Dopo le prime tre giornate di sciopero, partecipato da milioni di persone, francesi di nuovo in piazza sabato 11 febbraio per protestare contro l'ipotesi di allungare l’età pensionabile da 62 a 64 anni

Le riforme del sistema pensionistico (ma sarebbe più corretto chiamarle contro-riforme) sembrano essere un’ossessione di tutti i governi francesi dal 1990 in poi. Alcune di esse sono state bloccate (come quella del 1995, quando milioni di francesi scesero in piazza), altre sono purtroppo andate a segno. Macron e il governo Borne non fanno eccezione. Una prima riforma delle pensioni fu proposta a fine del 2019, ma fu bloccata dalla pandemia e da mesi di scioperi di tutti i settori. Ma, si sa, un’ossessione è un’ossessione. Così, al momento della sua rielezione, ha messo la riforma al centro del suo quinquennio. E ora ha deciso di prestare fede alla promessa fatta.

Una promessa che appare più come una minaccia per i lavoratori francesi. Come c’era da attendersi, si tratta ancora una volta di allungare l’età pensionabile (da 62 a 64 anni) in cambio della fissazione di un minimo pensionistico di 1200 euro, una somma che resta al di sotto della soglia della povertà francese e che rende impossibile vivere in qualsiasi grande città. Vista la prevedibile opposizione, Macron ha deciso di prevedere un calendario rapido per la sua approvazione: poche settimane invece di diversi mesi. Il risultato è però stato l’opposto di quello atteso: se pensava così di impedire che la contestazione montasse, l’effetto è stato quello di accelerare e fare crescere rapidamente le mobilitazioni in tutta la Francia.

Per la prima volta dal 2010 gli scioperi sono stati indetti da tutte le sigle sindacali, da quelle appartenenti alla “sinistra sindacale” fino a quelle più moderate e centriste. Accettare oggi un ulteriore aumento dell’età pensionabile significherebbe colpire in particolare i lavoratori manuali e quelli precari. Come mostrano le statistiche dell’Insee (l’Istat francese) un operaio si trova con una patologia invalidante ben prima dei 60, e la sua speranza di vita è di molto inferiore a quella di un quadro o di un dirigente sindacate. Il 20% dei lavoratori poveri muore prima di andare in pensione o vi sopravvive pochi anni. Un ulteriore aumento sarebbe di fatto una condanna al lavoro a vita. D’altra parte, chi (ormai da anni) è chiuso in universo di lavori precari e mal pagati, non riuscirà mai a racimolare i trimestri contributivi necessari per andare in pensione. Il tutto in presenza di casse pensionistiche in attivo e che necessitano di scarsi apporti della fiscalità pubblica.

Questo cozza con due fatti molto importanti. La prima è che il sistema pensionistico in Francia fu istituito dal ministro comunista Croizat, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, «non come l’anticamera della morte, ma come una nuova tappa della vita»; non come un reddito per i lavoratori che non potevano più partecipare al processo produttivo, ma come un momento in cui si è ancora in buona salute e ci si può dedicare ad altre attività, alla cultura, al tempo libero, a figli e nipoti. La visione di Macron (così come quella degli altri governi precedenti) si scontra quindi con questa visione largamente condivisa. La seconda è che i giovani hanno oggi una relazione con il mondo del lavoro diversa da quella di 20 anni fa. In questi ultimi decenni, anche grazie alle (contro) riforme dell’università e dell’educazione (come l’alternanza scuola lavoro), si è arrivati a oltre un milione di studenti-lavoratori. Uno su tre lavora ed ha quindi una conoscenza diretta del mondo del lavoro e dell’impatto che queste riforme hanno sul futuro e sul presente.

La prima giornata di sciopero ha visto quindi un’altissima partecipazione. Se normalmente le manifestazioni crescono con il procedere del tempo, in questo caso, grazie all’unità sindacale (per tradurla in termini italiani, dalla Cisl ai sindacati di base passando per la Cgil) e all’altissima partecipazione dei sindacati studenteschi e della associazioni giovanili così come dei collettivi universitari, già la prima manifestazione del 19 Gennaio ha visto una partecipazione enorme (400 mila persone a Parigi e 2 milioni in Francia, numeri mai visti per un primo sciopero), cresciuti ulteriormente per lo sciopero di martedì 31 Gennaio (500 mila a Parigi e quasi 3 milioni in Francia). I cortei sono stati così grandi che la manifestazione parigina è stata costretta a dividersi in due percorsi diversi. Certamente queste manifestazioni coagulano anche uno scontento che si è accumulato nei mesi e negli anni passati. Le contrattazioni aziendali dell’ultimo anno non sono riuscite a recuperare che solo parzialmente l’inflazione, a cui si aggiunge la povertà che si è creata durante la pandemia, quando a sparire furono proprio gli impieghi dei giovani studenti (tra ristoranti e alberghi o in sella a qualche bicicletta per la consegna del cibo).

Le prime due mobilitazioni non sembrano aver per il momento frenato il governo. La risposta dei sindacati è stata quindi quella di aumentare la mobilitazione, specie davanti a piazze che diventano sempre più grandi. Da uno sciopero nazionale ogni 2 settimane, si è passati a due mobilitazioni ogni 7 giorni. Questa settimana erano previsti due scioperi, uno si è svolto martedì 7 febbraio e uno ci sarà sabato 11. Ma soprattutto si prevedono scioperi ad oltranza nei settori chiave come i trasporti ma anche nelle raffinerie e nelle centrali elettriche (tra cui quelle nucleari) che saranno probabilmente occupate dai lavoratori in sciopero. Forme inedite di lotta sono già apparse: i lavoratori elettrici della CGT hanno deciso di staccare la luce a quei deputati e senatori che sostengono la riforma, e al contempo di riattaccarla a famiglie a cui è stata tolta perché non riuscivano a pagare le bollette. E’ l’operazione “Robin dei contatori”.

Se l’unità sindacale resterà salda, difficilmente il livello delle mobilitazioni potrà diminuire. A differenza del 2010 (quando alcuni sindacati speravano in una presidenza Hollande per cambiare la riforma), questa volta non c’è nessuna via di uscita politica. L’opposizione, piuttosto timida e formale di Marine Le Pen, lascia pensare che in caso di vittoria possa fare ancora peggio. C’è quindi la possibilità che, come nel 1995 quando si sindacati bloccarono il paese per oltre un mese, anche questa volta la contro-riforma possa essere ritirata.

Foto tratta dal profilo twitter del sindacato francese LaCGT