Il 19 febbraio (Yekatit 12 nel calendario etiope) l’Etiopia commemora l’86° anniversario del massacro di Addis Abeba in ricordo dei 20mila civili innocenti uccisi dal regime fascista nel 1937 a seguito di alcune bombe lanciate da ragazzi eritrei verso le autorità colonialiste italiane, ferendo il generale Rodolfo Graziani, figura che diventa emblematica nel rimosso di questa fase storica in Italia, nella politica così come nella cultura mainstream. Perché a Graziani, governatore della Libia, della Somalia e viceré di Etiopia, è stato dedicato un monumento ad Affile, suo comune di nascita in provincia di Roma, benché fosse considerato un criminale di guerra dall’Onu.
La parabola del colonialismo italiano continua infatti a tacere o a banalizzare la portata di quelli che furono efferati crimini contro l’umanità, mai riconosciuti come tali e artefici sotto il nuovo nome di neocolonialismo delle conseguenze che ancora oggi si abbattono sui nativi delle terre d’oltremare.
Non c’è, di fatto, nella società contemporanea del nostro Paese l’esigenza di costruire una coscienza critica che sviluppi un nuovo senso comune, storico e civile, sulle mire e sulle conseguenze dell’espansionismo che, prima nell’età liberale e poi con il fascismo, avviarono l’Italia alla conquista dell’Eritrea, Somalia, Libia ed Etiopia. Solo con la fine del secondo conflitto mondiale, il Trattato di Parigi del 1947 sancirà la perdita per l’Italia di tutte le sue colonie, ad eccezione della Somalia che le fu assegnata sotto forma di amministrazione fiduciaria delle Nazioni Unite fino al 1960, anno della sua indipendenza.
Più di ottant’anni di colonialismo italiano non sono dunque riusciti a scalfire, nell’immaginario collettivo, il topos dell’ “italiano buono” portatore di civiltà e lavoro; una vulgata nostalgica e retorica, mai seguita da un dibattito pubblico nazionale, costruita attraverso gravi mistificazioni ed operazioni censorie che ne hanno ostacolato e condizionato la ricerca storica.
Solo di recente, lo scorso 6 ottobre, il Consiglio comunale di Roma Capitale ha approvato la mozione 156 che istituisce il 19 febbraio “Giornata in memoria delle vittime del colonialismo italiano” che, come si diceva, è il giorno di inizio della strage di Addis Abeba nel 1937.
Facciamo il punto della situazione con Kwanza Musi Dos Santos, attivista per i diritti umani che da anni porta avanti campagne di mobilitazione e istanze a livello sociale e istituzionale per le comunità marginalizzate e co-fondatrice dell’associazione Questa è Roma composta da giovani italiani di origine straniera, nata con l’obiettivo di emarginare ogni forma di discriminazione attraverso l’arte e la cultura.
Se da una parte sono trascorsi molti anni dal colonialismo italiano, dall’altra ci sono fatti storici che non sono avvenuti sotto i nostri occhi. Anche per questo motivo vengono percepiti forse come se non ci fossero mai appartenuti. Ha invece un senso, secondo lei, parlarne ancora oggi? E perché?
Non credo che, siccome il colonialismo italiano è avvenuto “lontano dai nostri occhi”, questa possa essere una motivazione plausibile perché allora, in generale, non avrebbe senso celebrare la storia o conoscere la storia degli antichi romani che è accaduta ancor prima. Mentre per esempio, per quanto riguarda il colonialismo ci sono ancora persone vive, che hanno fatto parte attiva di questa terribile pagina della storia italiana. Ci sono ancora dei nonni in vita, che erano colonialisti all’epoca e quindi non penso sia una questione temporale. Penso piuttosto che tale rimozione sia stata fortemente voluta. Questo si vede anche da come, per esempio, venga data la giusta attenzione all’olocausto, che è avvenuto in concomitanza, negli stessi anni, e vengano invece completamente tralasciati i crimini del colonialismo italiano … Non si dà, non si è volutamente data visibilità ai fatti del colonialismo italiano proprio perché c’è una volontà di rimozione storica che è anche legata a quanto accade ai giorni d’oggi. Gli eritrei, ad esempio, (e non soltanto loro purtroppo) rischiano la vita in mare e spesso la perdono, ma c’è la volontà del governo italiano di far sembrare come se queste persone non “meritino” diritto di asilo, ancor di più se il motivo per il quale scappano dalle loro terre c’entra anche con tutto quello che noi abbiamo fatto a casa loro.
Se dovesse raccontare qualcosa ai giovani stranieri che arrivano in Italia affrontando i “viaggi della speranza”, quale nesso proverebbe a fare con il colonialismo?
