Le Monde l’ha chiamata “diplomazia dei montoni”. Prima la tregua che Ousmane Sonko, leader senegalese del partito di opposizione ha annunciato alla stampa il 30 giugno scorso, in virtù della festa religiosa della Tabaski e dello svolgimento degli esami scolastici, poi il regalo dei tre animali di razza che la Francia ha fatto recapitare il 6 luglio scorso al Ministro senegalese dell’allevamento. La festa del sacrificio è una delle più importanti ricorrenze della religione islamica e quest’anno è stata celebrata tra il 9 e il 10 luglio. In Senegal questa festa prende il nome di Tabaski. Le famiglie si riuniscono dopo la preghiera, il Paese si ferma per giorni.
Le manifestazioni rischiavano di rovinare una delle feste più sentite dell’anno, così come gli affari a essa collegati, vendita dei montoni in primis. Le tensioni però restano, il Paese è diviso. Le discussioni in strada e sui taxi sono ovunque animate e accese, in vista delle elezioni legislative del 31 luglio.
La coalizione di opposizione Yewwi askan wi, guidata dal leader del partito Pastef, Ousmane Sonko, ha indetto già diverse manifestazioni dopo che a maggio si è vista rigettare la richiesta di partecipare con la propria lista al turno elettorale, per non aver rispettato la legge sulla parità di genere negli organi elettivi e semi elettivi del 2010.
Il Paese, considerato un’isola di stabilità in Africa occidentale, aveva già conosciuto gravi tensioni nel marzo del 2021 quando, dopo l’arresto dello stesso Sonko per “disturbo dell’ordine pubblico” mentre si recava in tribunale per rispondere delle accuse di stupro, mosse contro di lui da una dipendente di un salone di bellezza, si sono contati quattro morti negli scontri con le forze di polizia.
«Se il governo deciderà di eliminare la lista di Yewwi askan wi dalle elezioni legislative, allora in Senegal non ci saranno elezioni» aveva tuonato Sonko durante la prima manifestazione del 8 giugno, a cui ne è seguita un’altra il 17 giugno, ancora più affollata. Molto rumorosa e partecipata anche l’iniziativa delle casseroles (“pentolata”), annunciata per tutti i mercoledì alle 20. Ci ritroviamo nelle vie di una delle periferie di Dakar più dense e problematiche, Guédiawaye, mentre è in corso la prima protesta. Moltissimi giovani scendono in strada, urlando e agitando coperchi e battendo con mestoli di legno su pentole. Per lo più maschi, alcuni giovanissimi, bloccano il traffico, accerchiano le auto e quando ci vedono riprendere si avvicinano per gridare la loro rabbia e determinazione urlando «siamo stanchi, vogliamo un cambiamento subito!».
Un ragazzo su un motorino arriva apparentemente non contento delle foto e delle riprese, ma poi ci ferma e intona rappando in wolof un canto di protesta. Yewwi askan wi, il nome scelto per la lista di coalizione significa “liberare il popolo” in wolof, ed è composta oltre che dal partito di Sonko anche da Wallu Sénégal, dell’ex presidente Abdoulaye Wade. Il malcontento è generale e, nonostante il Paese sia apparentemente in forte espansione (dal 2014 ha conosciuto tassi di crescita del 6%), le disuguaglianze aumentano e il livello dei servizi peggiora di anno in anno. La scuola e la sanità pubblica soffrono di una cronica mancanza di risorse, il personale è scarso e sottopagato e il settore privato in questi ambiti è invece in forte espansione.
Già prima dell’inizio della guerra in Ucraina, i prezzi del carburante così come di alcuni generi alimentari stavano aumentando. La pandemia, il conflitto in Mali e le infiltrazioni jihadiste nell’intera regione del Sahel stanno incidendo sulla situazione socio economica del Senegal. Le proteste si innescano quindi in risposta a una condizione di precarietà che colpisce soprattutto la popolazione giovanile. In Senegal due terzi della popolazione ha meno di 30 anni.
