Da "Il mercante di Venezia” del Bardo a "Aspettando Godot” di Beckett, il teatro è uno strumento di conoscenza a scuola. Leggere i testi e rappresentare in classe i personaggi dei grandi autori è un'esperienza unica

«Il cervello può imaginare leggi per il sangue, ma un temperamento ardente varca d’un salto ogni statuto più gelido. La folle giovinezza si avventa come il lepre al disopra delle reti dell’impotente ragione». Porzia, ricca ereditiera, parla con Nerissa, la sua cameriera. È la scena II dell’atto I de Il mercante di Venezia, di Shakespeare. La storia di un prestito e di un corteggiamento. Soprattutto, un’opera teatrale. Immortale. Per questo motivo l’abbiamo letta in classe. Tutta. Ai ragazzi ho raccontato di Antonio, il “mercante di Venezia” e di Bassano e Graziano, amici del mercante. Di Porzia e Shylok, usuraio ebreo. E poi abbiamo provato a rappresentarne alcune parti. Dopo aver studiato cosa fossero il “soggetto” e la “sceneggiatura”. Gli “atti” e le “scene”. Le “battute” e le “didascalie”. Insomma, aver capito la struttura del testo teatrale. Che è molto altro. Moltissimo, altro. Innanzitutto un regalo a sé stessi. A prescindere. Contemporaneamente, un propellente per scatenare l’immaginazione. Per dare sostanza al rigore. Per sorvolare placidamente sull’Umanità, scendendo in picchiata sui suoi sentimenti. Attraversandoli fino a raggiungere la profondità. Che danna oppure salva.

Niente è come il teatro, secondo me. Anche se si è “solo” spettatori. Oppure lettori.
«Una volta la gente era considerata, Howard. C’era il rispetto, c’era la solidarietà, c’era la gratitudine. Al giorno d’oggi, tutto arido, senz’anima. L’amicizia non ha più nessun valore, la considerazione… Capisci perché ti dico questo, Howard? Non ci si ricorda più di me». Abbiamo visto in classe Morte di un commesso viaggiatore, di Miller, nella versione del 1968, con la regia di Sandro Bolchi, soffermandoci sul monologo di Willy Loman, interpretato da Paolo Stoppa. Le riprese “storiche” non hanno distratto i ragazzi. Invece, quasi tutti, presi dall’ossessione di Willy per il successo, unica strada per il raggiungimento della felicità materiale, per lui (e la società americana che rappresenta). Abbiamo letto, tanto. L’Enrico IV, di Pirandello, quando il protagonista chiede a Lolo, Franco, Momo e Fino, « … trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica, la logica di tutte le vostre costruzioni! Eh! Che volete? Costruiscono senza logica, beati loro, i pazzi! O con una loro logica che vola come una piuma!». E poi lo sfogo che Graciela fa al marito, seduto in poltrona a leggere con indifferenza il giornale, in Diatriba d’amore contro un uomo seduto, di Marquez. «Non fosse per via delle albe, rimarremmo giovani tutta la vita. È proprio vero: invecchiamo all’alba. I tramonti sono deprimenti, ma ti preparano all’avventura di ogni notte. Le albe no», ha recitato Viola nelle parti di Graciela.

Abbiamo incontrato Trofimov che confessa ad Anja il suo amore ne Il giardino dei ciliegi di Cechov. «Superare quel che di meschino e illusorio impedisce di essere liberi e felici, ecco lo scopo e il senso della nostra vita. Avanti! Avanziamo inarrestabili verso una stella luminosa, che splende là, in lontananza! Avanti!», ha imparato a memoria e recitato Mattia.
Ai ragazzi ho parlato di Vladimiro ed Estragone, i due protagonisti di Aspettando Godot di Beckett. E poi del Padre e della Figliastra di Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Ancora, del Cyrano de Bergerac, di Rostand. Insomma, di Cyrano, di brutto aspetto ma di cuore nobile, che aiuta il rivale in amore Cristiano, bellissimo ma incapace di articolare il suo sentimento in parole degne dell’amata, a conquistare Rossana. Abbiamo attraversato i secoli, spostandoci da un Paese all’altro. Senza fermarci. Curiosi. Mossi da una volontà incrollabile. Lo confesso, inaspettata.

In ogni lezione c’è stato spazio per qualche personaggio di una delle opere teatrali che conosco. Glielo dovevo, ai ragazzi. Che hanno bisogno di sapere quel che sperimentano gli attori sul palcoscenico. Le battute possono essere anche uguali. Ma ogni rappresentazione è unica. Straordinaria. A renderla tale sono i sentimenti. Insomma, il fluire delle vite. La commistione tra finzione e realtà. Ogni volta irripetibile.

L’autore: Manlio Lilli è archeologo e insegnante