Mai dire che le donne sono deboli, le donne possono essere vulnerabili ma sono la forza trainante di quello che rimane di una società che trascorre la propria esistenza in guerra.

Ha scritto dal Medioriente ma anche dall’Africa, Darfur, Malesia, Sudan, Venezuela. Barbara Schiavulli è stata dovunque la guerra alzava le sue polveri. Scrive di Afghanistan da ventidue anni documentando le fasi della ripresa del dominio talebano, dando voce a quanti non sono ascoltati dal potere ufficiale. Collabora con Bbc Arabic e dirige Radio Bullets. Da poco è uscito il suo libro Burqa Queen, a metà tra il romanzo e il documento, mutuato dalla realtà della donna afgana, ma con un intreccio appassionante. In vista della sua partecipazione agli Emergency days a Ferrara in un talk mercoledì 21 giugno dedicato alle donne afgane e iraniane con la ricercatrice italo-iraniana Farian Sabahi e Laura Castigliani, ostetrica di Emergency in Afghanistan, coordinato da Simona Maggiorelli di left le abbiamo rivolto alcune domande.
Barbara Schiavulli, free lance per passione e forse per elezione, sei stata presente in tutti i teatri di guerra degli ultimi vent’anni, dalla Malesia all’Iraq allo Yemen, perché hai scelto la forma più dura di corrispondenza: inviato di guerra?
Ho sempre desiderato essere un’inviata, mi piace viaggiare, sono curiosa, ho un forte rispetto della diversità, delle persone, delle loro storie e naturalmente la scrittura è la forma di espressione nella quale mi trovo più a mio agio. Ma non posso nascondere che avere dei genitori appassionati di “cause” con una madre di colore che mi ha trasmesso un forte senso di giustizia, mi ha reso in parte la persona che sono, motivo per il quale oggi buona parte del mio lavoro guarda più ai diritti delle persone che agli interessi della politica.
Il libro Burqa queen, malgrado il titolo possa risultare ironico, ha una forte drammaticità, sono storie di donne in una situazione di prigionia: Si percepisce che l’Afghanistan è la terra che ami di più, che ti è rimasta nel cuore. Cosa rappresenta per te?
La considero la mia “terra gemella”, il posto al quale mi sento sicuramente più legata e non ho una ragione precisa, potrei parlare delle storie che ho scritto, delle persone che ho incontrato, degli eventi che ho vissuto, perfino dei pericoli che ho affrontato, ma la verità è che è una cosa di pelle. Amo quelle persone, la loro arguzia, la loro resistenza, le risate nonostante l’immensa sofferenza che hanno e continuano a vivere. In particolare le donne. Mai dire che le donne sono deboli, le donne possono essere vulnerabili ma sono la forza trainante di quello che rimane di una società che trascorre la propria esistenza in guerra.
Tu scrivi: “siamo in guerra. Una guerra non dichiarata ma che miete continuamente vittime. Da secoli e non solo in Afghanistan” e sottolinei che calpestare il diritto di studiare, lavorare, di decidere del proprio corpo, ma prima di tutto il diritto di essere non è negoziabile. Come vinciamo questa guerra?
Con l’istruzione. La pace si costruisce e lo si fa passando attraverso la cultura. Tutte le comunità estremiste, che siano politiche, etniche o religiose, tentano di sabotare la cultura, l’unico mezzo con il quale diventa difficile controllare un popolo. I talebani non solo non hanno avuto paura di combattere contro i migliori eserciti del mondo, ma li hanno battuti. E quale è stata la prima cosa che hanno fatto quando hanno conquistato il Paese? Impedire a metà della popolazione di studiare. E quindi invece che in armi e guerre investirei nell’unica cosa che tutti i dittatori e populisti temono: la scuola. E poi serve anche che gli uomini si attivino, una donna viene stuprata ogni 6 secondi nel mondo, non riguarda solo noi. Non può essere solo la nostra battaglia. E non basta essere uomini perbene, bisogna impegnarsi a cambiare il mondo e distruggere il patriarcato che non ci rappresenta più.

“sangue, sempre sangue” si legge nell’epilogo del tuo libro. E aggiungi: “per qualcuno che non sei tu e che non siamo noi.” Sempre contro la guerra e la violenza. Ci racconti qualcosa di più della tua visione?
Per me la guerra è il male assoluto. L’ho vista e l’ho vissuta, spesso chi la scatena lo fa da dietro una scrivania senza rischiare. Non conosco nessuno che ha veramente scatenato una guerra per salvare qualcuno. Le guerre uccidono. La guerra è fatta di interessi, non da persone.
“I medici curano, gli operatori aiutano, noi, atleti delle parole le rendiamo reali, non permettiamo che le parole nostre e di chi attraversa la guerra, vengano dimenticate” Ti chiedo :”Quanto possiamo incidere con il nostro lavoro (il vostro duro lavoro di inviati) sulla situazione politica? Come possiamo contribuire al cambiamento?

Il nostro lavoro è informare, è creare una società consapevole che possa decidere il proprio futuro. Serve la pluralità del pensiero, non la “mononotizia” a cui vanno tutti dietro. Ci sono decine di guerre, di oppressioni e abusi. Di prigionieri politici, di giornalisti imbavagliati, o uccisi. Dovremmo parlare più del mondo che ci aspetta che di cani e gattini. Il giornalismo per me è un servizio e pilastro della democrazia. Deve controllare il potere e se necessario sfidarlo. Poi sarà la gente bene informata, a fare la differenza.

Il libro di Barbara Schiavulli: Burqa Queen affresca un teatro di guerra che già basterebbe da solo come materia di racconto, ma all’interno della Storia c’è un’altra storia, quella di tre donne: Farida ,con l’amore per Najib, prima suo insegnante di inglese e poi soldato, della bambina Noor, nata dalla loro unione, brutalmente interrotta dai genitori di lui, di Layla maritata, secondo costume locale, soli 16 anni, proprio con Najib, che non si è sottratto ad un matrimonio combinato, come da tradizione, rinunciando a Farida, e di Faruz, la poliziotta, fiera di difendere l’ordine del suo Paese ma che è stata spodestata da ogni suo compito e costretta a casa. Nel finale le tre si ritrovano in quella che potrebbe definirsi un “enclave” di donne che, fingendo di cucire, per proteggersi dall’ira talebana, leggono e studiano, preparando la fuga. Fino all’epilogo finale altamente drammatico: Najib, scopre l’esistenza di Noor, la figlia nata dal rapporto con Farida e che per legge appartiene a lui. Decide così di denunciare le donne per riaverla a nulla servirà l’amore mai dimenticato per Farida, l’affetto per la timida moglie Layla. Faruz, la più forte, userà la sua pistola d’ordinanza…..

Qui il video di Left al Festival di Emergency del 2022 con Enrico Galiano