Dopo la pubblicazione di inchieste che segnalano i suoi conflitti di interessi, il neo ministro della Difesa minaccia querele per i giornalisti

Una giornata esemplare. Ieri Giovanni Tizian e Emiliano Fittipaldi hanno pubblicato un’inchiesta sul nuovo ministro alla Difesa Guido Crosetto. Che le porte girevoli tra produttori d’armi e politica siano un problema in questo Paese lo scriviamo (e lo scrivono in molti) ben prima di Crosetto. Minniti, già ministro degli Interni e deputato, va a Leonardo. Cingolani, da Leonardo al ministero e ritorno. E ora Crosetto, da Aiad (la Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza, ndr) alla Difesa.

Domani racconta che «nel 2021 ha incassato da Leonardo 619 mila euro in consulenze. La somma girata dal nostro colosso degli armamenti al fondatore di Fratelli d’Italia risulta in pratica superiore allo stipendio garantito al presidente della partecipata, che lo stesso anno ha preso 504 mila euro. Leonardo è tra le prima aziende fornitrici del dicastero ora guidato da Crosetto». Poi, secondo Domani, «bisogna aggiungere altri 82 mila euro incassati da Orizzonte sistemi navali, altra azienda controllata da Fincantieri e Leonardo. Più altri 200 mila euro versati all’ex lobbista da spa con soci privati e pubblici, tutte impegnate nel settore difesa».

Il ministro, sentito dai giornalisti, rilascia una spiegazione curiosa. Dice che era a Leonardo «come advisor in quanto presidente dell’Aiad. Per intenderci, io non avevo un ufficio a Leonardo, e non rispondevo a nessuno in Leonardo. Il mio compenso e il tipo di lavoro che svolgevo sono due cose distinte, nate dal fatto che il presidente dell’Aiad è indicato dalle aziende associate. Io sono stato indicato da Leonardo, che mi pagava per quell’incarico».

Con i giornali in edicola Crosetto ieri mattina pubblica un tweet (piuttosto sgrammaticato) in cui dice: «Ho dato mandato allo Studio Legale Mondani perché sono certo che le condanne in sede civile e penale siano l’unico metodo che direttori, editori e giornalisti possano intendere, di fronte alla diffamazione. Il mio ora e’ un’obbligo Istituzionale: quello di difendere il Dicastero».

C’è una fallacia logica evidente: non c’è nessuna offesa “al Dicastero” (altrimenti ci sarebbe l’avvocatura di Stato, senza bisogno di contattare nessun studio legale) ma si parla dell’opportunità di una nomina ministeriale a un presunto lobbista.

Crosetto dà spiegazioni? Niente. Spiega cosa c’è di sbagliato in quell’articolo di Domani? Niente. Allora perché scrive di avere dato mandato a degli avvocati senza preoccuparsi di ristabilire la sua verità? A pensarci bene al di là delle legittime querele a un politico dovrebbe interessare la limpidezza della propria immagine pubblica, ancor di più in un periodo delicato com’è l’insediamento di un nuovo governo. Semplice: minacciare una querela serve a scoraggiare. In questi giorni tutti i giornalisti (e i loro direttori) sanno bene che scrivere una parola sbagliata potrebbe accendere un’azione legale. In più si sposta l’asse dal punto politico che, come scrive il direttore di Domani, è un altro: «La situazione di conflitto di interessi non implica una accusa di comportamenti inappropriati o criminali. È una situazione oggettiva: un ex lobbista dell’industria della difesa, che nel settore guadagnava e potrebbe guadagnare milioni, potrebbe essere visto dalle controparti come non disinteressato nelle decisioni che prenderà».

Buon venerdì.

Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.