Ci sono tre ordini di problemi relativi all’isola d’Ischia e ai tre Comuni interessati al terremoto del 21 agosto 2017 che l’approvazione definitiva, lo scorso 15 novembre, da parte del Senato del cosiddetto “decreto Genova” emanato dal governo non affronta e se affronta, risolve male.
Il decreto convertito in legge nasce male. Perché riunisce in un unicum il crollo del ponte Morandi a Genova e la ricostruzione delle aree terremotate sull’isola d’Ischia e nel centro Italia. Sono due temi che mal si legano insieme. Per quanto riguarda, nello specifico, l’isola d’Ischia, la legge stabilisce dei criteri che consentono la ricostruzione con fondi pubblici anche delle case abusive distrutte o danneggiate. Per poter aderire al finanziamento pubblico i Comuni interessati – sono tre: Casamicciola, Lacco Ameno e Forio – hanno sei mesi di tempo per “sbrigare le pratiche” di condono edilizio ancora sospese. Qui nascono i tre ordini di problemi di cui sopra che la legge non affronta e se affronta, risolve male. Ma, prima di ricordarli quei tre nodi, è bene fare una premessa.
Nell’anno 2003 il Parlamento ha emanato una legge (il cosiddetto terzo condono) che, in buona sostanza, bloccava la messa in regola degli edifici abusivi costruiti dopo il 1985, anno di una legge nota come “del primo condono” e che portava la firma di Bettino Craxi e di Franco Nicolazzi. La legge approvata il 15 novembre 2018 in via definitiva riporta le lancette dell’orologio al 1985, per questo è stata definita una legge permissiva. Il primo problema è: chi riguarda la nuova norma? La risposta a questa domanda, sia da parte dei tecnici che dei media, è stata piuttosto confusa. Tutti concordano che sull’isola d’Ischia esiste un enorme e irrisolto problema di abusivismo edilizio. Sono all’incirca 27mila le domande di condono edilizio finora inevase. Nessuno sa se ci siano ed eventualmente quanti siano gli abusi non dichiarati e di cui non è stato chiesto il condono. Il che significa intanto che ci sono almeno 27mila case o comunque edifici costruiti in maniera abusiva sull’isola d’Ischia di cui non è accertata la sicurezza. Di cui nessuno ha saputo o voluto negli ultimi 33 anni accertare se sono state costruite con criteri ingegneristici, idrogeologici e sismici validati.
Va detto subito che la legge approvata lo scorso dicembre non affronta – e, quindi, non risolve – questo enorme problema. Quasi a giustificarsi, il governo ha precisato che il condono può essere concesso, rispettando i vincoli di legge, non a tutte le 27mila case abusive che hanno una domanda in giacenza ma solo a quelle abusive distrutte o danneggiate dal sisma del 21 agosto 2107. E dunque solo a una quantità limitata di edifici nei Comuni di Casamicciola, Lacco Ameno e Forio.
Ma limitata è un aggettivo ambiguo. A Casamicciola le domande di condono pendenti sono 3.500; quasi 2mila a Lacco Ameno e circa 8mila a Forio, per un totale di potenziali interessati di 13.500 abusi. Va detto, giustamente, che non tutte le case abusive di questi tre Comuni sono state distrutte o danneggiate dal terremoto del 2017. Il sindaco di Lacco Ameno calcola che gli edifici abusivi interessati siano all’incirca 2mila, concentrati in quello che viene definito il “cratere”: ovvero l’area più interessata dal terremoto.
Lasciamo al lettore considerare se questo sia un numero “limitato” o meno. Sta di fatto che si tratta di duemila edifici costruiti fuori dalla legge e, dunque, dalle norme di sicurezza in un’area ad altissimo rischio sismico. Certo, nel corso di più di tre decenni i proprietari di queste case che hanno dichiarato ufficialmente di aver costruito in maniera abusiva non hanno ricevuto una risposta da parte di uno Stato (in tutte le sue articolazioni) latitante e incapace di affrontare il problema. Ma dal punto di vista della sicurezza le difficoltà esistevano ed esistono ancora.
Ora veniamo al secondo problema. Queste duemila abitazioni abusive sono state danneggiate o distrutte insieme ad altre legalmente costruite in un’area piuttosto ristretta. Quanto, è difficile dirlo. Perché stando alla legge approvata a novembre, quest’area è “disegnata” dalle dichiarazioni dei proprietari di case che hanno subito danni. Ecco, dunque, il secondo problema: per qualsiasi tipo di intervento occorrerebbe definire un’area a rischio circoscritta non con criteri soggettivi o casuali, ma strettamente scientifici, a opera dei tecnici dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e delle università, campane e non. Stiamo parlando di rischio sismico. Ma quelle stesse zone sono soggette anche a rischio idrogeologico. Un rischio che ha preteso anche sacrifici di vite umane, negli ultimi anni. Cosicché la mappa costruita su basi squisitamente scientifiche dovrebbe essere il combinato disposto dei due tipi di rischio, sismico e idrogeologico. Di tutto questo la legge del 15 novembre scorso non tiene debito conto.
Terzo problema. Quello di cui nessuno parla. Eppure è il più clamoroso. Limitiamoci al rischio sismico. Si sa che Ischia è un’isola vulcanica. E il vulcano Ischia è ancora attivo. Questa è una condizione geofisica particolare, anche da un punto di vista sismico. Perché i terremoti che si verificano sull’isola sono molto superficiali. Quello dell’agosto 2017 ha avuto un ipocentro inferiore a due chilometri. Per questo motivo anche se di magnitudo bassa (meno di quattro il 21 agosto 2017) producono grandi danni in superficie, anche se in aree estremamente ristrette. Ebbene, a Ischia c’è una particolarità. Gli ultimi otto terremoti distruttivi negli ultimi 250 anni, secondo la ricostruzione storica dell’Ingv, sono avvenuti tutti nella medesima area ristretta, quella interessata anche dall’ultimo sisma.
L’architetto Luigi Vanvitelli fu testimone del fenomeno sismico del 14 luglio 1762, cui sono seguiti quelli del 18 marzo 1796; del 2 febbraio 1828; del 6 marzo 1841; del 14 agosto 1867; del 4 marzo 1861 e del 28 luglio 1883. Quest’ultimo fu devastante come pochi: fece crollare totalmente 1.360 gli edifici e causò la morte di 2.333 persone, di cui, ricostruisce l’Ingv, 625 (il 27%) turisti, e 701 feriti (79, il 13%, non ischitani). Ne nacque un proverbio “è una Casamicciola” per indicare un disastro immane. In quel disastro persero la vita i genitori e la sorella di Benedetto Croce, in vacanza proprio a Casamicciola. E anche il futuro filosofo subì serie conseguenze fisiche che si trascinò per tutta la vita.
Questa serie storica ci dice che c’è una zona a Ischia ad altissimo rischio sismico. È una zona limitata e che coincide, alla grossa, con quella interessata dall’ultimo terremoto. Molte delle case crollate il 21 agosto 2017 furono costruite dopo il 1883. Questa condizione dovrebbe portare a riflettere su due sole opzioni possibili. La prima: ricostruire con criteri antisismici rigidi, ipercontrollati, estremamente sofisticati e costosi, che tuttavia potrebbero non essere esenti da rischi in futuro a causa delle anomalie dei terremoti in aree vulcaniche e, in particolare, in quella zona di Ischia. La seconda è quella caldeggiata da molti sismologi, come il professor Giuseppe Luongo: decongestionare la zona. Impedire la ricostruzione, tanto delle case costruite in maniera legale che di quelle abusive. E, magari, realizzare un grande parco geofisico di interesse europeo per lo studio dei terremoti in aree vulcaniche.
Toccherebbe poi alla politica trovare i modi per assicurare agli abitanti evacuati della zona una nuova dimora dignitosa. Ma la politica questo problema non vuole neppure trattarlo. Ignora la storia naturale dell’isola. Preferisce la soluzione facile della ricostruzione “quo ante”, in conformità di un passato tragico. Una soluzione che, per di più, contiene un messaggio implicito ma pericolosissimo: costruite abusivamente anche in aree ad altissimo rischio. Ci sarà sempre un condono.
Articolo pubblicato su Left del 4 gennaio 2019 e nel libro di Left n.28, La lezione di Pietro Greco. Quando la divulgazione scientifica è un’arte
Nella foto: la frana di Casamicciola, 27 novembre 2022