La cultura non è l’accumulo di nozioni impartito da un professore a un alunno, ma riguarda l’elaborazione delle nozioni in funzione critica. È proprio questo ciò che serve

Le situazioni “limite” spingono a ragionare. In particolare quando una crisi – la scomparsa di quattro bambini nell’Amazzonia colombiana di cui uno di soli 11 mesi – si risolve con il loro ritrovamento a 40 giorni dalla caduta del velivolo che li trasportava al villaggio di origine.
A ben pensarci però niente di nuovo. Si ricorderà quanto nella cultura del Settecento la “figura del selvaggio” sia stata di ispirazione. Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) impostò il suo primo fondamentale saggio Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini (1755) esattamente su questa condizione limite. Porsi in una condizione “limite” porta spesso a nuove e fondamentali scoperte. Il nostro Galileo per desumere la legge generale del moto ha pensato a un mondo senza aria. Scoprì che – eliminato questo accidente – una piuma cade come una pietra.
Da poco ho scoperto David Graeber, professore di antropologia, espluso da Yale, anarchico e attivista autore di fenomenali saggi (tra cui il più famoso Bullshit jobs). Graber ha dimostrato l’influenza profonda del cosiddetto mondo primitivo su quello civilizzato. Non è solo un mito quello del selvaggio di Rousseau, ma i concetti di libertà, eguaglianza, fraternità sono stati portati in Francia con i grandi capi Cherokee, Navajo o Sioux dai più curiosi e attenti intellettuali missionari.
Torniamo allora ai nostri bambini e chiediamoci “Cosa li ha salvati?”. Io vi propongo una parola per capire. La parola è cultura. Nello specifico la cultura della foresta amazzonica di cui la più grande tra loro (tredici anni, una bambina per noi, ma una giovane donna in Amazzonia) era in possesso.
Ma allora sotto questa luce come possiamo definire la parola Cultura.

Definizione. Facciamo un passo indietro. Spesso nel linguaggio comune si fa confusione sovrapponendo due termini alla parola cultura: da una parte “l’accumulo delle nozioni” dall’altro “la conoscenza ” – che si trova a un livello più ricco dell’accumulo delle nozioni. Ma attenzione conoscenza non è “esattamente” cultura. Per avere un risposta generica è ormai buona prassi chiedere a ChatGTP. Risponde :«la cultura è un insieme di valori, credenze, pratiche, usanze e conoscenze condivise da un gruppo di persone e che influenzano la loro vita quotidiana, il loro modo di pensare e di relazionarsi tra loro». Ecco, sembra fatto, invece no. Bisogna andare ben più avanti.
Cominciamo con il ribaltare la questione: la cultura non è una cosa (“un insieme di valori…”) ma, una “facoltà”. Propongo di conseguenza che una maniera più interessante per definirla sia: La cultura è la costruzione di una capacità di orientamento che, basandosi sulla comprensione critica del passato, guardi alla costruzione del futuro.
La definizione che abbiamo appena formulato è una “ipotesi”. Nel campo delle scienze esatte una ipotesi deve essere verificata oggettivamente, ma nelle scienze umane, non potendo superare test oggettivi, essa può essere verificata “sul campo”, anzi meglio in una situazione limite. E torniamo ai bambini nella giungla.
Poniamoci in una situazione estrema: è precipitato l’aereo, sono l’unico sopravvissuto e finisco nella foresta amazzonica. Ho la cultura – uso la parola “cultura” appositamente ora – della foresta amazzonica? No, ovviamente. In quanto tempo allora sopravviverò? Poco di certo. Non so cosa mangiare e magari mi avveleno, mi assalgono animali e insetti, non so come trovare l’acqua. Inoltre saprei dove andare per trovare aiuto? Evidentemente no. Sarei completamente “dis-orientato”.
Adesso immaginiamo la scena dei nostri quattro bambini e in particolare della più grande tra loro. Cosa ha la ragazzina che io non ho? Ha, evidentemente, la cultura della foresta amazzonica: una capacità di orientamento (da quella geografica a quella sulla commestibilità) che “dal passato si proietta al futuro”. Il futuro, in questo caso, è riuscire a sopravvivere. Questo primo test sembra validare la mia definizione.
Funzione critica. Soffermiamoci ora su un altra parola della definizione: la cultura “…basandosi sulla comprensione critica del passato…”, cioè la parola cultura ha costruita dentro si sé una funzione critica.
Torniamo alla bambina: nel cammino si possono presentare situazioni nuove o impreviste. Se la cultura fosse solo accumulo di nozioni, e anche se fosse conoscenza, non potrebbe mai rispondere a una situazione nuova. Siccome invece la cultura ha in sé una componente critica (che si basa sulla selezione di alcune e solo alcune delle esperienza passate) essa ha la “potenzialità” di rispondere anche al non-previsto, al nuovo.
La cultura non è quindi l’accumulo di nozioni impartito da un professore a un alunno, ma riguarda l’elaborazione delle nozioni in funzione critica. È proprio questo ciò che serve. Nell’educazione le nozioni sono degli utensili necessari, ma sono degli utensili. Serve insegnare la capacità di orientamento, e la capacità di orientamento implica un atteggiamento critico. Come si ottiene? Di nuovo ci soccorre Graeber che ci ricorda: è il dialogo! (cfr. Dialoghi sull’anarchia di David Graeber e Alberto Prunetti).
Ibridazione. Affrontiamo adesso un altro discorso. Oltre a quella critica, quali altre funzioni ha la cultura? Ebbene ha la meravigliosa capacità di ibridarsi.
Abbiamo parlato di Rousseau e poi dei pensatori rivoluzionari francesi. Ebbene essi ibridarono il ceppo razionale Cartesiano con i concetti che arrivavano da oltre oceano. E come si sa la miscela accese il mondo e il vecchio letteralmente esplose.
Alla fine voglio fare un’altra verifica?. Chi la pensa quasi come me? Ma è il redattore della Treccani che tra tante possibili definizioni distilla questa:
«Cultura 1. a. L’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo» da Enciclopedia Treccani on line

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*Articolo corretto il 2 luglio alle ore 17:03