Il documentario “Il Paese delle persone integre” di Christian Carmosino Mereu, presentato alla 79ª Mostra del cinema di Venezia, ripercorre la storia dello Stato africano a partire dalla rivoluzione del 2014

«Tu sei quello che a ottobre ha fatto la rivoluzione con noi» Sams’K Le Jah indica Christian quando lo scorge da lontano. Sams’K, musicista leader della rivoluzione del 2014 in Burkina Faso, non esita a riconoscere il regista italiano, cinque mesi dopo gli eventi dell’ottobre. Lo ricorda tra la folla della piazza mentre riprendeva con la sua videocamera i discorsi e le canzoni contro il presidente Blaise Compaoré. E mentre scappava dai lacrimogeni. E dagli spari.

Dopo aver ricevuto una lettera che invitava tutti gli stranieri a lasciare il Paese, il regista e produttore Christian Carmosino Mereu decide di restare. Prende parte alle proteste contro la riforma della Costituzione proposta dal presidente Compaoré per prolungare la propria permanenza al potere oltre il limite stabilito di due mandati.

Una scena del documentario “Il Paese delle persone integre”

Euforia, speranza e rabbia attraversano le immagini che hanno dato vita al documentario Il Paese delle persone integre, patrocinato da Amnesty international, la cui prima mondiale si è tenuta a Venezia il 4 settembre scorso, in occasione delle Notti veneziane, alle Giornate degli autori. È il racconto di un popolo in cerca di libertà attraverso lotte quotidiane che vanno oltre gli eventi della rivoluzione del 2014.

«Volevo decostruire lo stereotipo dell’Africa, che non è bisognosa di assistenza paternalistica, ma di libertà, ostacolata anzitutto dalle aziende straniere che fanno affari e sfruttano. Se i popoli africani fossero padroni delle proprie ricchezze, non avrebbero bisogno di emigrare. È quindi un film politico al di là delle vicende politiche» spiega Carmosino.

Mentre si mette al riparo dagli spari e dagli scontri, alcuni manifestanti vengono a chiamare Christian, esortandolo a riprendere. «Se non tu chi?» si sente dire il regista, unico straniero bianco in piazza. Attira l’attenzione e un gruppo di persone cercano di strappargli di mano il materiale per registrare. Ma altre persone gli vengono in soccorso. Tra questi Yiyé Constant Bazié, che sarà poi attivo nella vita istituzionale del Paese post rivoluzionario, impegnandosi in politica. Constant è uno dei quattro personaggi che l’autore decide di seguire anche nella successiva fase di transizione, entrando nella sua quotidianità: dalla visita al suo ufficio fino alle discussioni politiche al bar con gli amici. «Sono per lo più i miei personaggi che hanno scelto me, con unica eccezione di Ghost, il minatore. Constant mi è venuto in soccorso durante le proteste, Sams’K mi ha riconosciuto e mi ha accolto mesi dopo. Assanata si è semplicemente seduta accanto a me», commenta il regista.

Il rapper Sams’K Le Jah in una scena del documentario “Il Paese delle persone integre”

L’adrenalina del giorno si protrae fino alla notte e per quasi una settimana Carmosino non chiude occhio, preoccupato che possa venire sequestrato il materiale registrato dalle milizie del presidente Compaoré. In strada, anche in periferia, c’è fermento. Ogni notte si siede con lui su una panchina Assanata Ouedraogo, osservando insieme le barricate. «Se pur non in prima linea durante gli scontri, anche le donne hanno protestato – dice Carmosino -. Il secondo giorno di manifestazioni è stato chiamato dalle donne contro il carovita: sono loro a gestire la casa in tutti i sensi, compreso il budget. È stato un altro modo di schierarsi, per denunciare che mentre Compaoré voleva cambiare la Costituzione, venivano ignorate e dimenticate le condizioni di vita del popolo».

Prima tra le barricate e poi nelle case, uffici e bar durante la fase di transizione alla democrazia, la voce del regista si interseca con le voci del popolo burkinabè, in un dialogo costante. Sottolinea infatti il regista: «Non sono la cosiddetta “voce di Dio”, che parla dall’alto e con superiorità. Nel mio documentario io sono un personaggio che incontra altri personaggi. Alla mia voce volevo che gradualmente si sostituisse la loro».

