Quali sono le radici culturali e patologiche di questa inarrestabile strage di donne? Cosa si può fare per prevenire? Da molti anni su Left portiamo avanti una ricerca su questo agghiacciante tema. Insistiamo nel dire che serve una rivoluzione culturale, perché le donne sono ancora oggi negate, annullate, oggetto di violenza che da" invisibile" si fa drammaticamente conclamata come nel caso della giovane Giulia Tramontano, uccisa dal suo altrettanto giovane compagno. Per approfondire c'è il libro di Left "Contro la violenza sulle donne" da cui è tratta questa intervista alla psichiatra Elena Pappagallo

Mentre gli omicidi diminuiscono ogni anno anche in Italia, il numero dei femminicidi non cala, anzi. Due donne sono state uccise proprio mentre si festeggiava la festa della Repubblica e il primo voto delle donne in Italia nel 1946. Tanti passi avanti sono stati fatti nella nostra democrazia, ma non su questo punto. Quel che colpisce è che spesso, oggi, ad uccidere sono giovani fra i 19 e il 35 anni, come è accaduto nel caso del trentenne Alessandro Impagnatiello che ha accoltellato la ventinovenne Giulia Tramontano, la sua compagna, incinta al settimo mese. Il ragazzo, che viene descritto come “privo di emozioni”,  ha ammesso di averla uccisa “perché stressato” dalla gestione di una doppia relazione con lei e con una collega di lavoro.

I quotidiani, anche morbosamente, hanno scritto molto su questo caso. A noi, invece, come sempre, interessa andare più a fondo, capire quali sono le radici culturali e patologiche di questa inaccettabile strage di donne. A cui abbiamo dedicato decine e decine di articoli su Left e un libro Contro la violenza sulle donne. Per continuare ad approfondire il discorso (dopo l’intervento di Left su Rai news) vorremmo riproporvi questa intervista di Laura Danese alla psichiatra e psicoterapeuta Elena Pappagallo, densa di contenuti:

