ELLE è il progetto di un gruppo di tre giovani artisti – Marco Calderano, batteria e chitarre, Miriam Fornari, tastiere ed elettronica e Danilo Ramon Giannini, voce e liriche – nato da un incontro avvenuto poco tempo prima della pandemia del 2020.
Abbiamo parlato con i tre musicisti in occasione della pubblicazione del loro nuovo disco – ELLE Volume II (Urtovox Records). Tutto il disco è permeato da un’atmosfera sospesa, con un approccio quasi “minimalista”, i pochi strumenti a disposizione, batteria, chitarre e tastiere, vestono con sobrietà melodie e testi permeati da una singolare malinconia, che resta però sempre agganciata ad una speranza di rinascita. I singoli brani partono di solito in maniera sommessa, con l’enunciazione delle prime strofe cantate dalla voce di Danilo, poi, quasi inaspettatamente la musica si espande, entrano le chitarre e la batteria mentre la melodia, doppiata dalla seconda voce di Miriam, si distende verso un finale aperto.
Lo sguardo si rivolge alla finestra, scrutando l’esterno giorno di un grigio pomeriggio autunnale. Prima del tramonto, un raggio di luce filtra attraverso gli strati di nuvole e fa presagire l’arrivo di un nuovo giorno. Il sole sorge ancora. “The sun also rises” come recitava il titolo di un famoso romanzo di Ernest Hemingway, che non a caso viene citato anche nelle pieghe del testo di “Sailing roads”.
Come nasce il gruppo ELLE?
«Impossibile non legare la nascita della band ELLE alla pandemia del 2020» ci racconta Marco Calderano. «Ci siamo incontrati proprio pochi mesi prima e, grazie soprattutto ad un’intuizione di Miriam, che mi ha subito incoraggiato a comporre, abbiamo iniziato a suonare assieme. Il distanziamento e il relativo lockdown invece di scoraggiarci, ha fatto emergere una voglia nuova di approfondire e scrivere delle cose proprie, a dispetto di una situazione esterna davvero poco incoraggiante. È avvenuto così che il primo disco omonimo – ELLE – ha visto la luce sul finire del 2020 quando le restrizioni sembravano potersi allentare. Nel corso del 2021, con l’alternarsi dei periodi di aperture e chiusure imprevedibili, la situazione ci ha costretto di nuovo ad un blocco delle esibizioni dal vivo. Ma, come era già accaduto in precedenza, la solitudine forzata ci ha dato l’opportunità di continuare a scrivere e comporre. Pian piano è nato così questo Volume II».
In che cosa questo album si differenzia dal primo e in che cosa invece prosegue su quella falsariga?
«Di fatto, almeno musicalmente, le analogie prevalgono sulle differenze – ribadisce Marco – anche perché sul piano compositivo, nell’intervallo tra il primo ed il secondo disco non ci siamo mai fermati, anche se a ben guardare c’è stata un’evoluzione, forse anche inconsapevole, nel modo di comporre. Ad esempio “We know”, l’ultimo pezzo inserito nell’album, ha una struttura compositiva aperta che ci apre la strada verso direzioni completamente diverse».
«La musica è legata con un filo rosso alle prime composizioni – spiega Danilo Ramon Giannini – ma il nostro vissuto durante la pandemia ha fatto sì che le canzoni del nuovo lavoro siano forse più mature. Mentre all’inizio i testi erano incentrati di più su una ricerca interiore, un guardare essenzialmente dentro se stessi, nei nuovi brani c’è una maggiore apertura verso l’esterno, un’attenzione al rapporto con l’altro e con il diverso da sé».
«Nella scrittura dei brani – prosegue Miriam Fornari – il modus operandi del gruppo è sempre stato di tipo cooperativo. Normalmente è Marco che porta in studio le bozze del brano, con la sequenza degli accordi, e poi lavoriamo insieme, anche se io mi dedico maggiormente agli arrangiamenti, mentre Danilo Ramon Giannini è responsabile dei testi, tutto il lavoro si basa su un interscambio continuo ed incessante di idee e scelte tra tutti noi».
Che cosa ne pensate della definizione di “post rock” spesso utilizzata per cercare di descrivere la vostra musica?
«Credo che ormai nel 2023 il concetto di “genere musicale” – afferma Miriam – troppo spesso utilizzato e direi “abusato” in passato non abbia più senso oggi. I musicisti delle nuove generazioni come la mia sono cresciuti in un’epoca di globalizzazione culturale e di conseguenza anche musicale. Abbiamo ascoltato di tutto ed ognuno di noi ha tanti “padri” e quindi ci portiamo dietro un po’ l’eredità “genetica” di tutto quello che c’è stato prima di noi, ma anche di tutto quello che ci circonda adesso».
