"Oggi quello che manca è il coraggio (soprattutto da parte dei teatri pubblici) nel programmare lavori più curiosi e spiazzanti, che col pubblico avrebbero sicuramente un buon effetto. Le stagioni così finiscono tutte per assomigliarsi", dice Giovanni Guerrieri fondatore della compagnia Sacchi di sabbia

I Sacchi di sabbia rappresentano sulla scena italiana del teatro un segmento che ha intrinseche radici con il teatro sperimentale. Nato nel 1995 a Pisa, in Toscana, a Pisa, la compagnia da subito si è distinta per una particolare ricerca sul testo, sulla rivisitazione. I riferimenti sono i testi importanti della scrittura non solo quella teatrale ma quella letteraria. E’ quindi un punto fermo della compagnia cercare nei classici contatti con il contemporaneo, riscrivendo, rivedendo, ridisegnando un mondo fatto di parole e di suoni. Spesso le loro trovate riportano lo spettatore ad una visione da vis comica. Questo è un espediente singolare che rimanda alla logica del teatro leggero, ovvero a quel tipo di scrittura che potesse coinvolgere le persone attraverso la risata, attraverso la battuta. Per questo partirono da Shakespeare, Orfeo, Pinocchio che diventa marmocchio fino alle recenti produzioni come Sette contro Tebe o all’Andromaca. Giovanni Guerrieri fondatore della compagnia ci racconta la loro avventura, che li vede in scena per tutto marzo e oltre.
Giovanni Guerrieri come è nata l’idea di creare la compagnia e perché questo nome, Sacchi di sabbia?

I Sacchi di sabbia nascono esattamente a metà anni Novanta, durante una piena d’Arno. In quel mentre anche il Cavaliere scendeva in campo…insomma ci sembrava che il Paese facesse acqua da tutte le parti! Da qui il nome Sacchi di sabbia, una metafora come un’altra di resistenza.

Avete da subito iniziato a lavorare su testi importanti del teatro e della letteratura rivisitandoli con quale scopo?

Siamo molto legati ai topos del nostro immaginario: ci piace visitarli, ribaltarli, esplorarli per capire le potenzialità che ancora hanno. Se riescono a parlarci ancora. Ora i testi del nostro canone culturale non solo i grandi testi, ma anche i testi considerati minori, teatrali o no che siano. Per questo abbiamo affrontato Sandokan, Don Giovanni, Orfeo, Riccardo III, i Moschettieri, ecc. La chiave del comico è quella che utilizziamo per prima, quella che ci viene più spontanea. Ma non si tratta esattamente di parodia, anche quando si ride. Se il risultato è semplicemente parodico è perché i topos si sono esauriti e si prestano ad essere ridicolizzati. Altrimenti il risultato è più ambiguo, un misto di comico e tragico.

Cosa è importante per voi, il movimento o la parola?

Direi che il nostro linguaggio è continuamente alla ricerca di una sintesi tra parola e movimento. Cerchiamo di essere precisissimi, anche quando sembriamo scassati. Ogni gesto è importante, ogni parola è importante, ogni silenzio è importante. E’ la combinazione di tutto questo che crea la scultura ritmica dello spettacolo.

La scelta come in Sette contro Tebe di mettere insieme napoletano e toscano è utile alla narrazione o è un espediente per poter meglio entrare nel vostro mood?

L’utilizzo del dialetto in questo spettacolo ha varie funzioni. C’è una funzione ritmica, in quanto il dialetto ci permette un fraseggio più veloce colorito. Poi c’è una funzione che definirei di contrappunto: l’abbassamento che introduce il fraseggio toscano o napoletano, esalta l’italiano colto dei versi eschilei, stagliandoli come delle gemme che lo spettatore può contemplare.

Dopo quasi trent’anni di lavoro che significa per te esperienza teatrale?

La mia esperienza teatrale è legata a quella dei Sacchi di sabbia, con cui condivido un cammino lungo quasi trent’anni. Quando ci siamo formati cercavamo di metter insieme l’immaginario popolare tipico per esempio della Smorfia , con il teatro più colto, quello di Carmelo Bene, Carlo Cecchi, Leo De Berardinis. Facevamo una sorta di cabaret, molto sensibile agli umori del pubblico. Ci piacevano i discorsi indiretti, non ci saremo mai avventurati nella satira politica eppure il nostro Otello, si può dire l’esordio della compagnia, parlava anche di Berlusconi. Ancora oggi questa nostra ricerca continua a sollecitarci. Dobbiamo magari prenderci qualche pausa in più, tra una produzione e un’altra, per non cadere negli stereotipi.

I rapporti con il teatro off?

Ci siamo formati vedendo teatro off: gli spettacoli di Leo De Berardinis, di Enzo Moscato, di Carlo Cecchi, della Societas Raffaello Sanzio, di Alfonso Santagata e Claudio Morganti, del Teatro delle Albe erano teatro off negli anni Novanta. Nel senso che non li vedevi nelle stagioni ufficiali, ma dovevi andare a cercarli nei Centri di sperimentazione teatrale. Vicino a noi, a Pontedera, ce n’era uno molto importante. Noi viviamo in quello che si potrebbe definire teatro off, che spesso è programmato anche da grandi teatri, ma in contenitori speciali che vanno sotto l’etichetta di teatro contemporaneo.

Come vivete la scena teatrale attuale?

Ci dispiace che non ci sia più coraggio (soprattutto da parte dei teatri pubblici) nel programmare lavori più curiosi e spiazzanti, che col pubblico avrebbero sicuramente un buon effetto. Le stagioni finiscono tutte per assomigliarsi…

Il senso del suono legato alla recitazione?

Per noi la recitazione è una sorta di canto ritmico, che scolpisce il tempo dello spettacolo. Serve a creare quel vortice empatico che trascina il pubblico nel “tempo” dello spettacolo, come un incantamento. Abbiamo quindi molta cura delle nostre modalità recitative.

Cosa avete in cantiere per il futuro?

Siamo alle prese con Aristofane. Abbiamo realizzato con Massimo Grigò un ”solo” su la prima commedia del drammaturgo ateniese, Gli Acarnesi, che si chiama La Commedia più antica del mondo, perché appunto è la prima commedia che ci è arrivata. A questo pezzo, sempre in forma do assolo ma con Silvio Castiglioni, aggiungeremo la tragedia più antica del mondo, sui Persiani di Eschilo. Poi chiuderemo il percorso su Aristofane mettendo in scena Pluto. Tutto questo tra il 23 e il 24 marzo. Abbiamo anche un progetto col teatro Metastasio su un’opera di Frenc Molnar, l’autore de I ragazzi di Via Pal. Della serie: e ora qualcosa di completamente diverso.

Giovanni Guerrieri, I sacchi di sabbia

In tournée: Il 23 marzo i Sacchi di sabbia sono in scena ala Teatro del Popolo di Castelfiorentino con La commedia più antica del mondo. Il 24 marzo sono al Teatrino Groggia , a Venezia con Andromaca e il 25 con lo stesso spettacolo a Marostica (Vi). Il 26 marzo al Teatro Vittoria a Cascine di Buti (Pi) con Sette contro Tebe. Il 27 marzo i Sacchi di sabbia sono in scena a Pavia con La commedia più antica del mondo, che il 29 marzo approda all’Auditorium Pasquini a Castiglioncello (Li). Infine il 30 marzo anteprima nazionale de I persiani di Eschilo a Cattolica e il primo aprile al Teatro Tor Bella Monaca con La commedia più antica del mondo.