«Noi Karipuna, dal 2017 ad oggi, abbiamo perso oltre 4mila ettari delle nostre terre a causa degli invasori lasciati fare da Bolsonaro. E per giunta alcuni nativi si sono fatti sedurre dalla propaganda bolsonarista. Ma ora dobbiamo evitare divisioni. E ci fidiamo di Lula quando promette di creare un ministero dei Popoli indigeni». A parlare è Adriano Karipuna. È appena rientrato all’università. Studia giurisprudenza e divide la propria vita tra l’impegno accademico e quello politico. È, infatti, leader degli indigeni Karipuna che vivono nella regione di Rondônia in Brasile, nonché figura simbolo della resistenza dei popoli nativi dell’Amazzonia contro la deforestazione e gli assalti delle economie predatrici che mettono a repentaglio gli ecosistemi della foresta e la vita delle comunità che la abitano. Con lui facciamo il punto sulla situazione politica del Brasile dopo la recente vittoria di Luiz Inácio Lula da Silva alle elezioni presidenziali, e sulle speranze e aspettative dei popoli nativi alla vigilia della fine del governo Bolsonaro.
Com’è andato il ritorno all’università, dopo l’affermazione di Lula al ballottaggio? In Rondônia il 70% degli elettori ha scelto il suo avversario Bolsonaro ed eletto un governatore di estrema destra. Che clima respiri, come studente e rappresentante dei nativi Karipuna?
Anche se ci sono persone che difendono la democrazia, il clima generale è teso e la delusione è tanta per i bolsonaristi. I camionisti, sostenuti dagli imprenditori dell’agribusiness, stanno bloccando le strade in diverse regioni, perché non accettano di aver perso democraticamente le elezioni. Attaccano Lula, perché non riescono ad ammettere il suo ritorno al potere grazie al voto, dopo tanti anni. Molte proteste non sono spontanee, perché sono state organizzate ad hoc dagli imprenditori dell’industria del legname e mineraria. Assieme agli allevatori di bestiame e proprietari terrieri, questi imprenditori spronano i lavoratori ad occupare le strade per generare il caos e impedire la libera circolazione delle persone.
I prossimi due mesi saranno all’insegna della transizione. Il governo uscente dovrà collaborare con l’eletto. C’è possibilità di cooperazione, o è un’utopia?
Penso che potrebbe succedere di tutto. Sono ovviamente preoccupato per lo scenario bollente che si è creato. Temo un aumento delle invasioni dei nostri territori e di atti di violenza nei nostri confronti. È questa la paura più grande tra noi Karipuna e le altre comunità indigene. Non penso che Bolsonaro sia intenzionato a collaborare con il nuovo governo. Lula ci ha promesso un ministero a guida indigena, ma ciò si contrappone alla politica anti-ambientalista e anti-indigena di Bolsonaro.
Il territorio Karipuna fu assegnato al governo dell’allora presidente Fernando Henrique Cardoso, nel 1998. All’epoca, eri solo un bambino di otto anni. Cosa si aspettano i Karipuna da Lula? E cosa ricordano dei suoi otto anni alla guida del Paese, tra il 2002 e il 2010?
Durante i governi guidati dal Partido dos trabalhadores (il Partito dei lavoratori, di cui Lula è leader, ndr) avvertivamo senz’altro una maggiore protezione. Questa sensazione di pericolo non esisteva. Il territorio era ben controllato. Gli organi dello Stato che si occupavano delle nostre istanze, ossia l’Istituto brasiliano dell’ambiente e delle risorse naturali rinnovabili (Ibama), la Fondazione nazionale dell’Indio (Funai) e l’Istituto Chico Mendes per la conservazione della biodiversità (Icmbio), avevano poteri e mezzi per proteggere le nostre comunità. Finché Bolsonaro ha smantellato tutti questi organi, privandoli di fondi e personale tecnico specializzato. È stata un’operazione studiata a tavolino per rendere vulnerabile la foresta amazzonica e i popoli che la proteggono. È bene ricordare che quest’operazione di svuotamento degli organi è collegata anche alla distruzione di altri biomi, come la Caatinga (una foresta semi arida), il Cerrado (una grande savana tropicale) e il Pantanal (un’enorme pianura alluvionale).