«La decisione di sospendere le manifestazioni non è dovuta ai divieti dei prefetti» ha dichiarato Sondò, che aveva annunciato che le manifestazioni si sarebbero tenute indipendentemente dal parere delle autorità. Numerosi gli appelli della società civile che denunciano i toni violenti del dibattito politico e chiedono al governo di «porre fine alle gravi violazioni del diritto di riunione pacifica».
Una società civile però messa sotto accusa da Hamidou Anne, opinionista e saggista, che nelle pagine di SenePlus ha parlato di «società civile delle elezioni» attiva soprattutto sui social e ha allertato del pericolo di estremismo. «Ogni schieramento ha i propri rampolli sul web, che sputano il loro veleno in barba alla decenza e alla legge. Poiché la maggior parte di loro non ha né istruzione né progetti, i politici senegalesi vogliono trasmettere la loro mediocrità ai giovani e alle prossime generazioni» denuncia l’intellettuale. Certo è che le accuse e contraccuse, le polemiche delle due parti, hanno messo in secondo piano la questione della parità di genere nelle liste, così come è accaduto per le accuse di stupro a carico di Sonko a suo tempo.
Se a questo si aggiunge che, sempre il leader dell’opposizione, si è messo alla testa della manifestazione per la criminalizzazione dell’omosessualità a febbraio 2022 e che non ha condannato l’aggressione omofoba ai danni di un cittadino statunitense avvenuta nei giorni della polemica tra Senegal e Francia sul calciatore del Paris Saint-Germain, il senegalese Idrissa Gana Gueye, accusato di essersi rifiutato di indossare una maglia arcobaleno durante una partita in Francia e di unirsi quindi unirsi alla lotta contro l’omofobia, capiamo come la parità di genere, i diritti civili e le istanze più progressiste restino fuori dal dibattito politico. Permane una visione molto maschile e patriarcale della politica e della società, mentre sui territori si fanno sempre più strada istanze femminili e femministe.
Il collettivo Dafa Doy che si è formato dopo lo stupro e l’omicidio, nel 2019, di Binta Camara, 23 anni, e di altri casi di violenza sessuale, ha organizzato proteste, sit-in, manifestazioni e insieme ad altre associazioni si è battuto per la legge che inasprisce le pene per i reati di stupro e pedofilia. «Dovremmo essere tutti femministi», affermava il Dottor Abdoulaye Diop, ginecologo senegalese e influencer, ospitato nella rubrica Adelphité, lanciata dall’Agenzia Italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), ufficio di Dakar. Discutere di salute sessuale è un tabù nelle famiglie e il tasso di utilizzo dei servizi di salute sessuale e riproduttiva è ovunque molto basso, attorno al 30% nelle aree rurali. Il dottor Diop utilizza i social network per informare e sensibilizzare proprio sulla salute delle donne e per combattere le pratiche nefaste come le mutilazioni dei genitali femminili.
«C’è un grosso lavoro da fare in tema di conoscenza dei propri diritti e noi siamo qui per questo» afferma Josephine Ndao, avvocata della Boutique de droit di Sédhiou. L’Associazione delle giuriste senegalesi (Ajs) ha aperto cinque sportelli di ascolto e assistenza legale in tutto il Senegal. Sédhiou si estende tra l’enclave del Gambia e della Guinea Bissau ed è una delle regioni “rosse” e non per orientamento politico, ma rispetto al tasso di povertà, violenza sulla donne e basso tasso di scolarizzazione. Sono proprio la povertà, la mancanza di educazione sessuale e la promiscuità alcuni dei fattori che Josephine Ndao attribuisce all’alto tasso di gravidanze e matrimoni precoci e l’estensione della pratica delle mutilazioni genitali femminili nell’area. Insieme all’Associazione delle giuriste, Cospe lavora nella regione grazie al contributo dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e insieme alla Region médical e al Centro salute globale della regione Toscana, proprio sui diritti sessuali e riproduttivi delle donne dell’area. Tre i distretti interessati, più di 120 le donne già coinvolte in un processo di individuazione dei principali problemi legati alla riproduzione e ai diritti della salute delle donne, come la questione della pianificazione familiare, i parti a casa, la mancanza di autonomia decisionale e le violenze.
