In ricordo di Pietro Greco, scrittore e giornalista scientifico, storico collaboratore di Left il 12 maggio si tiene il convegno Sullo spazio, scienza e bellezza nell’Aula magna di giurisprudenza dell’Università Roma, organizzato dalle associazioni Amore e psiche e La scuola che verrà. Con interventi di scienziati, psichiatri, urbanisti storici dell’arte e del cinema. Per l’occasione ecco uno scritto di Pietro Greco su come Einstein e Picasso rivoluzionarono l’idea di spazio. Uscito il 12 agosto 2017 su Left è pubblicato nel volume La lezione di Pietro Greco Quando la divulgazione scientifica è un’arte edito da Left
Berna, 30 giugno del 1905. Un giovane impiegato dell’ufficio brevetti, Albert Einstein, 26 anni appena compiuti, invia alla più importante rivista di fisica del tempo, gli Annalen der Physik, un articolo “Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento”, in cui assume che la velocità della luce sia costante in qualsiasi sistema di riferimento e che il principio di relatività galileiano sia valido per ogni sistema fisico in moto relativo uniforme. L’articolo unifica parzialmente la meccanica e l’elettrodinamica. E manda definitivamente in frantumi la concezione classica del tempo e dello spazio.
Parigi, anno 1906. Un giovane pittore spagnolo, Pablo Picasso, 25 anni appena compiuti, dà le prime pennellate a Les Demoiselles d’Avignon. Le cinque damigelle di Avignone rivivono sulla tela di Picasso in una «prospettiva spaccata, frantumata in volumi … incidenti l’uno nell’altro», che ce le propone in simultanea sebbene ciascuna viva in una dimensione spaziale diversa. Il quadro, a detta di molti storici dell’arte, inaugura la stagione del cubismo. E manda definitivamente in frantumi la concezione classica dello spazio nelle arti figurative. Le due opere, l’articolo e il dipinto, con strumenti affatto diversi affrontano il medesimo problema: quando possiamo dire che due eventi sono simultanei? E, negli stessi mesi, giungono alla medesima conclusione iconoclasta: la degradazione di una concezione plurimillenaria dello spazio assoluto, contenitore immutabile e indifferente degli eventi cosmici. C’è qualcosa che connette Le Damigelle all’“Elettrodinamica dei corpi in movimento”? C’è una qualche correlazione tra queste due opere che aprono una nuova era, rispettivamente, nell’arte figurativa e nella fisica? C’è qualcosa che lega il più grande pittore del XX secolo, Pablo Picasso, al più grande fisico del secolo, Albert Einstein?
Per molto tempo il problema è stato sostanzialmente ignorato dagli storici della scienza. D’altra parte, ove anche vi fosse, non è facile dimostrare, documenti alla mano, una correlazione tra l’elaborazione analitica di uno scienziato e la sintesi poetica di un’artista. Il problema è stato invece affrontato dagli storici dell’arte. I quali riconoscono che, nel dipingere Les Demoiselles d’Avignon, nel mandare in frantumi lo spazio classico e nell’avviare una rivoluzione nell’arte figurativa, il genio di Picasso ha interpretato e si è fatto partecipe dello «spirito del tempo». Ivi compreso quello «spirito scientifico» che, a inizio ’900, stava sottoponendo a seria critica la concezione newtoniana dello spazio e del tempo. Riconoscimento tutt’altro che banale, questo degli storici dell’arte. Perché implica l’esistenza di qualche cosa, un ponte tra dimensioni diverse della cultura umana, l’arte e la scienza, che molti negano e che ha portato, più tardi, nel 1959, l’inglese Charles Percy Snow a parlare di una avvenuta separazione tra «le due culture».