«Non a caso – prosegue Marco – nel disco compare anche una rivisitazione di “Landslide” dei Fleetwood Mac (conosciuta peraltro attraverso la cover degli Smashing Pumpkins) che apparentemente potrebbe sembrare la cosa più lontana dal nostro approccio alla musica».
«Ognuno di noi inoltre viene da storie ed esperienze assai diverse che vanno a fondersi in un’unica entità artistica – aggiunge Danilo – quindi per noi l’obbiettivo più importante resta quello della ricerca di una nostra precisa identità come gruppo musicale al di là di qualsiasi etichetta di comodo».
Qual è dunque la vostra storia individuale prima di incontrarvi e formare il gruppo?
«Io sono di Perugia – racconta Miriam – e provengo da una formazione classica di conservatorio e dalla specializzazione ottenuta presso Siena Jazz, e mi è sempre piaciuto scrivere e poter dare il mio apporto nell’ambito della composizione e dell’arrangiamento ai musicisti che di volta in volta chiedevano la mia collaborazione».
«Io invece – prosegue Danilo – vengo da mondo del teatro che frequento come attore, ma ho sempre coltivato questo mio animo musicale, oltre che come cantante, anche nella scrittura di testi e monologhi sia per il teatro che nella canzone. Nei testi del disco ho voluto inserire anche dei riferimenti letterari e delle citazioni, a volte rubate a Shakespeare, oppure a Hemingway, come nell’intermezzo da “Il vecchio e il mare” inserito in “Sailing Roads”».
«La mia storia è un po’ diversa – racconta Marco – come molti ho iniziato a suonare la chitarra da ragazzo come autodidatta. Dopo il mio trasferimento a Roma, ormai diversi anni fa, ho avuto la possibilità di studiare ed approfondire seriamente chitarra e batteria».
Perché la scelta dei testi in inglese?
«Il nostro retroterra musicale ci ha condotto in modo del tutto naturale verso l’inglese – spiega Danilo – in particolare verso il suono della lingua inglese, che resta un carattere originario del rock, e che abbiamo voluto utilizzare per poter creare delle immagini e delle suggestioni, anche sonore, attingendo anche a reminiscenze letterarie e libere citazioni di scrittori e poeti, spesso senza sentirci in obbligo di seguire i dettami della grammatica o della sintassi della lingua inglese».
«Scrivere in italiano mi metterebbe in difficoltà – prosegue Marco – e sinceramente ad oggi non è ancora nelle mie corde; dovrei forse cercare di esprimermi per metafore, visto che l’idea di un racconto più vicino alla realtà finirebbe per annoiarmi un po’».
«A me invece piace sperimentare – questo è il parere di Miriam – e non escluderei di potermi cimentare con liriche in italiano, potrebbe essere uno stimolo interessante per nuove esplorazioni”.
Da dove viene questa vena malinconica soffusa che permea tutto l’album? Riflette forse in maniera più intima e personale la crisi di speranze e prospettive di cambiamento di quella generazione “di mezzo” come la vostra dei trenta-quarantenni, stretti tra i più anziani, i cosiddetti “boomers” e scavalcati dai nuovi “millenials”?
«In effetti l’arco di età che ci contraddistingue – risponde Danilo – va dai ventotto anni di Miriam ai quarantadue di Marco, e quindi ricade, con qualche distinguo, nelle generazioni di cui stiamo parlando. Personalmente sono convinto che in questo lavoro ci sia l’esigenza di un rapporto autentico con una realtà sociale esterna sospesa e sfuggente. Credo che una chiave di lettura sia quella di esplorare l’esterno con un rapporto dialettico con l’altro».
«Da parte mia – aggiunge Miriam – essendo la più giovane del gruppo sono quella che ha vissuto di più in prima persona il fenomeno della globalizzazione dei linguaggi attraverso l’immersione nel mondo dei social e dei media. Però tutto questo bombardamento di input musicali e culturali diversi, se filtrato dalla propria sensibilità, può essere considerato un’opportunità e anche una ricchezza, che però va sempre finalizzata alla ricerca di una propria identità artistica a prescindere dai generi musicali». «Credo che in questo momento – conclude Marco – per me la chiave di tutto stia nella ricerca, nella curiosità e nel rapporto anche con musicisti e con persone più giovani con cui dialogare, ascoltare e “rubare” dando attenzione e prendendo ispirazione da quello che ascoltano gli altri. Al contrario di quanto si voglia far credere, c’è tanta bella musica e tanta creatività in giro, c’è solo da avere l’apertura e la disponibilità di prenderla al volo e farla diventare qualcosa di nostro».
Un’ultima notazione: la foto della copertina del disco, realizzata da Eolo Perfido, allude volutamente a Cecità di Saramago: ritrae Marco, Danilo e Miriam in un abbraccio. Lei con gli occhi chiusi copre con le mani gli occhi dei due uomini. Nelle intenzioni della band la foto vuole essere quindi un omaggio al sentire femminile, irrazionale e “sconosciuto”.