Povertà educativa, abbandono scolastico, mancanza di laureati. Sono gli effetti di un disinteresse decennale della politica nei confronti dell’istruzione, elemento cardine di una democrazia. Ecco alcune proposte per una società della conoscenza
In un giorno di gennaio del 2021, in piazza del Pantheon a Roma, gli studenti organizzarono un sit-in per manifestare tutte le loro preoccupazioni per la riapertura della scuola dopo settimane di chiusura, protestando per la mancanza di interventi da parte del ministero. Due ragazze, accovacciate sul selciato, mostravano un cartello con la scritta: “La scuola è futuro e la scuola siamo noi”.
Partiamo da questa immagine, una delle tante che hanno caratterizzato questi ultimi due anni segnati dal Covid-19. “La scuola è futuro”, reclamano gli studenti, ma la politica quanto ha fatto o promette di fare perché lo sia davvero? La parola “futuro”, purtroppo, risuona spesso svuotata di senso, uno slogan come un altro. Eppure il mondo della scuola - studenti e insegnanti - sa perfettamente che in quelle loro aule si gioca il diritto al sapere di intere generazioni, e, per usare un termine abusato dai politici, si decide davvero il futuro del “sistema Paese”. Non solo perché la scuola garantisce la formazione ma anche il senso della cittadinanza, della partecipazione democratica. E la socialità. Diciamolo chiaramente: la scuola è rimasto uno dei pochi luoghi, se non l’unico, dove giovani e adulti si incontrano. Dove, al di là della relazione studente-insegnante, si respira una dimensione collettiva.
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