Per quanto riguarda il Pantanal, gli incendi del 2020 hanno provocato la morte di 17 milioni di animali, secondo i calcoli pubblicati l’anno successivo da un gruppo di scienziati sulla rivista Scientific reports…
Esattamente. Lo svuotamento degli organi di controllo che ho citato ha dato il via libera agli “invasori”, che subito dopo hanno provveduto al disboscamento, appiccando incendi e provocando, di conseguenza, ingenti danni. Molti nativi e attivisti sono morti o hanno ricevuto minacce, nel corso di questi anni, per proteggere i loro territori. Riflettiamo su queste vite perse, tra esseri umani e animali. Ormai questi organi esistono soltanto sulla carta, perché, nei posti di comando, nei punti chiave, Bolsonaro ha posizionato gente nemica dei nativi. I prossimi due mesi, cioè quelli che ci dividono dall’insediamento di Lula (previsto per il 1 gennaio 2023, ndr), saranno pericolosi, anche perché sono stati eletti molti governatori, deputati e senatori di estrema destra, che continueranno a portare avanti la politica distruttiva di Bolsonaro.
E quindi, che Paese si troverà davanti Lula? E quali sfide dovrà fronteggiare?
Lo scenario non è sicuramente dei migliori: un Paese economicamente distrutto, con interi ecosistemi devastati, oltre al problema della fame, che persiste ormai da anni e anni, inaspritosi sempre di più nel tempo. Per quanto riguarda il rapporto con le comunità indigene, nutriamo fiducia nella promessa che Lula ha fatto di creare un ministero dei Popoli indigeni, composto appunto soprattutto da indigeni, perché conoscono le singole particolarità del loro popolo e dei loro territori. Ci sono indigeni laureati in Biologia, Ingegneria forestale, e così via. Ad esempio, per quanto riguarda la sanità indigena, non ci sono nativi in posti di comando all’interno degli organi preposti, i Dsei (Distrito sanitário especial indígena), e lo stesso vale per gli altri organi che avevo menzionato precedentemente, la Funai e l’Ibama.
Cosa potrebbe fare Lula per guarire le ferite lasciate da Bolsonaro nei nativi brasiliani? E, soprattutto, ritieni sia possibile sanarle?
In questi ultimi quattro anni, i nativi hanno perso tanto. Psicologicamente provati, vivono con il terrore di girare da soli, per le continue minacce che subiscono. Un eventuale ministero dei Popoli indigeni dovrà occuparsi anche della loro salute mentale. Perciò bisogna avviare delle consultazioni con le comunità, per comprendere l’estensione del danno subito, che va oltre la perdita dei propri territori. Noi Karipuna, ad esempio, sin dal 2017, abbiamo perso oltre 4mila ettari delle nostre terre a causa degli invasori. Voglio aggiungere che ogni comunità possiede la propria economia di sussistenza: c’è chi sopravvive con l’artigianato, chi con l’apicultura, chi con la vendita della farina di manioca, chi con semi e castagne, ecc. Ecco, per compiere una simile opera di guarigione, vorremmo essere supportati e accolti nelle nostre rivendicazioni. Vogliamo vivere nella foresta e dalla foresta, ma abbiamo bisogno di incentivi per le nostre singole economie.
Voi nativi sarete abbastanza uniti da poter creare questo ipotetico “ministero dei Popoli indigeni”?
È tutto talmente recente che non ci siamo ancora organizzati. Mai nella storia fu paventata questa possibilità. L’importante è essere in possesso di risorse e che ci venga dato il diritto di parola nella scelta di chi lo comporrà. Sarebbe l’emblema della rottura col passato.
Secondo te, gli organi di protezione esistenti sono così rovinati e così infiltrati da militari e figure anti-indigene che andrebbero dismessi per formare qualcosa di nuovo?