E tuttavia nessuno ha osato indagare quella singolare coincidenza di tempi e di contenuti tra il dipinto di un pittore spagnolo di 25 anni e l’articolo di un fisico tedesco di 26 anni. Anche perché nel 1905 Einstein ignora l’esistenza di Picasso e nel 1906 Picasso ignora l’esistenza di Einstein. Alcuni anni fa, tuttavia, uno storico della fisica inglese, Arthur I. Miller, ha deciso di passare il Rubicone e ha cercato di venire a capo di quella strana coincidenza. Il risultato è in un libro dal titolo: Einstein, Picasso: spazio, tempo e la bellezza che causa uno sconquasso. Il succo della ricerca di Miller è che c’è una correlazione diretta, forte, che va ben oltre una generica adesione allo «spirito dei tempi» tra il quadro e l’articolo, tra il genio della pittura e il genio della fisica. Non solo entrambi, Einstein e Picasso, si interessano agli stessi problemi. Ma entrambi hanno attinto alla medesima fonte di ispirazione.
Ecco come è stato costruito questo meraviglioso ponte tra arte e scienza. Nell’Ufficio brevetti di Berna, l’impiegato Albert Einstein si arrovella intorno alla natura della simultaneità. Esiste un tempo assoluto che ci consente di dire che un treno a Parigi e un treno a Roma sono partiti nel medesimo istante o che un evento sulla Terra e l’altro su una lontana stella sono avvenuti simultaneamente? È grazie a questa domanda che Einstein generalizza la relatività di Galileo: non c’è alcun modo di distinguere tra due sistemi che si muovono di moto relativo uniforme. Lo possiamo verificare anche noi: spesso capita alla stazione che non riusciamo a percepire se a muoversi è il nostro treno o in direzione opposta il treno vicino. Einstein sostiene che ciò deve essere valido per ogni tipo di sistema, meccanico e elettromagnetico che sia. Dunque, non esistono sistemi di riferimento assoluti. Poi il giovane introduce il concetto della invariabilità della velocità della luce, sulla scorta di due fenomeni ottici già noti: la luce viaggia nel vuoto a 300mila chilometri al secondo, la sua velocità non può essere superata. Ne deriva che, qualsiasi sia il sistema di riferimento di chi la osserva, la velocità della luce risulta sempre costante. Da tutto questo deriva che non esistono eventi simultanei in assoluto nell’universo. Che non esistono un tempo e uno spazio assoluti. La simultaneità dipende dal sistema di riferimento.
In quegli stessi mesi Pablo Picasso è impegnato in un vero e proprio «programma di ricerca»: la riduzione delle forme a rappresentazione geometrica. Il programma di ricerca di Picasso, come quello di Einstein, riguarda la simultaneità. E l’ottica del giovane pittore è la medesima del giovane fisico: non esistono sistemi di riferimento privilegiati. La simultaneità assoluta non esiste. E ciascuno ha una visione dei fenomeni che avvengono nello spazio che dipende dal punto di osservazione.
In definitiva, entrambi, Albert Einstein e Pablo Picasso, tra il 1905 e il 1906 scoprono il concetto di relatività. Il primo (non senza incontrare ostacoli e resistenze) conferisce a questo concetto una piena dignità scientifica, attraverso un modello matematico. Il secondo (non senza incontrare ostacoli e resistenze) gli conferisce una piena dignità artistica, attraverso un nuovo modello geometrico.
Questa prima tesi di Miller è forte, tuttavia è convincente. Nessuno dubita, infatti, che Einstein nel 1905 e Picasso con il dipinto completato nel 1907 hanno rivoluzionato la visione classica dello spazio. Già, ma il problema è, come mai tutto ciò è avvenuto in maniera, è il caso di dirlo, simultanea? Beh, sostiene Miller, perché pur ispirandosi a fonti diverse, i due ragazzi hanno attinto anche a una fonte comune. E influente. Questa fonte ha un nome e un cognome: Henri Poincaré, il francese che, insieme al tedesco David Hilbert, è il più grande matematico in circolazione all’inizio del XX secolo.
Poincaré si è occupato di simultaneità e della necessità di un approccio che superi lo spazio euclideo nella spiegazione del mondo fisico in un libro pubblicato nel 1902, La scienza e l’ipotesi.
