Il viaggio disumano dei migranti lungo la rotta balcanica, l'odissea di Patrick Zaki, la denuncia del razzismo. Due anni di storia recente raccontati dall'artista che ha scelto l'anonimato. E che è protagonista del film di Antonio Valerio Spera dal 2 febbraio in sala

Life Is (Not) A Game, docufilm diretto dall’esordiente Antonio Valerio Spera, presentato in occasione della Festa del cinema di Roma 2022 e in sala dal 2 febbraio, racconta la street artist romana Laika, che con i suoi poster provocatori è riuscita ad attirare l’attenzione su di sé, sia a livello nazionale che internazionale.
Di Laika non conosciamo il volto e il nome anagrafico, ma sappiamo che il suo pseudonimo rende omaggio al primo essere vivente giunto nello spazio, la cagnolina Laika, nata nel 1954. Una firma che grida a gran voce l’intenzione di non volersi porre dei limiti e voler volare oltre. La maschera bianca che indossa la street artist le garantisce l’anonimato, anche per questo è stata definita la “Banksy italiana”: a completare il look, una parrucca a caschetto fluo e una tuta da attacchina. Il risultato è un costume da supereroina contemporanea che oltre a celare l’identità di Laika le permette di operare ai limiti della legalità e di esprimersi in totale libertà, senza temere censure.

L’anonimato le permette di dirottare tutta l’attenzione mediatica sulla propria poetica, più che sulla sua firma e di confrontarsi con temi divisivi, senza paura di provocare il pubblico o di prendere una posizione. A una prima lettura Laika si presenta come un’artista ironica e pop, ma le sue opere in realtà assumono i tratti di veri e propri manifesti politici.
Nel documentario diretto da Spera e scritto con la sceneggiatrice Daniela Ceselli la telecamera riprende l’anticonvenzionale “attacchina” romana nei suoi blitz notturni durante i mesi del lockdown: l’arte di Laika ha saputo far riflettere sulle tematiche che la tragedia del virus ha messo in risalto o che ha fatto passare in secondo piano, come razzismo, uguaglianza di genere e migrazione. Attraverso immagini di repertorio e interviste, Life Is (Not) A Game osserva e restituisce gli avvenimenti che hanno segnato gli ultimi anni attraverso gli occhi dell’artista e il suo pensiero politico: dalle conseguenze della pandemia fino alla guerra in Ucraina.
I poster sovversivi di Laika pongono l’attenzione sui temi più caldi della politica nazionale ed internazionale: diritti civili, diversità di genere, autodeterminazione dei popoli, opposizione alla guerra, e politiche antimigratorie. Sarcasmo e provocazione sono le cifre stilistiche dell’artista, che, nel febbraio 2020, poche settimane prima della diffusione della pandemia, ha iniziato ad attirare l’attenzione della stampa e a occupare le prime pagine di giornali a diffusione internazionale.

Tra le opere che l’hanno consacrata senza dubbio #Jenesuispasunvirus e L’abbraccio. La prima raffigura come soggetto principale Fen Xia Sonia, nota ristoratrice cinese della capitale: il poster viene affisso proprio nel quartiere Esquilino, dove si trova il suo locale, e racconta la prima fase dell’epidemia di Coronavirus, quando l’emergenza era ancora confinata quasi esclusivamente alla Cina, e in Italia stavano prendendo piede comportamenti discriminatori nei confronti di uomini e donne orientali, impropriamente accusati della propagazione del virus.
Balzato agli onori della cronaca anche L’abbraccio, un’opera di denuncia che la street artist ha dedicato alla detenzione di Patrick Zaki, studente egiziano dell’Università di Bologna trattenuto come prigioniero in Egitto. Nel poster, affisso nei pressi dell’Ambasciata egiziana di Roma, viene rappresentato Giulio Regeni, che stringe in un abbraccio Zaki, dicendogli che “stavolta andrà tutto bene”.

Un poster di Laika in Bosnia

Nel febbraio 2021 Laika ha inoltre intrapreso un viaggio in Bosnia percorrendo la rotta dei Balcani, dove i migranti, in condizioni disumane, tentano di superare il confine ed entrare in Unione europea. Attraverso una serie di poster, l’artista ha voluto denunciare le violenze della polizia croata nei confronti dei richiedenti asilo in cammino. Il titolo del film coincide proprio con quello di queste opere: Life Is Not A Game. L’incontro tra l’artista e i migranti al confine con la Croazia, diviene infatti centrale nel film di Spera, ricollegandosi anche alla tragicità dell’attuale conflitto russo-ucraino.

Il documentario, realizzato in coproduzione fra la Morel Film e Salon Indien Films, si propone come un’opera popolare, semplice e immediata, e racconta l’atto creativo di Laika attraverso un percorso che si muove tra gioco, ironia e coscienza politica, rabbia e denuncia. Cadenzato dai video-appunti amatoriali realizzati dalla stessa Laika, che, nel tempo, ha documentato le varie fasi del suo iter creativo Life Is (Not) A Game, insomma, non vuole essere un convenzionale documentario, o un biopic, ma il racconto degli ultimi due anni della nostra vita mostrato attraverso gli occhi della street artist romana, che con leggerezza e intelligenza continua a portare avanti la sua lotta politica.

Nella foto d’apertura: Laika in Bosnia, febbraio 2021