Dottoressa Elena Pappagallo, le donne sono oggetto di sottomissione da secoli. Perché?
È un discorso complesso e necessita di una prospettiva storica. Alla base della leadership maschile nelle prime comunità umane c’è chiaramente un discorso legato alla realtà materiale. L’uomo era più forte e veloce, si occupava della caccia e della sussistenza del gruppo. Nel corso dei secoli però questa maggiore forza fisica e la mente pratica è stata codificata nella cultura come superiorità tout court. Il passaggio fondamentale è quello della cultura greca del logos. Quella cultura teorizzava che fosse la razionalità lo specifico umano. È una cultura della veglia che ha solo il rapporto con il mondo materiale. Ignora e annulla gli affetti, ha una visione cieca e materialistica degli esseri umani. La logica conseguenza di questa impostazione fu che donne e bambini vennero codificati come “sub-umani”. Su questa cultura si fondò il patriarcato e il predominio assoluto maschile nella
vita, nella giurisprudenza, nella politica.
Siamo ancora legati a quella cultura quindi?
Da allora molto è successo. Nel mondo occidentale, l’Italia è un caso esemplare, su quella cultura si innesta la tradizione cristiana e cattolica. Nel cristianesimo la donna è costituzionalmente inferiore, è costola di Adamo. Nel corso della sua storia poi il cattolicesimo si sviluppa lungo una direzione profondamente misogina. La donna diventa simbolo del male, del demonio. È colei che turba la pace dell’uomo, lo induce in tentazione. Per le donne il cristianesimo concepisce il solo ruolo di riproduttrici della specie. La sessualità fuori dalla procreazione è peccato. Le donne che escono da questo schema (le medichesse nel Medioevo, per esempio) vengono perseguitate e bruciate. È incredibile ma ancora oggi la contraccezione è presa di mira dalla Chiesa quasi quotidianamente. Anche in Paesi con gravissimi problemi sanitari come l’Africa decimata dall’Aids.
Ragione e religione. Altri nemici?
Negli ultimi secoli lo sviluppo della filosofia occidentale ha tentato in alcuni momenti di emanciparsi da questa tradizione criminale, si pensi all’Illuminismo, ma in realtà non c’è mai riuscita. Non si è mai separato veramente da quella tradizione. Le stesse pratiche di discriminazione di oggi sul posto di lavoro nei confronti delle donne si possono far risalire all’approccio razionalista che tutto mercifica. La lavoratrice “costa” di più perché può avere bisogno di tempo per portare avanti una maternità e crescere i figli.
Questo per quanto riguarda la dimensione culturale. Ma oggi, nelle società secolarizzate e con parità di diritti sancite legalmente perché persiste la violenza degli uomini sulle donne?
Intanto diciamo che la violenza nei rapporti, sia fisica che psichica, è una patologia. Nel confronto tra individui, se questi sono sani, la violenza non si manifesta. C’è il confronto, la dialettica, magari serrata e appassionata, ma non la violenza. Quindi se emerge la violenza, da psichiatra devo dire che ho a che fare con un’identità che si è ammalata.
Dove, nello sviluppo della persona, si possono trovare i semi della violenza?
I danni possono avvenire fin dal primo anno di vita nel rapporto con la madre. Alcune mamme non riconoscono al bambino un’identità, è solo un cucciolo da accudire. Il bambino invece, anche se non parla e non è razionale, è persona. La madre che nutre il bambino di latte solo “materiale” e non di affetto è violenta e lo far star male. Senza arrivare alle psicosi palesi, come quella della Franzoni che era ossessionata dal fatto che il figlio avesse la testa troppo grande, nella normalità purtroppo tante donne arrivano alla maternità con grandi insoddisfazioni, irrealizzate. Per loro i figli sono stampelle, modi di dimostrare che qualcosa si è fatto. Allo svezzamento poi il bambino affronta la seconda separazione fondamentale dalla madre, dopo la nascita. Se la fase dell’allattamento è andata male il bambino non riesce a passare in maniera sana a un rapporto con l’oggetto totale umano, materiale e psichico. Qui si annidano i primi problemi. Anche perché sono le mamme stesse che fanno fatica a “separarsi” dal figlio. Alle donne bisogna dire: attenzione a come stiamo con i nostri bambini.
Poi arriva l’adolescenza.
E con essa la resa dei conti. In questa fase avvengono cambiamenti fisici marcati che definiscono l’identità sessuale. Si pensi alle mestruazioni per le ragazze, al cambiamento della voce, alla peluria nei ragazzi. E avviene l’incontro con il “diverso da sé” che può avere, schematicamente, tre esiti: o suscita interesse e una ricerca che durerà tutta la vita, o quel confronto si affronta con una scissione tra “fisico e psichico”, e si vivrà una sessualità fisica e masturbatoria, oppure il diverso da sé si annulla completamente. Alla visione del diverso da sé dovrebbe scattare il desiderio inteso, anche e soprattutto, come desiderio delle qualità psichiche dell’altro. Solo che il diverso da sé viene a rappresentare l’irrazionale, ovvero quel primo anno di vita di cui abbiamo parlato. E se quello è andato male, il confronto donna-uomo determini grandi crisi e angoscia. Possiamo dire che la violenza nasce dal fallimento del rapporto sano col diverso da sé.
Ma la violenza è davvero un problema maschile?
Quella fisica forse, per ovvi motivi. Ma non quella psichica.
Le dinamiche patologiche riguardano uomini e donne.

 

Left 47 del 21 novembre 2008. Questa intervista è contenuta nel libro edito da Left Contro la violenza sulle donne, che contiene  approfondimenti degli psichiatri Massimo Fagioli, Maria Gabriella Gatti, Andrea Masini, Irene Calesini, Barbara Pelletti, della docente di diritto Eva Cantarella, dei ginecologi Carlo Flamigni, Anna Pompili ed Elisabetta Canitano e della filosofa Elisabetta Amalfitano