Quel libro Albert Einstein lo ha letto direttamente, nell’edizione tradotta in tedesco. Ebbene, Arthur I. Miller dimostra che anche Picasso è venuto a conoscenza delle profonde idee del matematico francese. Non direttamente, ma attraverso le accese discussioni interne al circolo di giovani, la banda Picasso, che anima le sue giornate a Parigi. Nel gruppo c’è un tal Maurice Princet, un assicuratore che conosce l’alta matematica. È Princet che ha letto Poincaré e ne diffonde, con entusiasmo, le idee. È dunque nelle accese discussioni sulla natura dello spazio alimentate dall’amico assicuratore, che Picasso trova ispirazione per dare seguito artistico al suo progetto di ricerca sulla riduzione delle forme a rappresentazione geometrica. Les Demoiselles d’Avignon, sono la prima manifestazione della nuova estetica di Picasso.
È dunque il matematico Poincaré all’origine della rivoluzione in fisica e della rivoluzione in pittura? Picasso, dunque, è stato ispirato da Poincaré e dalle sue teorie sull’universo non euclideo? Molti ancora oggi sono scettici. Ma «le radici della scienza – sostiene Miller – non sono solo nella scienza. Perché le radici del Cubismo dovrebbero essere solo nell’arte? Potrebbe essere, ma ne dubito. C’è troppa scienza in ciò che Picasso va facendo».
La verità è che tra scienza e arte, tra tutte le diverse dimensioni della cultura umana, esiste un processo incessante di osmosi. Spesso il flusso di idee e suggestioni è carsico: consiste, per dirla con Eugenio Montale, in un pellegrinaggio oscuro e irrisolvibile. Talvolta il flusso è esplicito e visibile. Nel caso di Picasso, grazie agli studi di Arthur I. Miller, questo flusso, dalla scienza all’arte, è emerso finalmente alla luce.
Non è una questione da lasciare, solo, agli storici della scienza e dell’arte. Perché, dopo Einstein e dopo Picasso, la nostra visione dello spazio è cambiata. Tutti noi “sentiamo” in qualche modo che non viviamo in uno spazio assoluto. Questa sensazione quasi sempre è poco lucida. Raramente si fonda su solidi argomenti e quasi mai su una piena comprensione scientifica della relatività. Eppure esiste. Oggi noi abbiamo una concezione dello spazio diversa da quella che avevano gli uomini nelle età precedenti.
E, allora, viene da chiedersi chi e attraverso quali pellegrinaggi culturali, più o meno oscuri, abbia contribuito di più a rimodellare la percezione dello spazio e l’acquisizione di una concezione, sia pure rudimentale, dell’universo relativistico di noi tutti, gente comune: Le Damigelle d’Avignone o l’“Elettrodinamica dei corpi in movimento”? Einstein o Picasso? La scienza o l’arte?
Probabilmente sono domande che non ammettono una risposta netta. Probabilmente la risposta che più si avvicina alla verità è: Le Damigelle d’Avignone o l’“Elettrodinamica dei corpi in movimento”. Albert Einstein e Pablo Picasso. La scienza e l’arte.
Left, 12 agosto 2017
L’appuntamento: Il 12 maggio alle 15.30, nell’aula magna di giurisprudenza dell’Università Roma Tre, si tiene l’incontro “Sullo spazio, scienza e bellezza” in ricordo dello scrittore e giornalista Pietro Greco, autore dell’opera in più volumi La scienza in Europa (L’Asino d’oro edizioni) e storico collaboratore di Left. L’incontro organizzato dall’associazione culturale Amore e Psiche e dall’associazione La Scuola che verrà, in collaborazione con Netforpp, Network europeo per la psichiatria psicodinamica e altri. Giunto al terzo appuntamento, il tema è il concetto di spazio, inteso come spazio cosmico, fisico, ambientale rappresentativo di ciò che viviamo e ci circonda, interiore. Moderato da Maria Nicola, l’incontro vede la partecipazione di Elena Pettinelli, Lorenzo Ciccarese, Franco d’Agostino, Annelore Homberg, Camilla Ariani, Daniela Ceselli, Giuseppe Benedetti e Federica Di Folco.