Pensare alla possibilità di una crisi evolutiva per gli esseri umani, a partire dalla parola greca Krisis e il suo significato di distinzione, giudizio, scelta. E’ questo il filo di ricerca della psichiatra e psicoterapeuta Chimarella Lazzeri nel libro “La crisi essere e divenire dell’uomo. Ineluttabilità del cambiamento” (L’Asino d’oro edizioni). Il volume, che viene presentato sabato 20 maggio al Salone del libro di Torino è il primo titolo di una nuova serie della collana Bìos Psyché, intitolata ‘Percorsi della conoscenza con Massimo Fagioli’, che raccoglie contributi scientifici d’avanguardia in ambito medico psichiatrico. Ecco un estratto dalla prefazione firmata da Ester Stocco, psichiatra e psicoterapeuta
Difficile raccontare, anche solo per questo 1989-1990, i tanti rivoli che partivano, si allargavano e si ricongiungevano al fiume della psicoterapia che Massimo Fagioli conduceva nei seminari, ma per avvicinarci alla tesi di laurea che segue e che l’editore ripropone in questa nuova collana, va detto che l’anno accademico 1989-1990 era per una giovane studentessa, una “compagna del seminario”, Chimarella Lazzeri, l’ultimo anno della Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università “La Sapienza”, perché proprio in quel novembre del 1990 si laureava discutendo la tesi ‘La crisi. Essere e divenire dell’uomo. Ineluttabilità del cambiamento’. Proporla oggi a un pubblico più vasto è uno stimolo a riprendere e approfondire la ricerca sulla specificità della realtà umana, sulla sua origine e sulle cause della malattia mentale. Oggi, a distanza di trent’anni, questo volume ha il significato di confermare, una volta di più, la sostanziale unicità della ricerca e del suo stesso oggetto: l’uomo e la sua realtà più profonda. Nel rifiuto netto dell’impotenza della psicoanalisi classica, la tesi apre all’idea-speranza che la crisi, anche la più destrutturante, se affrontata in un rapporto terapeutico, può essere evolutiva. La tesi di Chimarella è complessa, il linguaggio è colto, scientifico e allo stesso tempo piacevole come quello di una poesia; vi si affrontano i temi peculiari della ricerca di Massimo Fagioli con citazioni dai suoi primi quattro libri, articoli scientifici – in particolare l’articolo sulla percezione delirante del 1962 –, interviste, lavori scritti in varie occasioni pubbliche e le sue continue elaborazioni nei seminari di Analisi collettiva. Il testo si avvale infatti di un apparato bibliografico che lo completa accreditandolo come raccolta organica, pur se non esaustiva, dei molti riferimenti culturali che il terapeuta dell’Analisi collettiva proponeva nei seminari in quegli ultimi anni Ottanta e che per tutti noi erano, a un tempo, frustrazione della passività-sottomissione a un sapere precostituito e stimolo a sviluppare una ricerca attiva, critica e dialettica. Il lavoro è prezioso in quanto costituisce una formulazione sistematica dell’approccio storico-culturale che ha caratterizzato la ricerca psichiatrica e prima ancora umana di Massimo Fagioli, ricerca che si dipana nel tema dell’irrazionale come elemento distintivo della specie umana e possibilità di conoscenza e sviluppo. In tutto il testo diventa crescente un ritmo, una vaga suggestione che richiama la seconda Premessa al terzo libro di Fagioli uscita pochi mesi prima. Forse il passaggio da Ulisse a Edipo, dal mito alla tragedia, ricorda il movimento delle ‘figure sorridenti’: «Le figure sorridenti venivano ad ascoltare …, venivano a violentare, venivano a portare l’inconscio alla coscienza…. Ultima difesa per evitare che la coscienza diventasse inconscio, nell’interpretazione delle immagini trovavano la terapia, in una conoscenza cosciente della realtà inconscia». Il movimento di un assenso inconscio che, appena emerso, viene immediatamente negato per l’angoscia di una crisi, riecheggia il movimento dell’uomo che cerca la sua origine, delle crisi a cui va incontro, della violenza alla quale si oppone: «Le figure sorridenti liberavano la Sfinge invisibile per fermare l’analista che loro pensavano essere causa dell’angoscia. … Le figure sorridenti se ne andavano, lasciandomi solo, sfidandomi a dimenticare l’assenso». La tesi si chiude con l’affermazione di una ineluttabile costante umana; l’uomo riesce ad accettare la realtà inconscia nel momento in cui riesce ad accettare il diverso da sé: «La verità umana è il rapporto tra esseri umani diversi»…
…La passività dello psichiatra-Edipo nei confronti della ragione può essere superata solo da colui che, liberatosi dalla storia antica, può e deve scoprire il colpevole nascosto nell’irrazionale: la pulsione di annullamento fatta in occasione della morte del padre, la carenza di vitalità e resistenza che determina questa pulsione. La passionalità, nemico temuto dall’uomo greco, può essere anche nemico temuto dallo psichiatra, può travolgere la sua identità professionale se non riesce a distinguere una passionalità caotica e animalesca dalla distruttività lucida, se non rifiuta il giudizio morale sugli ‘istinti’. Il testo svolge la critica a Freud e alle sue falsità sulla realtà umana e ricorda che nella storia antica la passionalità condannata e negata ha reso la ragione anaffettiva e violenta. Rifiutare questa cultura razionale e violenta, che avrebbe scoperto la verità della realtà umana, è l’unica possibilità per uno psicoterapeuta di comprendere il mondo di fantasmi, movimento e immagini del paziente. Abbandonare l’idea di un inconscio naturalmente perverso può farlo andare in crisi per la sua stessa passionalità, per la sensibilità che consente di sentire senza vedere… come Tiresia? Il sentire e l’elaborazione controtransferenziale sono per lo psicoterapeuta possibilità-capacità di rapporto con il mondo di pulsioni, immagini, movimento del paziente, sono una ricerca sull’inconscio che non sia solo ripetizione […] La frustrazione è la realtà del terapeuta che costringe il paziente a muoversi, a non adagiarsi sulla guarigione dell’io razionale, sull’impossibilità di cambiamento. La frustrazione ora è data dalla realtà stessa del terapeuta che si mostra e che mette in crisi l’alleanza amichevole stabilita fra paziente e terapeuta. E ancora una volta il terapeuta deve avere il coraggio di affrontare la propria crisi per aver provocato la crisi nel paziente, per l’incertezza, il dubbio sulle possibilità di fantasia e vitalità del paziente, ma anche per il desiderio che può aver suscitato nel paziente. «L’infezione nascosta in un desiderio che non è creatività nel rapporto interumano sfida lo psichiatra a frustrare senza distruggere quanto è sano, bello, risultato in guarigione di un lavoro terapeutico: il rapporto di desiderio»…
L’appuntamento al Salone del libro di Torino: