«La polifonia e la complessità della musica classica, la rarefazione di una ballata jazz, la semplicità e la potenza della musica popolare, ma soprattutto la melodia». Questi i fili della ricerca sulla forma-canzone del cantautore romano che il 10 giugno presenterà il suo nuovo album

Salentino d’origine e romano d’adozione, Giorgio Panzera è un colto e appassionato cantautore. Assolutamente atipico. Usa le parole con il contagocce e fa parlare, e tanto, la musica. Questo genera esiti imprevisti e sorprendenti da un punto di vista compositivo. Canzoni che diventano temi orchestrali, chitarre elettriche, fisarmoniche e archi che si passano la mano senza chiedere il permesso. Giorgio, oltre a scrivere musica e testi, cura personalmente tutti gli arrangiamenti sin nei minimi dettagli, quasi a sottolineare il carattere unico ed “artigianale” delle sue composizioni. La sua originale vena espressiva nell’ambito della canzone d’autore è apparsa nitidamente già dal primo album Tu che hai capito l’Amore pubblicato nel 2013. Lo abbiamo incontrato in occasione dell’uscita del suo nuovo cd Oggivabbène.

Giorgio Panzera raccontaci un po’ della tua storia come musicista, dei tuoi inizi e di come si è sviluppato il tuo rapporto con la musica popolare e con la forma-canzone che sono state da sempre le tue passioni.

Da ragazzo a casa mia c’erano fortunatamente diversi strumenti, una chitarra, un pianoforte, un mandolino. Cominciai come tanti a suonare la chitarra. Verso la fine degli anni Settanta, esplose tra i giovani la passione per la musica popolare. Oggi potrebbe sembrare incredibile, ma all’epoca facevamo la fila per andare a sentire i concerti della Nuova compagnia di canto popolare, per La gatta Cenerentola di Roberto de Simone o per Musicanova di Eugenio Bennato. Io stavo cercando la mia musica, e mi appassionai alla musica popolare che mi sembrava la più vera e la più autentica. Insieme ad altri compagni musicisti viaggiammo a lungo nel Sud Italia con microfoni e registratori sulle orme di Ernesto de Martino. Dovendo a quel punto approfondire le mie conoscenze, decisi poi di iscrivermi al conservatorio di santa Cecilia e mi diplomai in chitarra.

Come è proseguita poi la tua ricerca verso la forma-canzone?

In ogni genere musicale c’era qualcosa che mi affascinava, la polifonia e la complessità della musica classica, la rarefazione di una ballata jazz, la semplicità e la potenza della musica popolare, ma soprattutto la melodia, che resta per me il centro di ogni composizione. La canzone è una sintesi formidabile… La sensazione che si trasforma in un’idea musicale, poi c’è l’atmosfera, l’arrangiamento, e infine la voce, che ha un’espressività assolutamente unica. Tutto in tre, quattro minuti. Ed ecco quindi la scelta della “forma canzone”.

Come è maturata l’esigenza di scrivere queste canzoni, prima ancora che venissero incise e fissate su disco?

Ognuna di esse racconta qualcosa: una storia, un amore, un passaggio, un cambiamento, un ideale. Quando si riesce a trasformare queste cose in altro, ad esempio in una canzone, si rischia qualche momento di vera felicità. La musica poi permette di condividerla con gli altri musicisti e con il pubblico. Tutto questo mi ha dato la spinta a continuare nonostante la genesi assai “travagliata” di alcuni brani del disco.

Come procedi di solito nella composizione di un brano, parti prima dalla musica e poi in un secondo tempo aggiungi i testi, oppure musica e parole si sviluppano insieme?

Parto sempre dalla musica. In realtà già qualche giorno prima avverto la sensazione che qualcosa stia arrivando, prendo la chitarra e cerco di tirar fuori una frase musicale che mi corrisponda, e poi una risposta, che poi magari scoprirò che in realtà era la vera domanda, e così via, in un gioco di continui rimandi. Alla fine, ma non sempre, arrivano le parole.

Da un primo ascolto del nuovo disco si nota una particolare cura negli arrangiamenti. Quali sono le affinità e quali le differenze con il precedente album?

Tu che hai capito l’amore è stato pubblicato nel 2013, è stato il mio primo album, e lì ho cercato di proporre uno stile personale. Rispetto al nuovo disco gli arrangiamenti erano sicuramente meno complessi e concepiti soprattutto per le esecuzioni dal vivo.
Questo è un disco che sento più maturo. C’è più consapevolezza dei miei mezzi espressivi e di come usarli. Tutto ciò mi ha permesso di sperimentare, cambiare, rischiare strade nuove, e spero, lo dirà chi lo ascolta, di aver proposto qualcosa di originale. Anche nella musica purtroppo oggi si cerca il consenso, le cose che vanno, i suoni di moda… Per questo gli arrangiamenti in questo album sono tutti diversi come sono diverse le suggestioni legate a ciascun brano. C’è voluto un gran lavoro: canzoni che avevano una struttura apparentemente già definita, nel tempo si sono trasformate fino a trovare la forma e i colori che volevo. Devo ringraziare per questo innanzitutto i miei compagni di avventura, Matteo Montaldi – fisarmonica e pianoforte – e Gianni Badaracchi – chitarre – che mi hanno affiancato nel lungo periodo della pandemia. Per ottenere i risultai voluti ci siamo avvalsi anche di un uso mirato dell’elettronica e di campionamenti orchestrali.

Nei tuoi brani si colgono influenze musicali diverse, che vanno dalla musica popolare, non solo italiana, al tango, a echi di jazz.

La canzone, se vogliamo, permette questa libertà: prendere un colore dal Messico come in “Ballerina”, un ritmo di tango argentino in “Una storia diversa” o citare il suono di una banda di paese in “Oggivabbène”. Ma tutto si fonde poi con la propria storia e la propria sensibilità. Basta pensare ai nostri maestri, De Andrè, Fossati, Conte… ognuno di loro ha saputo guardarsi intorno, cogliere e rielaborare alcuni dettagli sonori senza perdere nulla della propria originalità. “Una storia diversa” ha una storia diversa… è dedicata a una persona che mi ha cambiato la vita. Solo dopo molti anni l’ho incisa.

Chi sono i musicisti che ti hanno affiancato nella realizzazione del disco e che ti affiancheranno nelle prossime uscite dal vivo?

Oltre a Matteo e Gianni di cui abbiamo già parlato, tutti mi sopportano con le mie ansie e i miei tempi: Toni Avenoso è riuscito a suonare la batteria su un quartetto d’archi e Paolo Di Gironimo, contrabbassista di musica contemporanea, non si spaventa di nulla. A questi aggiungerei l’amico Fabio Ferri, che ha curato il mix e il suono del disco in ogni dettaglio, Piero Colò che ha realizzato la splendida immagine di copertina e Raffaella Marchetti per la elegantissima veste grafica.

La marcetta spensierata che dà il titolo all’album – Oggivabbène – sul piano personale sembra rimandare ad una visione più serena del presente, e, perché no, del futuro?

Non è stato e non è un periodo facile. Pandemia, guerre, governo di destra…Tutti i giorni episodi di violenza incredibili, eppure, a guardarsi bene intorno, si scopre che in tanti, la maggioranza, credono ancora nella bellezza degli esseri umani e non sono per niente rassegnati. Poi, una mattina ci si sveglia e si pensa…però, “oggivabbène”.

L’appuntamento: Giorgio Panzera con la sua band presenterà il nuovo cd “Oggivabbène”
sabato 10 giugno 2023 alle 20 presso la “Casa della partecipazione”
di Maccarese (RM).