Il ridimensionamento degli ex renziani nelle liste approvate dal partito di Letta ha provocato tra quelli del cosiddetto terzo polo lacrime e indignazione per i loro amici di una volta esclusi dalle candidature

Il Partito democratico approva le sue liste. Bastano pochi minuti, una rapida osservazione, per capire innanzitutto che oltre a questa pessima legge elettorale (di cui tutti si lamentano e che quasi tutti hanno votato) anche la riduzione dei parlamentari è stata un duro colpo. Ricordate quando dicevano che la riduzione del numero dei parlamentari avrebbe garantito «un innalzamento della qualità degli eletti»? Ai tempi da queste parti ci siamo permessi di scrivere che si trattasse di un’idea senza nessun fondamento. Era facile prevedere che meno parlamentari eletti significasse premiare ancora di più la fedeltà al proprio capo di partito rispetto alla qualità. È andata così.

Gli stessi parlamentari che hanno tentato di rivenderci come digeribile il Rosatellum e che hanno esultato per il taglio del Parlamento oggi sono in radio e in televisione per spiegarci quanto sia difficile. Per un risparmio ridicolo (e per appoggiare un populismo bipartisan) hanno spinto una riforma di cui oggi si lamentano. Ma fate davvero?

Ieri il Partito democratico ha varato le sue liste e il cosiddetto terzo polo (che poi sarà il quarto nella migliore delle ipotesi) ha sfidato il senso del ridicolo passando tutto il giorno a contestare le scelte di Letta, ovviamente aiutato dalla propaganda social della bestiolina di Renzi & co. (solo apparentemente più urbana di quella di Salvini) che ha passato tutto il giorno a buttare merda nel ventilatore (eh sì, il “polo della serietà”). I terzopopulisti hanno una strategia elettorale invidiabile: vogliono prendere voti di mostrando che sarebbero bravissimi a dirigere un partito che però non è il loro. E così hanno passato tutto il giorno (e ci aggiungeranno anche la giornata odierna) a spendere lacrime e indignazione per i loro ex amici che non hanno trovato posto in lista. La reazione più facile sarebbe dirgli “cari Renzi e Calenda candidateli voi, no?” ma poi gli toccherebbe fare i conti con le proporzioni, ci si accorgerebbe che stiamo trattando una pozzanghera centrista come se fosse un partito vero e crollerebbe tutta la narrazione.

Ma cosa ha scatenato l’isteria nel Pd? Semplice: la corrente dei renziani indefessi che non si fidano di Renzi e quindi non l’hanno seguito in Italia viva è stata sensibilmente ridimensionata da Enrico Letta. I cosiddetti “riformisti del Pd” in realtà sono gli appartenenti alla corrente “Base riformista” che Luca Lotti e Lorenzo Guerini hanno eretto come monumento equestre in onore del loro capo Matteo quando il Partito democratico aveva una classe dirigente che proveniva da un raggio di 10 chilometri e una manciata di oratori. Ora Lotti sembra che sia stato fatto fuori (ma il Paese, il Parlamento e il Pd hanno davvero bisogno di Luca Lotti? Per quale recondito motivo?) e Lorenzo Guerini ha perso il suo abituale aplomb per aprire finalmente bocca – lui che aveva perso la parola per rispondere alle critiche sul vergognoso innalzamento delle spese militari – per difendere il suo compagno di catechismo.

Poi ci sono le liste e qui si potrebbe aprire un capitolo a parte: la ricandidatura di Pier Ferdinando Casini può bastare da sola per smontare la retorica del rinnovamento – fa il paio con quella di Fassino – e i “nomi forti” che dovrebbero essere Crisanti e Cottarelli lasciano più di qualche dubbio. Abbiamo (giustamente) passato giorni a criticare la sovraesposizione dei virologi attratti dal miele della politica in riferimento a Bassetti e intanto Crisanti aveva già firmato le carte.

La campagna è ancora lunga. Buon lunedì.

Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.