebbe fare delle politiche tariffarie e dei servizi adeguati e automaticamente l’utente si muoverebbe in quella direzione».

Una fotografia di questa situazione ce la possono dare i dati estrapolati dal rapporto Pendolaria, che certificano una sostanziale diminuzione (registrata nel periodo dal 2011 al 2019) dei passeggeri nei treni nelle regioni fuori dalle grandi rotte dell’alta velocità e con redditi procapite inferiori, come la Campania (-43,9%), il Molise (-11%), l’Abruzzo (-19%), la Calabria (quasi -25%) e la Basilicata (-35%). Questo perché, dopo i tagli delle risorse alle regioni per il servizio di trasporto, le aziende che lo erogano hanno deciso di ridurre gli investimenti o rinviarli.

Secondo Anna Donati il nostro Paese non paga solo un ritardo negli investimenti rispetto agli altri Stati europei, ma anche un’arretratezza di pensiero. «In Italia non si è mai superato il concetto di grande opera con un grande investimento e un colossale impatto sulla popolazione. La verità è che queste opere, senza una rete infrastrutturale fatta da tutta una serie di piccoli interventi, sono cattedrali nel deserto».