Campo largo, alleanza del "cocomero", Unione popolare. A due mesi dalle elezioni politiche, facciamo il punto sul perimetro delle alleanze con cui si presenteranno le forze "progressiste"

La topologia politica della sinistra in vista delle elezioni del 25 settembre appare più che mai complessa. Il perimetro delle varie alleanze e delle coalizioni deve essere fissato entro il 22 agosto, ossia il termine in cui andranno consegnate le liste dei candidati. In attesa di questa scadenza abbiamo fatto una ricognizione sugli attuali equilibri, per provare a orientarci – insieme a chi legge – nel dedalo degli schieramenti.

Il Pd “argine alla Meloni” e le porte sbarrate al M5s
Il Partito democratico si presenta alle elezioni con uno schema di gioco piuttosto chiaro: comporre un grande rassemblement repubblicano capace di presentarsi come argine anti-Meloni. Ciò che è molto meno definita, però, è la formazione pronta a scendere nel cosiddetto Campo largo. Partiamo dall’unica certezza: il Movimento cinque stelle, a meno di svolte a questo punto piuttosto clamorose (ma comunque non impossibili), non ne farà parte. Il segretario del Pd Letta – il cui partito può contare secondo le ultime rilevazioni Agi YouTrend sul 23% circa dei consensi – è stato chiaro: la rottura con i 5S è «irreversibile», concetto ribadito a più riprese nei giorni scorsi. Per Letta la scelta dei pentastellati del 20 luglio scorso di non votare la fiducia al governo Draghi rappresenta una cesura netta nella storia di quello che è stato l’asse principale dell’alleanza giallorossa. Dal canto suo, in un’intervista rilasciata a Tpi, il presidente del M5s ha dichiarato che «un dialogo col Pd non lo escludiamo», precisando che «ci saranno le premesse solo se il Pd vorrà schierarsi a favore dei più deboli, del lavoro, dei più giovani, delle donne». Con una nota, il movimento ha però chiarito a stretto giro che non intendeva «riaprire alla possibilità di un’alleanza col Pd in questa campagna elettorale». Insomma le porte ai 5Stelle – quotati attualmente al 10% circa secondo i sondaggi – restano sbarrate e Conte ormai non vi bussa più con grande convinzione.

Calenda-Bonino, la calamita per i delusi del centrodestra
Se si guarda verso il centro, il percorso verso l’alleanza tra Pd e Azione / +Europa, due partiti alleati da alcuni mesi e guidati rispettivamente da Carlo Calenda ed Emma Bonino, sembra piuttosto in discesa. Calenda – che nel frattempo ha arruolato tra le sue fila le ministre Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna, in uscita dal Forza Italia – dovrebbe sciogliere la riserva sull’intesa coi dem entro l’inizio della prossima settimana. Secondo un retroscena del Corriere, il leader di Azione avrebbe commissionato un sondaggio che premia la scelta dell’unità coi dem. Una scelta su cui i quadri di +Europa sembra non abbiano dubbi. A differenza dell’ala sinistra dei vertici del Nazareno, che sottolineano – senza però dirlo a voce troppo alta – la difficoltà di amalgamare le posizioni liberiste di Calenda con l’urgenza di proteggere le classi più vulnerabili e di mettere al centro delle politiche della nuova legislatura il lavoro e i servizi pubblici. Un altro ostacolo all’intesa tra Calenda e i dem è poi rappresentato dal ruolo che il leader di Azione avrà in questa campagna elettorale e poi nel futuro politico del Campo largo: uno da comprimario, al pari di Fratoianni di Sinistra italiana o di Di Maio di Insieme per il futuro, potrebbe stargli stretto, vista la dote di preferenze per il cartello Azione / +Europa – non certo straripante ma comunque importante in questo scenario – che si aggira intorno al 5% e soprattutto la capacità di Calenda di calamitare il voto dei moderati delusi dalla torsione populista e destrorsa di Forza Italia, una capacità che ingolosisce i dem.

