«Mai come ora c'è stato un giornalismo di così alto livello, impegnato sui temi dei diritti umani e del femminismo. Di contro c'è una macchina multimilionaria che ha in mano i grandi media e soprattutto la televisione. In Spagna, per esempio, abbiamo Telecinco di proprietà di Berlusconi», ricorda la scrittrice e giornalista spagnola

Malaga (Spagna) – Patricia Simon, reporter di guerra in zone sensibili e di conflitto, ha alle spalle vent’anni di lavoro e di inchiesta, in Colombia, in Iraq, in Ucraina. Si occupa da sempre di diritti umani ed è in prima linea nella battaglia culturale ecofemminista. Scrittrice e docente universitaria, nel 2022 ha scritto due libri per riflettere sul tema della paura indotta dal potere contro le frange sociali più marginalizzate, come i migranti e i poveri. Importanti in questo ultimo anno le sue cronache dall’Ucraina, dove è stata fin dall’inizio da quel terribile 24 febbraio dell’anno scorso. Incontrandola a Malaga sono partita da qui:

Patricia, da giornalista attenta ai diritti umani cosa pensi del ruolo che ha svolto il giornalismo in Ucraina e su altri teatri di guerra? 
Ritengo che mai come ora ci sia stato un giornalismo di così alto livello, impegnato sui temi dei diritti umani e del femminismo. Di contro abbiamo la macchina multimilionaria che ha in mano i grandi media e soprattutto la televisione, qui della Spagna, per esempio, abbiamo Telecinco di proprietà di Berlusconi. Sono modelli mediatici di spettacolarizzazione, sensazionalismo e banalizzazione di ogni cosa che sono stati presi come punto di riferimento anche da altre televisioni soprattutto private. Ma nonostante questo, va detto, possiamo contare su un giornalismo rigoroso, indipendente con un taglio come dire “olistico”, che si contrappone a questa televisione che produce solo ignoranza e risentimento. Purtroppo le persone fruiscono da anni di questo materiale tossico che le induce a odiare chi migra, la gente povera, prendendosela in particolare con le donne. Insomma da una parte abbiamo  un buon giornalismo, ma dall’altra abbiamo anche un’industria della disinformazione molto potente.

Nell’epoca di internet e dei social il giornalismo di qualità è un baluardo contro le  le fake news? Come possiamo trovare e ricercare la verità dei fatti, nell’infinità quantità di notizie vere e false che circolano sul web?
I social  tante volte ci hanno fornito materiale di prima mano, ad esempio ci hanno permesso di sapere cosa accadeva con la Primavera araba. Al contempo gli algoritmi hanno iniziato a polarizzare le notizie  virando sul sensazionalismo. Con il passare degli anni, sempre più, gli algoritmi rendono invisibili le informazioni, le notizie, le voci fuori dal coro, le fonti diverse, questo viene penalizzato e oscurato nella rete. Viviamo nei social  e sono una sorta di cassa di risonanza, che riafferma ciò che già pensiamo, perché costa molto ascoltare chi la pensa in maniera diversa da noi. Se non siamo capaci di confrontarci con la pluralità di idee e di opinioni stiamo in qualche modo rinunciando ad uno spazio sociale e comune che è precisamente il luogo democratico. L’estrema destra ha iniziato a investire molto denaro sui social, così da sovrastare le voci e le posizioni progressiste. Per questo inizio a pensare che internet abbia più controindicazioni che vantaggi, che dovremmo  limitare il tempo che passiamo in questi spazi virtuali che rischiano di affievolire la nostra capacità di attenzione, la nostra memoria e la nostra calma emotiva e che in certo modo generano dipendenza.

Patricia Simón

Patricia tu hai scritto vari libri, partiamo dalle due ultime pubblicazioni, edite nel 2022, da Miedo. E in particolare da Paura, viaggio in un mondo che resiste all’odio che lo governa. Raccontaci di questo lavoro.
È una indagine sulla paura, una radiografia, di come questa emozione venga strumentalizzata dal potere e dalla classe politica per generare odio contro la classe più povera e le persone migranti, ci manipolano attraverso la paura e indeboliscono la democrazia. In venti anni di cronaca giornalistica rifletto sulla paura, chi ha generato in noi questo stato d’animo negativo, chi ci lucra, come opera questo sentimento che ci viene indotto. Lo narro attraverso attivisti dei diritti umani che ho conosciuto nel tempo, vorrei che tutti potessero conoscere questi uomini e donne di valore. Non è un libro pessimista, nasce proprio per rompere questa tendenza al negativo che viviamo.

