La realtà delle migrazioni in un'Europa sempre più chiusa e ostile: è il filo conduttore della collettiva di grandi fotografi internazionali a Villa Altieri a Roma. Dove il 7 giugno viene presentato il V rapporto "Illuminare le periferie", uno sguardo sul ruolo dell'informazione, sempre sul tema dell'immigrazione

La mostra fotografica Out of frame – Rethinking the visual narratives of migrations in Europe (fino al 26 giugno a Villa Altieri a Roma) è parte di Bridges: Assessing the production and impact of migration narratives, un progetto che studia le cause e le conseguenze delle narrazioni sulla migrazione in un contesto di crescente politicizzazione e polarizzazione ideologica.
Concentrandosi su sei Paesi europei – Francia, Germania, Ungheria, Italia, Spagna e Regno Unito – Bridges adotta un approccio interdisciplinare e co-produttivo, realizzato da un consorzio eterogeneo di dodici partner formato da università, think tank, centri di ricerca, associazioni culturali e organizzazioni della società civile.

Out of frame in quanto progetto visivo, si interroga sulle rappresentazioni dei fenomeni migratori in Europa attraverso sette lavori fotografici e un’installazione murale che presenta la cronologia dei principali fatti della cronaca e una selezione delle pubblicazioni più rappresentative degli eventi relativi alla migrazione che sono avvenuti dal 2015 al 2022 nei sette paesi europei presi in esame.

L’installazione presenta le costruzioni narrative a cui siamo quotidianamente esposti da parte dei media europei sul tema delle migrazioni in e verso l’Europa e mostra il ruolo che in esse assume la fotografia.

Le cronache dominanti raccontano di un’Europa assediata e invasa ai suoi confini da migliaia di migranti, di muri e controllo delle frontiere, di barconi carichi di migranti pronti a partire dalle coste del Nord Africa, dell’apertura di nuove rotte e di nuovi flussi migratori, di richiedenti asilo e di migranti economici, di naufragi e di morte.

Refugees fleeing the fighting in Ukraine to Poland, © ALESSIO MAMO /Redux/Contrasto

Dentro la cornice di questi resoconti giornalistici, le fotografie che illustrano gli articoli hanno spesso la funzione di rafforzare e legittimare il contenuto testuale. Sembra che le immagini debbano assolvere il ruolo di testimone oculare, dimostrando che il testo giornalistico documenta la realtà. Altro intento attribuito alle fotografie, è quello di nutrire il nostro immaginario, ormai alimentato quotidianamente da produzioni simili e incessanti che diventano le descrizioni visive della migrazione. E così, la fotografia di un barcone pieno di migranti rappresenta l’invasione di migliaia di persone del nostro Paese. I muri costruiti ai confini dei nostri Paesi mostrano la necessità di doverci difendere da un nemico esterno ed il bisogno di maggiore sicurezza.

Le storie giornalistiche che si occupano di migrazione hanno la tendenza a spersonalizzare i soggetti migranti. Normalmente non conosciamo le loro storie personali e neppure il contesto migratorio, non sappiamo le speranze che alimentano la partenza ed i sogni per il futuro.

Out of frame si pone l’obiettivo di modificare questo punto di vista, spostando il quadro di riferimento al di fuori della cornice entro cui la nostra percezione della migrazione è abituata a confrontarsi.

La mostra presenta il lavoro di sei autori che hanno indagato i fenomeni migratori contemporanei ma sempre ponendo al centro dei loro progetti fotografici il migrante in quanto soggetto.
Miia Autio, Felipe Romero Beltran, Samuel Gratacap, Alessio Mamo, Alisa Martinova, Aubrey Wade, sono autori riconosciuti e apprezzati per il loro impegno professionale, pubblicano sulle più importanti testate internazionali e, ognuno di loro, ha contraddistinto il proprio lavoro attraverso la scelta del soggetto e di un personale e specifico linguaggio visivo.

Quello che caratterizza e accomuna lo sguardo e le progettualità di questi fotografi è l’urgenza di aumentare la conoscenza e la comprensione della condizione del migrante e di mostrarlo come un soggetto che agisce in un contesto stratificato e spesso avversativo ma che può ribaltarsi per diventare positivo e d’integrazione. Presentando progetti che indagano il tema migratorio con linguaggi e approcci fotografici differenti, la mostra vuole stimolare nell’osservatore una riflessione sul ruolo che la fotografia può assumere quale strumento complesso di comprensione del reale.

Alessio Mamo segue da anni i flussi migratori e ha documentato per The Guardian la rotta balcanica, il confine tra Bielorussia e Polonia, il conflitto in Ucraina e l’esodo dei rifugiati. Il suo racconto si sviluppa utilizzando il linguaggio del fotogiornalismo. Essere in prima linea, viaggiare con i migranti, documentare gli eventi è al centro della sua progettualità.