No, perché comunque hanno una loro storia, e rottamarli potrebbe rallentare ancora di più le nostre istanze, che sono urgenti. Dopodiché, penso che le principali competenze dovrebbero tornare al ministero dell’Ambiente, così com’è stato nei precedenti governi Lula. Ora, sono sotto il ministero della Giustizia, che è molto più burocratico. Poi, bisogna capire anche come togliere l’incarico a tutti coloro che non rispettano l’ambiente e l’esistenza dei popoli originari all’interno di questi organi, come l’attuale Presidente della Funai, Marcelo Xavier. Basti pensare alla mancata protezione dei nativi, avvenuta all’apice dell’epidemia del Covid-19, o alle indagini mai fatte sui nativi uccisi dagli invasori, per comprendere la sua inadeguatezza al ruolo che dovrebbe svolgere.
Una delle caratteristiche del governo Bolsonaro riguarda gli incarichi o quantomeno l’ampio spazio dato nella sua propaganda ai neri razzisti, ai poveri classisti e alle donne misogine. La stessa tecnica è stata adoperata nei confronti dei popoli originari, provocando importanti divisioni interne. Quanto è stato doloroso, per te, vedere che alcuni nativi difendevano la politica distruttiva di Bolsonaro?
In tutta onestà, sono persone che vendono il proprio popolo al miglior offerente, interessate solo ed unicamente ai beni materiali. Questa superficialità non farà altro che ritorcersi, man mano e sempre di più, soprattutto contro i loro territori. Spesso, vogliono avere il porto d’armi o una camionetta tutta per loro. Non bastano i mezzi di uso comune della comunità, oppure le armi tradizionali per andare a caccia. Credo che ci sia qualcosa di perverso in tutte quelle persone che appoggiano dei criminali, o comunque politici anti-democratici. Il governo Bolsonaro non ha arrecato alcun beneficio agli indigeni; al contrario, è stato l’artefice di un etnocidio. La sua è una politica di morte.
La spaccatura nella società brasiliana è stata evidenziata dal voto. La comunità indigena è altrettanto spaccata al proprio interno?
Non saprei dirti in percentuali, ma mi sono imbattuto in nativi sedotti dalla propaganda bolsonarista. Ho provato a chiedere loro la motivazione che li ha spinti a condividere la sua campagna, visto che le nostre tradizioni sono opposte alla proprietà privata e all’accumulo di beni materiali, ma non ho ottenuto risposte all’altezza della domanda. Di base, riproducevano gli stessi discorsi che conosciamo tutti, senza alcun approfondimento, del tipo: “Non vogliamo che il Brasile diventi come il Venezuela!”
Ma che fine ha fatto la sinistra in Rondônia? Dove ha fallito? Perché una regione con una forte componente indigena o nera vota sindaci, governatori e presidenti di destra, o addirittura di estrema destra?
Mi dichiaro un uomo di sinistra, ma penso che molte cose debbano cambiare, sia dentro di noi che all’interno dei partiti di sinistra. Quando frequento le riunioni del Partido dos trabalhadores, mi sento più un oggetto di studio che uno di loro. Un giorno ho fatto presente le mie perplessità e come mi sentivo. Il mio discorso non è stato condiviso da molti, ma dentro di me, sentivo che dovevo farlo. Vedevo troppi gruppi chiusi, troppe divisioni interne. Ecco perché la destra qui è forte e vince sempre. Guarda cosa siamo diventati… Siamo circondati dall’odio!
A mio parere, la ricchezza viene idolatrata. In questi quattro anni di governo Bolsonaro, i poveri sono stati trattati come parassiti sociali, persone che non vogliono lavorare, gente improduttiva, che si deve “dare da fare” per salire nella scala sociale. Secondo te, questo discorso ha fatto breccia anche tra gli indigeni?Certamente. Bisogna far capire a quei pochi sedotti dal bolsonarismo che la foresta vale molto di più in piedi che distrutta. Non possiamo permetterci scissioni di alcun tipo, né come persone o rappresentanti della sinistra, né come comunità indigena.
* In foto, una protesta indigena per chiedere la protezione delle terre dei nativi in Brasile. San Paolo, 18 settembre 2022