Speculazione, crisi climatica ed energetica hanno determinato quella che è stata chiamata da molti una tempesta perfetta. In quale contesto socio-politico internazionale sta avvenendo tutto questo? Abbiamo chiesto al professor Alessandro Volpi, docente di Storia contemporanea all’Università di Pisa di aiutarci a capire meglio la congiuntura in cui ci troviamo. «Dall’estate del 2021 l’economia mondiale è entrata in una nuova fase. Dopo oltre vent’anni di deflazione, in cui i prezzi non salivano e i tassi di interesse erano molto bassi, da quella data è ricomparsa una forte inflazione che ha raggiunto rapidamente la doppia cifra. Si tratta – spiega il professore – di un’inflazione trascinata dal veloce aumento del prezzo dell’energia ed in particolare dal gas, che presenta due caratteristiche profondamente diversa rispetto al passato».
Perché l’inflazione con cui stiamo facendo i conti sarebbe un fenomeno per certi aspetti inedito?
In primis per l’entità del rialzo che è stato pari a dieci volte nel giro di pochi mesi: nelle due crisi petrolifere del 1973 e del 1979, il prezzo del barile di petrolio era raddoppiato o triplicato. Dal marzo-aprile del 2021 al marzo-aprile del 2022 il prezzo di un megawattora di gas è salito da 30 a oltre 300 euro; una fiammata di dimensioni sconosciute in precedenza. La seconda caratteristica, ancora più rilevante, è rappresentata dal fatto che un simile balzo non si lega alle dinamiche del mercato reale. In altre parole, durante il periodo in questione la domanda e l’offerta di gas sono state sostanzialmente in equilibrio.
Quanto ha inciso la guerra di invasione russa all’Ucraina?
La guerra in Ucraina e la ripresa della domanda post pandemica hanno determinato un’oscillazione in termini di produzione e di consumo nell’ordine del 10% mentre i prezzi, come ricordato, sono cresciuti di ben dieci volte. Dunque, siamo di nuovo di fronte ad una situazione inedita. La domanda centrale, allora, diventa quella di capire come sia stato possibile tutto ciò. E la risposta è semplice: il rialzo dei prezzi dipende quasi interamente dalla speculazione finanziaria. In altre parole, i prezzi del gas sono stabiliti in piattaforme – nel caso europeo – l’hub di Amsterdam, dove operano non solo i produttori di gas ma, soprattutto, banche d’affari e fondi hedge che “scommettono” sull’andamento dei prezzi del gas e traducono in maniera immediata le possibili aspettative del futuro. Se l’andamento della guerra in Ucraina fa presagire un calo di produzione, gli operatori finanziari scommettono sul rialzo dei prezzi e quelle scommesse determinano, subito, un aumento del prezzo a cui il gas viene venduto con un effetto pressoché immediato sulle bollette dei consumatori. Lo strumento attraverso cui avvengono tali scommesse sono i titoli derivati che erano nati come assicurazioni contro il rischio di oscillazioni di prezzo per coloro i quali operavano nel mercato reale e ormai da una ventina di anni possono essere creati e venduti, invece, anche da soggetti che non hanno nulla a che vedere con la produzione dei beni “assicurati”, diventando a tutti gli effetti delle scommesse. Queste scommesse sono all’origine della gigantesca crisi che ci sta investendo e che facciamo fatica ad affrontare.
Qual è stata la strategia italiana ed europea per affrontare inflazione e speculazione in un quadro di finanziarizzazione dell’intera economia?