Ecco, in parte ho risposto nella prima domanda… È questo il nesso con il colonialismo: continuare a comportarci come se tutto ci è dovuto e tutto ciò che invece “gli altri” desiderano se lo devono meritare, rischiando la vita e sacrificando tutto quello che hanno, mentre noi continuiamo ad avere tutto il diritto di andare in giro a colonizzare! E questa arroganza, questa strafottenza la si vede e la si riscontra ancora quando, ad esempio, andiamo a fare viaggi di piacere in questi Paesi, perché purtroppo andiamo lì portandoci dietro questo pensiero colonizzatore, di superiorità nei confronti dell’altro, del “diverso”.
Nei programmi scolastici non è ancora ufficialmente inserita la storia del colonialismo italiano. Quando se ne parla e si fa ricerca storiografica è perlopiù merito dello straordinario lavoro del corpo insegnante che si muove per iniziativa personale. Cosa ne pensa?
Questo, a mio parere, rientra nel cosiddetto “razzismo istituzionale”. La scuola è una istituzione e in quanto tale nella scuola si continua a riprodurre questo sistema di oppressione strutturale delle persone “non bianche” e delle persone afrodiscendenti, in questo caso. Si continua ad offrire quell’immaginario secondo il quale i “neri italiani” non esistono, gli africani sono tutti dei poveracci e noi, se e quando interagiamo con gli africani, lo facciamo per il loro bene perché noi siamo “italiani brava gente” e loro ci devono ringraziare per quanto facciamo e per quanto abbiamo fatto. E dunque questa retorica deve continuare anche a livello dell’istituzione scolastica. Io dico grazie invece a quei pochi insegnanti che riescono ad uscire da questo binario, proponendo più contenuti. Ma è gravissimo che si riesca a dire qualcosa di altro solo attraverso l’iniziativa personale di alcuni.
Cosa pensa della recente approvazione da parte del Consiglio comunale di Roma Capitale dell’istituzione della “Giornata in memoria delle vittime del colonialismo italiano”. Ci si è arrivati molto tardi, non trova?
È stata assolutamente tardiva l’approvazione da parte del Consiglio comunale di Roma ma è pur vero che la città di Firenze, già qualche mese prima, e la città di Roma sono state le prime città italiane ad approvare questa Mozione sul tema del colonialismo italiano, anche in modo decisamente esplicito. Quindi lo reputo un segnale decisamente positivo anche se ci siamo arrivati molto tardi.
Secondo lei, cosa si sta muovendo a livello nazionale?
A livello nazionale già da tempo ci sono realtà collettive che realizzano passeggiate o interventi artistici, focalizzando il lavoro sui vari monumenti o targhe che ancora oggi nelle città celebrano i colonialisti e il colonialismo italiano. A livello di società civile c’è ad esempio la “Federazione delle Resistenze” mentre a livello istituzionale stiamo lavorando insieme all’Anpi per una proposta di legge a livello parlamentare. Proposta che a breve dovrebbe essere presentata.
Ci siamo spesso ritrovati a scrivere che la società civile è molto più avanti delle istituzioni ma è pur vero che il nostro Paese persevera, continuando a sottrarsi ai suoi obblighi di Paese civile. I pregiudizi che ancora oggi caratterizzano la nostra visione dell’ “altro” sono senza dubbio l’eredità più significativa della storia contemporanea del nostro Paese, ed in particolare dell’infelice storia del colonialismo.
La rassegna
Per contribuire ad avviare un processo di riflessione collettiva e studio sui crimini del colonialismo italiano, la Rete Yekatit organizza dal 13 al 19 febbraio 2023 a Roma una settimana di riflessioni, passeggiate, concerti, dibattiti e altre iniziative volte a sostenere e promuovere l’applicazione della mozione 156 approvata dal Consiglio Comunale di Roma Capitale il 6 ottobre 2022 per la ri-significazione dell’odonomastica coloniale presente nella città di Roma e l’istituzione del 19 febbraio come “Giornata di riflessione sui crimini e sulle eredità del colonialismo italiano”.
Tantissimi i protagonisti, fra i quali l’africanista Triulzi e lo storico Focardi e l’archeologa Maria Pia Guermandi. Tantissimi gli spazi coinvolti a cominciare dalla Biblioteca antirazzista di Roma, la Fondazione Lelio Basso, La Biblioteca Mandela, al Museo delle civiltà- Museo Pigorini e molti altri
Ecco il programma completo della rassegna a Roma
(Ha collaborato Mariangela Di Marco)
Nella foto: particolare del monumento eretto nel 1955 ad Addis Abeba in memoria delle vittime della strage del 19 febbraio 1937