Troppo spesso i difensori dei diritti umani vengono uccisi per le loro battaglie e rivendicazioni, pensiamo a tanti casi emblematici e drammatici da Marielle Franco a Berta Caceres, che ne pensi?
Penso che chi combatte oggi nel sociale contro l’estrema destra e contro le multinazionali, siano perlopiù donne.  Le più impegnate sono soprattutto donne, perché sono quelle più organizzate, che ci mettono più passione. Ma troppo spesso chi lotta per la vita umana, per l’ambiente, come faceva coraggiosamente Berta Cáceres, viene eliminata.

Un altro tuo libro è dedicato all’Ucraina invasa da Putin. Sei stata inviata a Kiev, cosa pensi di questa guerra, e riprendendo il titolo del tuo lavoro, cosa cambia, cosa distrugge la guerra?
Questa guerra è molto complessa. Ho molto chiaro che la vittima è l’Ucraina, il Paese che è stato invaso e viene ad oggi attaccato e che la Russia sta commettendo crimini contro l’umanità. Questo è ingiustificabile è inaccettabile  la sofferenza che sta generando, violenze, massacri. Vedo anche una mancanza di lavoro diplomatico e di tessitura per ottenere la pace da parte dei Paesi dell’Unione Europea e della Nato che oramai aderisce totalmente alle decisioni degli Stati Uniti. Sappiamo che Putin è un criminale di guerra da anni, lo abbiamo visto in azione in Siria, vediamo come si comporta il gruppo paramilitare Wagner. All’Ucraina non imputo nulla perché ritengo che in quanto vittima utilizzi giustamente ogni mezzo, propaganda compresa, per difendere la  popolazione civile che viene massacrata.

Tu  chiami l’Europa alle sue responsabilità, a un ruolo da protagonista nella costruzione della pace, che fin qui non ha esercitato con determinazione?
L’Europa deve fare pressione lavorare per una soluzione diplomatica e per arrivare ad accordi di pace abbandonando un rigido discorso atlantista che ci espone al pericolo perché la Russia che è una super potenza nucleare molto più vicina a noi geograficamente di quanto lo siano gli Stati Uniti. La guerra distrugge tutto. Ci getta in una dimensione di paura che l’umanità si estingua. L’ho visto già la prima settimana che sono stata a Kiev, ho visto il terrore, la paranoia della gente, che comincia a pensare che tutti possono essere nemici, ho visto l’egoismo e la lotta di sopravvivenza, nel cercare cibo, acqua. Ho visto il dolore profondo perché si è costretti ad abbandonare le proprie case, il proprio territorio, e la violenza psicologica che la guerra genera, quando uccidono tuo figlio o tuo marito, ti violentano di fronte a tuo figlio, e tutto questo si trasforma in odio. E questo non lo riesci a perdonare, anche se sai che in Russia c’è una parte della popolazione che non è in accordo con questo conflitto bellico e con Putin. La guerra è sicuramente la cosa peggiore che possa accadere. Come giornalisti non dobbiamo raccontarla come un videogioco perché
parliamo di persone che muoiono di freddo e di fame e che vorrebbero solo tornare a casa dai loro figli e dobbiamo altresì raccontare le vere eroine di questa guerra che sono le donne, che danno da mangiare quando non c’è il cibo, che riscaldano quando c’è solo freddo, e continuano a dare la vita, quando tutto intorno a te è morte.

Un’ultima domanda, Patricia, tu ti dichiari femminista, precisamente ecofemminista, in una sola parola come definiresti il femminismo e come innerva il tuo lavoro?
Il femminismo in una sola parola per me è uguaglianza. Ho la fortuna di lavorare in maniera autonoma, indipendente, anche qui dalla mia casa a Malaga. Dobbiamo amare la vita, abbiamo il diritto a vivere al meglio, a proteggere il nostro ambiente, la madre terra. Spesso come giornalisti dobbiamo assumerci la responsabilità di raccontare il lato brutto, drammatico, di quel che sta accadendo nel mondo, ma non dobbiamo smettere di raccontare anche ciò che di buono e di bello nei rapporti umani, nonostante tutto. Non dobbiamo accettare che le vittime siano vittime perché pagano l’ingiustizia che passa nella nostra società. Dobbiamo opporci e insieme rivendicare la gioia di vivere, di stare bene in questo mondo fatto di persone.