Di Maio e le truppe dei “civici” a difesa del Campo largo
Certamente più sicuro pare essere il patto tra il Partito democratico e la nuova compagine capitanata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, Insieme per il futuro, nata in seguito alla scissione con i 5Stelle alla vigilia della caduta del governo Draghi. A sostenere la lista di Di Maio, una rete di sindaci e liste civiche dem di tutto il Paese. Tra i primi cittadini, in testa, ci sarebbero dovuti essere quello di Milano Beppe Sala e l’ex sindaco di Parma – e pure ex M5s come Di Maio – Federico Pizzarotti. Mentre il primo dei due sembra, pur senza particolare entusiasmo, aver concesso la sua benedizione alla lista, Pizzarotti ha invece deciso di dare vita ad una propria lista di “civici”. Si chiamerà “Lista civica nazionale” e sarà composta da «sindaci, amministratori locali, associazioni e promotori dei più vivaci e liberi progetti del territorio».

Il partito (sempre più) di Renzi corre da solo
E Renzi? Sebbene il leader di Italia viva abbia già annunciato che «correrà da solo» – «al momento assolutamente sì» ha dichiarato ai microfoni del Tg5 – Letta starebbe spingendo affinché il partito si allei con Azione. Tra le posizioni delle due forze politiche, d’altronde, sono molti i punti di convergenza. Ma, ad oltre otto anni dallo «stai sereno» con cui Renzi dissimulava le intenzioni poi realizzate di spodestare Letta da Palazzo Chigi, l’intesa tra i due leader sembra ancora complessa. Per ora, Renzi e i suoi puntano ad ottenere il 5% da soli, non a caso il titolo della prossima Leopolda che si terrà ad inizio settembre sarà “Dammi il cinque”. Una percentuale dalla quale, stando i sondaggi, Italia viva è ancora distante. I voti dei renziani, però, fanno comunque gola ai dem, specie quelli in regioni in cui Italia viva è particolarmente radicata, vedi la Toscana. Nel frattempo, Renzi ha presentato un nuovo simbolo per il partito in vista delle elezioni: una R rovesciata che sovrasta la scritta “Renzi” (grande) e “Italia viva” (piccola).

I rossoverdi che vorrebbero spostare a sinistra i dem
Se volgiamo lo sguardo a sinistra, Articolo uno, il partito guidato dal ministro della Salute Roberto Speranza, ha accettato senza esitazione di aderire al Campo largo. Mentre è ancora in corso una trattativa, che pare comunque abbia buone possibilità di andare a buon fine, con Nuove energie, il ticket tra Sinistra italiana di Nicola Fratoianni ed Europa verde di Angelo Bonelli ed Eleonora Evi. L’alleanza rosso-verde, presentatasi ad inizio luglio con una foto di gruppo dei partecipanti al lancio con una anguria in mano (che rappresenta il mix dei due colori simbolo dell’intesa), si è posta sin da subito come obiettivo un riequilibrio del futuro programma del Campo largo verso sinistra, mettendo al centro ecologismo, pacifismo e lotta alle disuguaglianze. Entrambe le forze, Sinistra italiana e Europa verde, avevano scelto di non sostenere il governo Draghi. Secondo i sondaggi potrebbero raccogliere il 4% circa dei consensi. «L’agenda di Calenda è assolutamente incompatibile con la storia politica democratica e verde di sinistra» ha dichiarato Angelo Bonelli nei giorni scorsi. «Col programma di Calenda non ho nulla a cui vedere», ha aggiunto Nicola Fratoianni, che ha insistito nel rivolgersi ai «principali protagonisti, Enrico Letta e Giuseppe Conte» perché «perché si ricostruisca un filo del dialogo». Filo che ormai, però, sembra spezzato. Da parte sua, Conte non sarebbe indifferente all’ipotesi di una alleanza coi rossoverdi, al fine di correre insieme a loro in proprio, all’esterno del Campo largo. Tra Conte e Fratoianni in questi giorni i contatti sarebbero stati serrati, e tutto ancora potrebbe succedere, ma al momento l’ipotesi di una coalizione “semaforo” rosso-giallo-verde sembra ancora complicata.