Le scelte di ogni protagonista scandiscono la narrazione, mostrando l’immagine di un Paese pieno di dignità e forza, de Il Paese di persone integre. Il titolo del docufilm, d’altronde, altro non è che la traduzione di Burkina Faso, nome scelto dal rivoluzionario burkinabè Thomas Sankara, che commenta Carmosino «era una figura straordinaria che ha fatto tantissime riforme sociali e avrebbe potute farne tante altre se non fosse stato ucciso proprio da Blaise Compaoré, uno dei mandanti del suo omicidio. L’immagine di Sankara pesa tuttora, ha fatto arrivare in tutti i villaggi la sanità, le scuole, si è occupato di infrastrutture, dighe, ponti ecc. Lui era per un’Africa indipendente». La sua energia rivoluzionaria scuote ancora il Paese, senz’altro tormentato da una crisi umanitaria che mette a dura prova la speranza del popolo burkinabè.

Nonostante il documentario si fermi agli eventi della fase di transizione immediatamente post rivoluzionaria, con il fallito colpo di Stato del maggio 2015 e le elezioni dell’ottobre 2015, che hanno portato alla nomina del nuovo presidente Roch Marc Christian Kaboré, rimane tuttavia una parentesi aperta. Le lotte quotidiane dei singoli protagonisti continuano e danno una chiave di lettura per interpretare gli eventi attuali. «Avevo già realizzato un reportage televisivo l’anno successivo alla rivoluzione. Ma questa volta ho voluto dare una diversa prospettiva per poter avere una reale comprensione», così il regista descrive il proprio approccio narrativo che si esplicita anche come scelta stilistica. Commenta infatti Carmosino: «La rivoluzione, raccontata in bianco e nero, avviene sotto il regime, sotto oppressione della dittatura. Il momento in cui arriva il colore è il momento del vero incontro con i personaggi, in cui lascio spazio alle loro storie. Volevo un nuovo modo di guardare l’Africa. Gli interessi occidentali sono pesanti nel Paese e le persone che danno vita al film hanno una dignità che noi non conosciamo».

Assanata Ouedraogo e suo figlio, in un frame del documentario “Il Paese delle persone integre”

Una dignità che traspare con chiarezza nelle rivendicazioni politiche di Dieudonné Tagnan (detto Ghost), minatore in una miniera d’oro impegnato nella lotta sindacale. «Mi era stato detto che non avrei potuto capire il Burkina Faso, se non avessi compreso la situazione nelle miniere. Così mi sono messo in contatto con Ghost», spiega Carmosino. Un Paese depredato dagli interessi delle multinazionali e dei Paesi stranieri: ancora una volta il regista sottolinea l’urgente bisogno di libertà che il popolo burkinabè reclama ad oggi. «La situazione geopolitica attuale è complicata in Burkina Faso. Il precedente governo non è stato in grado di contrastare il terrorismo. I gruppi estremisti si stanno impadrondendo di ambiti importanti, come del traffico di esseri umani che, passando dal Sahel, non può non passare dal Burkina Faso, verso la Libia. Inoltre le organizzazioni terroristiche stanno cercando di impadronirsi delle miniere» spiega Carmosino.

Il colpo di Stato di inizio anno 2022 in Burkina Faso, compiuto da membri dell’esercito, consegue anche all’incapacità del governo di gestire la sicurezza all’interno del Paese, che sfiora già 2 milioni di sfollati interni in fuga dai villaggi occupati da gruppi legati da Isis e Al Qaeda. Nel frattempo, non sembra apportare miglioramenti la presenza stabile di contingenti militari di altre nazioni, che confermano invece gli interessi economici dei Paesi stranieri in Burkina Faso. «Oggi il popolo burkinabè si trova a lottare contro molteplici oppressori, dalle aziende multinazionali e occidentali agli estremisti religiosi. Tuttavia c’è stato un momento di speranza dopo la rivoluzione che fa sì che ci sia ancora grande forza».

Con delicatezza Carmosino nella sua opera lascia che la sua voce interagisca con la voce di chi ha fatto la rivoluzione e di chi, in forme diverse, cerca ogni giorno, da anni, la libertà. Segue con la videocamera chi lo invita a seguirlo, con umiltà guarda dove gli viene consigliato di guardare. E spegne, con un clic, quando il silenzio e il buio sono la miglior forma di rispetto e riflessione di fronte al dramma di un Paese tormentato. Conclude l’autore: «Noi occidentali dobbiamo abbandonare un approccio paternalistico e aiutare noi stessi: ci dobbiamo occupare dei nostri governi e di come si comportano e favoriscano lo sfruttamento in Africa. Serve un cambio di sguardo, come atto politico».

 

* In alto, un frame del documentario Il Paese delle persone integre di Christian Carmosino Mereu