La propaganda in campagna elettorale sul “superamento della legge Fornero” è andata a sbattere contro la realtà del bilancio statale. Adesso il problema del governo Meloni è realizzare quello che si è promesso

«Cercate di promettere un po’ meno di quello che pensate di realizzare se vinceste le elezioni». È un’affermazione di Alcide De Gasperi che, è innegabile, ben si intendeva di politica, di governo e anche di elezioni. E che comprendeva perfettamente – lo testimoniano le tante scelte difficili e pagate anche a caro prezzo – il valore della credibilità.
Questa semplice lezione di uno dei più grandi politici della nostra storia sembra non faccia parte del bagaglio culturale della politica corrente.

Per fare un esempio, il “superamento della legge Fornero” attraverso una riforma del sistema pensionistico, è un argomento standard di campagna elettorale. Esso richiede l’introduzione di forme di flessibilità che permettano un anticipo rispetto ai 67 anni resi, generalmente, obbligatori per il ritiro dal lavoro da quella normativa. Con le dovute eccezioni di anticipo: lavori usuranti, Ape Sociale, Opzione Donna, Isopensione, Contratto di Espansione e Quota 103. Lo è di sicuro per la Lega. Che ha più volte rivendicato il compimento di questa azione attraverso le cosiddette “Quote” – da 100 a 103 – che sono, in realtà, “finestre” per lavoratori che abbiano avuto una carriera lunga e continua e rientrino in parametri anagrafici e contributivi di un certo spessore: Quota 103 richiede 41 anni di contributi versati e 62 anni d’età.

Ora, la maggioranza Meloni si è trovata fin dall’inizio di fronte a una situazione del Bilancio pubblico gravata dal peso di un enorme indebitamento e, sulla spinta possente dell’inflazione, da una crescita dei tassi d’interesse che moltiplica il peso di quel debito. E, ancora una volta, la promessa elettorale della riforma del sistema pensionistico è andata a sbattere contro la realtà.
La realtà non è una colpa politica; l’overpromising, l’eccedere in promesse, come ricorda l’affermazione di De Gasperi, sì. Overpromising che può trasformarsi in ansia da prestazione. Con la conseguenza, come hanno denunciato i sindacati, in particolare lo Spi-Cgil, di incappare in un “infortunio”. Un infortunio denominato “Aumento pensioni basse 2023”. Di che si parla? Nel 2007, quando ero ministro del Lavoro del secondo governo Prodi, introducemmo la quattordicesima mensilità per le pensioni più basse. Misura che è stata prorogata per tutti gli anni a seguire. Così, ha spiegato il 29 giugno il sindacato dei pensionati della Cgil, «dalla verifica effettuata su alcuni cedolini delle pensioni del mese di luglio si evince che l’erogazione della quattordicesima mensilità, frutto di un’importante conquista del sindacato risalente ormai al 2007 e ulteriormente allargata nel 2016, viene indicata sotto la voce ‘aumento pensioni basse 2023’». Passerebbe così il messaggio che dietro quelle somme ci sia una decisione del governo in favore delle pensionate e dei pensionati italiani e che possa trattarsi di un aumento che verrà garantito mensilmente. Nulla di tutto ciò è vero».

L’incidente è rientrato il giorno seguente, quando l’Inps ha annunciato che avrebbe provveduto alla revisione dei cedolini di luglio 2023. «I pensionati che nel mese di luglio 2023 – spiega un comunicato dell’Istituto – percepiranno la cosiddetta quattordicesima mensilità e l’incremento della pensione uguale o inferiore al trattamento minimo possono consultare il loro cedolino in cui sono identificate in modo separato le due voci. Si precisa che nei cedolini le due somme sono ora identificate rispettivamente come quattordicesima – legge 3 agosto 2007, n.127) – credito anno 2023, e incremento legge 197/2022. A ognuna delle voci corrisponde una nota illustrativa riportata in coda al cedolino stesso. La dicitura ‘aumento pensioni basse 2023’, erroneamente riportata per una ridotta platea di pensionati, è stata cambiata al fine di semplificare la lettura dei diversi importi specifici».

L’episodio ha, probabilmente, avuto un impatto più forte perché manifestatosi alla fine di una settimana nella quale il rapporto tra governo e sindacati, sul tema previdenziale, si è fatto, più che mai, teso. Ciò, nonostante la giusta scelta del ministro del Lavoro Marina Calderone, di cercare di mantenere aperto un canale di dialogo sociale attraverso l’incontro con i sindacati tenuto lunedì 26 giugno. Ci sono state distinte valutazioni tra i sindacati. Chi, come il segretario nazionale della Cgil Maurizio Landini ha bollato come “totalmente inutile” l’incontro con l’accordo del segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri. Chi, come il leader della Cisl, Luigi Sbarra, ha comunque apprezzato la ripresa del dialogo.

È chiaro però, a tutti, che la partita è rimandata all’autunno, quando, in base agli spazi di finanza pubblica disponibili per la legge di Bilancio per il 2024, potranno essere individuate le opzioni perseguibili. Le intenzioni del governo potrebbero essere la conferma di Quota 103 come forma di anticipo pensionistico, mentre poter andare in pensione con 41 anni di contributi senza vincoli anagrafici proposta in campagna elettorale diventa “obiettivo di legislatura”; l’allargamento a piccole e medie imprese del contratto di espansione, che prevede un regime di aiuti per la riorganizzazione delle aziende, incluso l’esodo anticipato fino a cinque anni (esteso a sette) dei lavoratori con assegno ponte a carico dei datori di lavoro; una qualche forma di promozione della previdenza complementare; la revisione e l’ampliamento dell’Ape sociale. Mentre non sono in vista garanzie in merito al ritorno alla vecchia Opzione Donna.

Nessuna indicazione per quel che riguarda i giovani, che hanno di fronte a sé carriere discontinue in regime contributivo: cioè, pensioni povere che richiederebbero qualche forma di garanzia, come propongono i sindacati.
Su tutto quanto è, intanto, piombata la sentenza della Consulta che ha giudicato incostituzionale il differimento del Tfs, cioè del Trattamento di fine servizio, corrispondente al Tfr per i dipendenti privati. L’erogazione non più rimandabile del quale appesantirebbe ulteriormente i conti dell’Inps. In merito si stanno valutando le ipotesi di intervento.
Ciò che rimane assodato in quest’inizio di estate del 2023 è l’incertezza sul futuro del sistema previdenziale italiano. Adesso, come ci ricorda De Gasperi, il problema è realizzare quello che si è promesso. Vedremo. Il prossimo appuntamento è a settembre.

L’autore: Cesare Damiano, già sindacalista e parlamentare in tre legislature, è stato ministro del Lavoro ed è presidente dell’associazione Lavoro & Welfare

Nella foto: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la ministra del Lavoro e delle politiche sociali Maria Elvira Calderone, Roma, 30 gennaio 2023 (governo.it)