Direi che l’unica strategia è stata quella dell’emergenza, incentrata peraltro su un unico aspetto costituito dall’esigenza di procedere a sostituire il gas russo con altre fonti di approvvigionamento. Una simile strategia ha trascurato diversi altri aspetti fondamentali. Il primo è proprio quello dei prezzi: il prezzo praticato da altri fornitori non è stato, a lungo, più basso di quello che veniva praticato dalla Russia; anzi nel caso del gas liquido naturale trasportato via nave i costi, e i prezzi, sono decisamente più alti e ancora più speculativi. Da qualche settimana il prezzo del gas sta scendendo ad Amsterdam, rimanendo tuttavia ad un livello che è più che doppio di quello reale, ma ciò dipende proprio dalla necessità di un assestamento temporaneo rispetto ai picchi raggiunti. Non è affatto detto che i prezzi continuino a scendere in queste condizioni fortemente sensibili alla speculazione. In tal senso l’Unione europea non sembra voler affrontare realmente la questione del “mercato dell’energia” eliminando appunto le distorsioni speculative a cominciare dai derivati, sui quali esiste un datato e oscuro Regolamento del 2012. Senza questa regolazione e senza un vero contrasto alla speculazione anche il tetto a 180 euro posti di recente rischia di essere inefficace nel medio periodo. Manca poi del tutto la volontà europea di procedere al cosiddetto “disaccoppiamento” del prezzo delle varie forme di produzione dell’energia da quello del gas. Oggi, per effetto di una norma europea che prevede che il prezzo dell’energia sia parametrato su quello della fonte che costa di più, il gas traina tutti i prezzi, anche di quelli delle fonti, come nel caso delle rinnovabili, che hanno costi più bassi. Il disaccoppiamento avrebbe il duplice beneficio di abbassare i prezzi dell’energia e di incentivare l’utilizzo delle rinnovabili, contribuendo peraltro a disinnescare le speculazioni che ormai stanno riguardando anche i certificati e le obbligazioni “verdi”. Su tutto ciò l’Europa è sostanzialmente ferma.
Quali le possibili soluzioni per evitare il disastro e ridurre le disuguaglianze?
La prima, indispensabile, consiste nel riportare la finanza al ruolo che dovrebbe svolgere rispetto all’economia reale. Gli strumenti finanziari dovrebbero essere adoperati per rendere il mercato più efficace, avvicinandolo al valore reale dei beni e dei servizi. Il prezzo dei beni e dei servizi deve avere la capacità di rispettare la dignità del lavoro e la sostenibilità delle produzioni, garantendo la giustizia della distribuzione dei redditi. Oggi la finanza è totalmente scollegata dall’economia reale e si è trasformata in una colossale sala da gioco dove i redditi e la ricchezza si polarizzano nelle mani di grandi operatori, in grado poi di entrare nella proprietà delle stesse imprese dell’economia reale, generando un vero e proprio monopolio. I fondi che hanno scommesso sul gas, sui cereali e su una serie di commodities, determinandone i prezzi, sono infatti gli stessi che compaiono nell’azionariato delle grandi compagnie energetiche – magari in qualità di soci del partner pubblico – in quello delle grandi società che commercializzano beni agricoli e materie prime e in quello delle grandi banche dei vari Paesi da cui dipende il credito produttivo e quello retail. In questo senso, davvero, la speculazione concentra il potere economico, e non solo, in una ristretta cerchia di destinatari da cui dipendono le sorti del pianeta.
In questo contesto occorre una nuova visione e una cultura politica da parte della sinistra?
Certo, la sinistra dovrebbe avere la forza di tornare a misurarsi con temi complessi come quello degli effetti della finanziarizzione, dovrebbe provare a rendere “popolare” la questione della genesi delle disuguaglianze determinate da una pratica di mercato che ormai non ha più nulla a che vedere con la creazione reale del valore. Dovrebbe provare a mettere in luce che mercato e capitalismo sono due termini tra loro molto distinti perché il capitalismo ormai è diventato una forma di sfruttamento pressoché dominata dal potere finanziario e dalla finanziarizzazione dell’economia che si sono divorati ogni traccia dello stesso mercato così come definito da diverse correnti pensiero sociale e come, almeno in parte, ha funzionato per vari decenni. Nel capitalismo finanziarizzato non c’è spazio per lo Stato sociale, per la lotta alle disuguaglianze e neppure per la ricerca di una distribuzione dei redditi resa possibile appunto da un mercato equo. Io penso si dovrebbe partire da qui.
Questa intervista al professor Alessandro Volpi, docente di Storia contemporanea all’Università di Pisa è stata realizzata a margine dell’incontro “Speculazione, crisi climatica ed energetica: La tempesta perfetta? Analisi e proposte di soluzioni” che si è svolto in occasione del Congresso provinciale dello Spi Cgil di Cuneo, di cui l’autrice, Daniela Bedino, è segretaria
In foto, il Toro di Wall Street, una scultura in bronzo realizzata da Arturo Di Modica e collocata presso il Bowling green park, nel quartiere della borsa di New York. Immagine Adobe Stock di kirkikis