Le serie fotografiche di Samuel Gratacap sono tratte da Empire e Bilateral, il suo lavoro più recente. Empire è un lavoro fotografico realizzato tra il 2012 e il 2014 nel campo rifugiati di Choucha – nella parte sud della Tunisia, a cinque chilometri di distanza dal confine con la Libia. Durante la sua permanenza nel campo, Gratacap ha organizzato dei corsi introduttivi alla fotografia per i rifugiati: l’ostilità del luogo e la perdita di identità sono alcuni dei temi che sono emersi dal confronto tra il fotografo e i migranti.
Bilateral prosegue e dà continuità al suo lavoro precedente sulle migrazioni e lo connette al tema della solidarietà. Il progetto è il frutto di diversi viaggi che il fotografo ha compiuto tra il 2017 e il 2019 tra la valle del Monginevro in Francia e la Val di Susa in Italia. L’installazione dà una rappresentazione dell’intento del progetto che non è soltanto quello di documentare l’attraversamento del confine ma piuttosto di creare un collegamento tra gli esuli in arrivo e i residenti che offrono loro solidarietà, anch’essi diventati invisibili e perseguibili dalla legge.

Empire © Samuel Gratacap

In I called out for the mountains, I heard them drumming, Miia Autio presenta le storie di cinque rifugiati del Ruanda e indaga il loro rapporto con il Paese natale e con il Paese di accoglienza, riflette sui concetti di patria e di identità. La storia recente del Ruanda, dal genocidio in poi e la recente situazione dei diritti umani, costringono molti ruandesi a lasciare il proprio paese di origine, con conseguenze personali nella vita di ciascuno. L’installazione di Autio racconta di identità tra passato e presente. L’autrice ha chiesto ai rifugiati di identificare un luogo del Ruanda di cui hanno un ricordo importante e ha visitato questi luoghi dove ha realizzato i paesaggi mentre i ritratti dei profughi sono stati realizzati in Europa, nei luoghi dove oggi hanno finalmente trovato il proprio posto.

Alisa Martynova con il progetto Nowhere near, ha raccontato le storie di giovani migranti che vivono in Italia. Partendo dall’incontro con i migranti e dal resoconto delle loro storie, la fotografa ha utilizzato come chiave narrativa, la metafora delle costellazioni, paragonando i migranti a stelle iperveloci che si muovono nello spazio.
Alternando i ritratti di giovani migranti con paesaggi suggestivi e indecifrabili, l’autrice ci invita a immaginare l’esperienza dei migranti di sentirsi sospesi tra il legame con le proprie radici e il desiderio di nuove opportunità.

Felipe Romero Beltran con il progetto Dialect documenta tre anni della vita di nove giovani migranti marocchini in un centro di accoglienza a Siviglia. Il progetto reinterpreta le esperienze di questi giovani migranti, coinvolgendoli come protagonisti, e ricostruisce attraverso i loro ricordi, il viaggio che hanno intrapreso dal Marocco per arrivare sulle coste spagnole. Utilizzando la fotografia e il video, Beltran rappresenta il limbo in cui essi vivono in attesa di ricevere il permesso di soggiorno

Aubrey Wade con il progetto No strange place – sviluppato in collaborazione con Unhcr – ha realizzato una serie di ritratti posati nelle case delle famiglie che accolgono dei richiedenti asilo in Austria, Germania, Francia, Svezia e Gran Bretagna. Il lavoro indaga le relazioni che si costruiscono tra le persone, famiglie che accolgono e rifugiati ospitati, e sui benefici che entrambi possono ottenere dal confronto e dall’integrazione tra culture diverse.

No stranger Place ©Aubrey wade 2

Il progetto partecipativo Now you see me Moria, è un appello a tutti i cittadini europei all’azione in supporto dei migranti che vivono rinchiusi nel campo.
Moria, nell’isola di Lesbo, è il più grande e sovrappopolato campo profughi d’Europa. Noemi, una fotografa e photo editor spagnola ha coinvolto nel progetto Amir, un fotografo e rifugiato afghano che viveva nel campo da un anno, a cui si sono aggiunti altri quattro fotografi Ali, Mustafa, Qutaeba e Reza. Nel gennaio del 2021, il collettivo ha lanciato una campagna di sensibilizzazione invitando da tutto il mondo dei designer che, utilizzando le fotografie dei rifugiati che ci vivono, possano creare dei poster o delle illustrazioni che rappresentino la situazione disumana del campo e per auspicare il cambiamento.

Box l’autrice: Giulia Tornari è direttrice dell’Agenzia Contrasto, presidente dell’associazione Zona e curatrice della mostra Out of frame

In apertura: Nowhere near© Alisa Martynova

L’appuntamento: Mercoledì 7 giugno (ore 10.30) a Villa Altieri (Roma), dove fino al 26 giugno è ospitata la mostra Out of frame, si tiene un importante incontro sul ruolo dell’informazione sul tema delle migrazioni. Viene presentato il V rapporto Illuminare le periferie Osservatorio esteri 2023. Fra i relatori Emilio Ciarlo, responsabile delle Relazioni Istituzionali e della Comunicazione dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo; Vittorio di Trapani, presidente Fnsi; Samuel Gratacap, fotografo; Daniele Macheda, segretario Usigrai; Anna Meli, responsabile Comunicazione Cospe; Giuseppe Milazzo, ricercatore Osservatorio di Pavia; Roberto Natale, direttore Rai per la Sostenibilità; Giulia Tornari, fotografa, direttrice Agenzia Contrasto; Guido D’Ubaldo, presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio; Paola Barretta, portavoce Carta di Roma.