L’alluvione in Romagna ha prodotto effetti devastanti non solo in pianura ma anche nelle aree interne. Adesso si tratta di riflettere sul rapporto tra lo spazio edificato, il paesaggio, il patrimonio culturale e le esigenze degli abitanti. Il racconto dal vivo per Left di una architetta, Caterina Spadoni, e di un fotografo Marco Scardovi
L'evento meteorologico che ha colpito nel maggio scorso la Romagna può e deve essere di aiuto per comprendere quello che può succedere durante un’alluvione e le possibili soluzioni per diminuirne i danni. Oltre ad un’analisi di quello che è accaduto alle città di pianura, è importante conoscere quello che è successo nelle aree interne, come nel caso di Nuvoleto, nelle colline sopra Cesena, dove una sua abitante, Agnese Palazzi, racconta le sue impressioni dopo lo sfollamento. «Questo evento - dice - ci ha messo di fronte a tante contraddizioni che caratterizzano la nostra epoca: siamo nell’era della rivoluzione digitale, ma se viene a mancare una strada non è possibile abitare un luogo». Tra le immagini più forti che gli abitanti hanno vissuto in quei giorni, continua Agnese, c’è stato «il momento dell’abbandono delle nostre case a causa delle frane. Nel momento in cui realizzi che devi selezionare accuratamente cosa mettere della tua vita in uno zaino improvvisato che sia il più possibile leggero per poter percorrere la strada accidentata, non sai bene che cosa sia importante o no: album di fotografie di famiglia? Documenti? Vestiti? Il libro che stai leggendo? Il computer? È in quel terribile momento - dice - che ti senti legato indissolubilmente a quella umanità che lascia la propria casa e che se ne deve andare a tutti i costi. A mente fredda, realizzi che il cambiamento climatico con i suoi effetti disastrosi sul mondo che conosciamo è già qui e che i nuovi sfollati climatici siamo noi».

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