Alessandro Volpi nel suo libro "Prezzi alle stelle" spiega il perché dell’inflazione a due cifre che imperversa in un Paese in recessione come l’Italia. E apre una riflessione a sinistra su come ripensare l'economia

Bisogna elogiare e ringraziare intellettuali come il professor Alessandro Volpi che attraverso libri, articoli su riviste come Altreconomia e presenza costante nello strumento di controinformazione messo su da Giuliano Marrucci, già collaboratore di Report, che risponde al nome di OttolinaTv (che potete vedere su varie piattaforme come Facebook, Youtube, Twitch e Tik Tok) si è assunto l’impegno e l’obiettivo di demistificare la propaganda del pensiero mainstream sulle tematiche economiche e sociali.
Utilissima a questo proposito la pubblicazione per la collana Tempi nuovi dell’editore Laterza di Prezzi alle stelle. Non è inflazione, è speculazione.

Qual è infatti la spiegazione dell’inflazione a due cifre che imperversa in un Paese in recessione come l’Italia? Colpa di Putin, che invadendo l’Ucraina avrebbe fatto aumentare i prezzi delle materie prime energetiche ed alimentari, direttamente con l’aumento del grano, indirettamente con l’aumento del costo dei fertilizzanti. Volpi conduce una operazione di pulizia intellettuale ricordando al proposito alcuni elementi. Il prezzo delle materie prime energetiche era aumentato da prima della guerra in Ucraina e non vi è stata una sostanziale diminuzione della produzione e distribuzione delle stesse, o comunque non in maniera tale da essere comparabile con gli aumenti verificatisi. Ancora più clamorosa la propaganda rispetto al grano dell’Ucraina, che sembrava essere divenuto il primo ed unico Paese produttore del cereale quando invece si trattava di un produttore, se non marginale, sicuramente meno rilevante di altri Paesi assolutamente non toccati dalla guerra. Abbiamo dunque una dinamica che non vede ridursi la disponibilità sul mercato delle materie prime a fronte di una domanda che non aumenta. Che è accaduto dunque?

Brutalizzando, anche per non togliere il piacere della lettura ricca di dati da utilizzare a piene mani, la finanziarizzazione dell’economia con le sue logiche di scommesse assolutamente speculative ha soppiantato il mercato nella determinazione dei prezzi. Da qui due filoni di ragionamento e di riflessione che a noi appaiono decisivi. Il primo è una rilettura delle politiche della globalizzazione. Se l’austerità aveva contraddistinto le scelte della controffensiva neoliberista di Reagan e della Thatcher, la finanziarizzazione dell’economia – ottenuta rimuovendo le limitazioni che risalivano alle risposte date dal sistema alla crisi del 1929 – è da ascriversi ai democratici americani che hanno inaugurato la stagione dell’ulivo mondiale ibridato con le terze vie di blairiana memoria. Quale era l’assunto di fondo, al netto della teoria dello sgocciolamento: garantire i consumi delle classi lavoratrici e popolari senza aumentare i salari, perché l’aumento dei salari non solo limitava i profitti ma costituiva un accumulo di forza politica che poteva mettere in discussione l’ordinamento capitalistico come si era verificato nel punto più alto dei “Trenta gloriosi”.

La finanza per tutti, il credito al consumo, la possibilità per i piccoli risparmiatori di misurarsi pensando di arricchirsi hanno costituito la base di consenso “a sinistra” per la nascita di concentrazioni finanziarie mostruose che movimentano masse fittizie di danaro superiori al Pil delle economie avanzate ed assolutamente sottratte ad ogni controllo democratico. Una concentrazione che rapina e devasta milioni di uomini in carne ed ossa e la stessa riproduzione delle risorse da parte del pianeta. La parola d’ordine di un’agenda progressista non può essere dunque che quella di definanziarizzare l’economia, rilanciare i mercati interni, aumentare con meccanismi di indicizzazione salari e pensioni e soprattutto ripubblicizzare, rinazionalizzare i settori strategici dell’economia come i settori energetici, le reti infrastrutturali materiali ed immateriali, gli ambiti della sanità e dello stato sociale assieme a beni comuni come l’acqua.

La seconda riflessione è di natura più profonda. Mercato e capitalismo sono sinonimi? Adesso che il capitalismo finanziarizzato distrugge le stesse logiche ed obiettivi del mercato, così come definiti a partire dagli economisti classici, è paradossale pensare un mercato che pre-esiste al capitalismo e che può essere utilizzato per esperimenti e pratiche di fuoriuscita dal capitalismo medesimo. Ed è questo un tema che rimanda altresì alle società del baratto e del dono, indagate da Polanyi e da Mauss, nonché all’esperienza della Nep di Lenin ed al socialismo con caratteristiche cinesi.

Insomma, un libro da presentare e discutere pubblicamente, utilissimo per resistere alla propaganda di regime e che apre altresì riflessioni sulla natura stessa delle formazioni economico-sociale dove ci è stata data in sorte la possibilità di vivere ed operare, intravedendo percorsi per il suo superamento, perché quello che non sempre è stato potrà cedere il passo a quello che potrà essere.

L’autore: Maurizio Brotini, segreteria Cgil Toscana