L’alternativa “à la francese” dell’Unione popolare
Con un chiaro riferimento al progetto politico di Jean-Luc Melenchon, che in Francia è riuscito a mettere in difficoltà il partito del presidente Macron alle scorse legislative, ad inizio luglio Rifondazione comunista, Potere al popolo e DeMa – guidati rispettivamente da Maurizio Acerbo, Giuliano Granato e Marta Collot, e Luigi De Magistris – si sono alleati nel progetto Unione popolare, in vista delle prossime politiche. “Mai col Pd” è stato sin da subito uno degli slogan della coalizione. «Vogliamo arruolare i non allineati, quelli che non stanno nel sistema, i rassegnati, gli arrabbiati, entusiasmare chi non ci crede più» aveva detto l’ex sindaco di Napoli ed ex magistrato De Magistris al lancio dell’iniziativa. Il progetto di Unione popolare si incardina in una prospettiva di sinistra radicale, che rinuncia agli inevitabili compromessi dei “rossoverdi”. La platea a cui Unione popolare si rivolge è «il fronte dei non allineati», ha dichiarato De Magistris a Repubblica: «Ci sono i pacifisti non rappresentati, gli ambientalisti non rappresentati, la sinistra non rappresentata, i delusi delle involuzioni dei 5 stelle, gli astenuti». Sebbene il progetto si rivolga dichiaratamente a chi non ha apprezzato le giravolte del M5s, lo stesso movimento di Conte è stato corteggiato da Rifondazione e da De Magistris, la cui elezione all’Europarlamento nel 2009 nelle liste dell’Italia dei valori ebbe peraltro la benedizione di Beppe Grillo. «Il punto di contatto è quello che ha detto Di Battista – ha detto ancora l’ex magistrato a Repubblica – cioè vedere se ci sono le condizioni per riportare l’M5s alle origini. A me questa operazione può interessare». Sembra però interessare meno a Potere al popolo, più scettica nell’aprire le porte al partito che ha governato con Salvini e Draghi e approvato i decreti Sicurezza.

La proposta di coalizione tra gli anticapitalisti radicali
Nel frattempo, il Partito comunista dei lavoratori di Marco Ferrando ha lanciato una proposta, intitolata “Per una presenza di classe, anticapitalista e internazionalista alle elezioni politiche” e indirizzata a: Fronte della gioventù comunista, Sinistra anticapitalista, Sinistra classe Rivoluzione, Tendenza internazionalista rivoluzionaria. Nel documento si tiene conto delle differenze tra queste forze politiche, ma si sottolinea che esse convivono «con alcuni elementi comuni: la centralità del riferimento di classe, l’anticapitalismo e non il semplice “antiliberismo”, il richiamo all’internazionalismo contro ogni forma di sovranismo». Nei confronti dell’Unione popolare il documento non risparmia critiche: «Prc e Pap – si legge – si prostrano ai piedi di De Magistris, che cerca di costruire il proprio partito personale usando la loro manovalanza. L’Unione popolare è il vecchio canovaccio delle liste civiche di tradizione Ingroia».

Ingroia e l’ammucchiata poco “rossa” e molto “bruna”
Nel frattempo proprio Antonio Ingroia – ex magistrato e leader della sinistra alle politiche del 2013 – con la sua Azione civile ha deciso di correre per le politiche all’interno di una coalizione composta da Partito comunista (la formazione di Marco Rizzo), Patria socialista, Ancora Italia, Riconquistare l’Italia e molti altri soggetti cosiddetti antisistema. Il contenitore si chiamerà “Italia sovrana e popolare” e unisce lotte diverse tra loro, da quella contro l’Euro a quella contro il green pass e l’obbligo vaccinale. Trait d’union, una lettura rossobruna del mondo, che unisce elementi di “sinistra” ad altri di destra anche estrema. A loro potrebbero unirsi forse i transfughi dal 5S di Alternativa e Italexit di Gianluigi Paragone, quotata intorno al 2,8%. Tra i sostenitori della lista anche Francesca Donato, ex leghista nota per le sue sparate contro i migranti, contro la “dittatura sanitaria” e contro le sanzioni a Vladimir Putin.