Per evitare la recessione e la dipendenza da altri Paesi «bisogna investire con continuità sulla ricerca di base e sui giovani», dice il Nobel Giorgio Parisi. La miopia della politica sull’istruzione e sulla cultura scientifica «pesa anche sulla lotta al climate change»
Rendere strutturali maggiori finanziamenti alla ricerca pubblica, investendo almeno 15 miliardi nei prossimi 5 anni, per consentire all’Italia di guardare al futuro con più fiducia, scongiurando al tempo stesso una altrimenti inevitabile decrescita… infelice e una sempre maggiore dipendenza da altri Paesi. Lo chiesero con una lettera il 10 marzo 2021 - dopo un anno di pandemia - al presidente della commissione Cultura del Senato, 14 fra i più prestigiosi ricercatori italiani, fra cui gli accademici dei Lincei: Paolo de Bernardis, Massimo Inguscio, Massimo Livi-Bacci, Luciano Maiani, Alberto Mantovani, Alberto Quadrio Curzio e Giorgio Parisi. «Non abbiamo saputo costruire una “società basata sulla conoscenza” - scrivevano gli scienziati -. Il nostro “Triangolo della conoscenza”, che ha come base l’Istruzione e come lati la Ricerca e lo Sviluppo, è troppo deficitario… Sono insufficienti e troppo orientati verso il mondo delle imprese gli 11,77 miliardi previsti per la ricerca nella bozza del Recovery plan. Lo stanziamento deve essere di 15 miliardi (in 5 anni, ndr) e deve sostenere la ricerca di base». È passato un anno e mezzo da quell’appello e in mezzo c’è stata l’invasione russa all’Ucraina, il Pnrr, la caduta del governo Draghi e le elezioni anticipate. A metà settembre, alcuni giorni prima del voto, facendo riferimento ai dati riportati nell’appello del 2021, i fisici e accademici dei Lincei Ugo Amaldi e Luciano Maiani, insieme al matematico Luigi Ambrosio e all’immunologa Angela Santoni hanno elaborato un Piano quinquennale 2023-2027 per la ricerca pubblica.
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