Le boutiques, così come le riunioni tra donne, facilitate dal progetto, sono luoghi protetti dove potersi confidare e apprendere dallo scambio. Le attiviste e i collettivi femministi che agiscono sul web sanno bene l’importanza di esprimersi in confidenza e talvolta nell’anonimato, in una società dove vige la sutura (discrezione). Un lavoro prezioso e costante quello di Josephine e delle altre avvocate dell’Ajs, che prendono in carico i casi fin dalle prime segnalazioni, valutano se sia meglio una mediazione familiare, nei casi meno gravi, mentre in quelli violenti procedono d’ufficio alla segnalazione al procuratore, oltre ad accompagnare all’ospedale e attivare la rete di sostegno psico sociale per le vittime. Certo in quest’area c’è un deficit sia d’infrastrutture che di attrezzature e di personale qualificato rispetto a quanto stabilito dalle norme nazionali e dell’OMS. Il personale medico non è numericamente sufficiente e alcune qualifiche non sono disponibili. Il deficit riguarda principalmente i profili specializzati, soprattutto in ambito pediatrico e ginecologico. Il sistema sanitario ha enorme difficoltà ad attirare a Sédhiou personale qualificato a causa dell’isolamento della regione e delle deboli opportunità economiche.
A maggio scorso le ostetriche sono scese in strada per protestare rispetto alle condizioni di lavoro dopo la morte in un ospedale pubblico di Louga di una donna incinta che aveva atteso invano con grande dolore un parto cesareo e la cui tragica sorte ha sconvolto il Paese. Tre ostetriche sono state condannate per negligenza e questo ha scatenato la protesta della categoria, che ha messo in luce tutte le carenze del sistema sanitario pubblico in Senegal. La salute delle donne sembra quindi essere la cartina di tornasole per capire lo stato di salute dell’intero Paese, attraversato da sempre maggiori contraddizioni, diseguaglianze, economiche e sociali, dove la rappresentanza femminile negli organi elettivi – diventata legge – fa fatica a diventare un diritto sostanziale oltre che formale. Nelle elezioni locali del 2014, le prime dopo l’adozione della legge sulla parità, la percentuale di donne elette è passata dal 15,9% del 2009 al 47% del 2015, ovvero 14.000 donne su 29.787 eletti. La legge sulla parità ha suscitato molte speranze quando è stata adottata nel 2010. A più di 10 anni dalla sua adozione, la legge fatica a essere applicata efficacemente.
Permangono forti disparità nella rappresentanza delle donne nei comitati dell’Assemblea nazionale, a livello regionale e di governo locale, e in altre sezioni della funzione pubblica e del sistema politico e amministrativo in generale. Secondo il Women’s leadership caucus (Wlc), fino a ottobre 2021 il 98% dei sindaci del Paese era guidato da uomini. Le elezioni amministrative di gennaio 2022 non hanno modificato sostanzialmente il quadro ma alcune novità importanti si sono registrate. Sempre nella regione di Sédhiou dai gruppi di donne con cui lavora COSPE ben due vice sindache sono state elette a riprova del riconoscimento del radicamento sul territorio di questi soggetti non formali. «Da quando ho iniziato a impegnarmi nei gruppi giovanili a quando ho guidato i groupement di donne della mia zona, mi sono sempre occupata dei bisogni delle persone. Non è questo far politica?» afferma la vice sindaca di Tanaff, villaggio al confine con la Guinea Bissau. La parità di genere è un imperativo economico oltre a un diritto fondamentale, scrivono sui social, i collettivi femministi. Purtroppo, dopo la tregua della Tabaski, e negli ultimi giorni prima delle elezioni del 31 luglio, la propaganda urlata è tornata a prevalere rispetto a un dibattito necessario sui cambiamenti profondi che sta vivendo il Paese e rispetto alle istanze portate dai movimenti femministi, dai collettivi contro la precarietà, dalle associazioni culturali, oscurati e invisibili costruttori di futuro.
*L’autrice: Anna Meli è cooperante di Cospe onlus e vice presidente della Carta di Roma