La campagna per le europee è già entrata nel vivo, anche si voterà nella settimana del 9 giugno 2024. Non c’è tempo da perdere, suggerisce l’ex capitana Carola Rackete che, annunciando la sua candidatura con Die Linke, denuncia la crescita di formazioni filonaziste (Afd) in Germania. Un’onda simile si segnala, purtroppo, anche in Grecia, in Olanda, in Finlandia, in Svezia e in molti altri Paesi. Per non dire della Polonia e dell’Ungheria.
Come scongiurare questa deriva post fascista? Lo abbiamo chiesto al parlamentare europeo e scrittore Massimiliano Smeriglio, (eletto nel 2019 da indipendente nelle liste del Pd) con il quale giovedì 7 al Visionaria Urban Fest, a Roma (Garbatella) abbiamo approfondito questo e altri temi insieme agli europarlamentari Ana Miranda Paz (The Greens) e Manu Pineda (The Left).
Massimiliano Smeriglio, da dove nasce la crescita dell’ultra destra in Europa e come contrastarla?
Nasce anche dagli effetti della globalizzazione e del neoliberismo temperato che ha caratterizzato la stagione dei governi progressisti in quasi tutta Europa ed anche in Italia. Parliamo di una destra che ha una sua ben precisa ideologia e visione del mondo che dobbiamo conoscere a fondo per poterla contrastare: è una destra nazionalista, negazionista riguardo al tema epocale dei cambiamenti climatici; è una destra guerrafondaia, patriarcale, con forti sfumature razziste. Dall’India di Modi all’Ungheria, alla Polonia, alla Tunisia di Saïed che guida un governo autoritario e razzista. Ma è la stessa destra che ha governato gli Usa con Trump e il Brasile con Bolsonaro. Meloni ha annusato questo vento e ha cercato di dargli rappresentanza.
Il quadro potrebbe essere ulteriormente aggravato dai risultati delle elezioni che si terranno a novembre nei Paesi bassi e il prossimo 15 ottobre in Polonia?
In Olanda è cresciuto un movimento di agricoltori con sfumature reazionarie. Realisticamente potrebbe vincere le elezioni. Nonostante segnali di ripresa di un minimo di movimento civile e di reazione culturale in Polonia, temo, la destra vincerà di nuovo.
Quali sono le nuove caratteristiche di questo fronte di destra?
La novità è che questa destra non è più esplicitamente euroscettica, diversamente da quel che accadeva nel 2019. A ben vedere oggi si fronteggiano tre modelli di Europa: quella delle nazioni e dei nazionalismi, che riduce al minimo le istanze di una idea comunitaria europea. È l’Europa rappresentata nel Consiglio europeo, non quella espressa dal Parlamento europeo. Poi c’è l’Europa della tecnocrazia che è stata identificata come l’Europa del centrosinistra e che corrisponde ai governi tecnici che si sono susseguiti dal 2011 al 2022. Parliamo in questo caso di un modello di Europa dignitosa, che tutto sommato tiene sui diritti civili, ma non è un’Europa di sinistra, intesa come espressione della sovranità popolare e del Parlamento.
Quali politiche dovrebbero caratterizzare un’Europa di sinistra a suo avviso?
Bisogna mettere insieme diritti umani e civili, giustizia sociale e ambientale. Questa terza opzione deve rappresentare la nostra sfida. Dobbiamo essere molto ambiziosi e coraggiosi nello sfidare la destra, non sulle piccole cose, ma sull’idea di società. Loro sono patriarcali, noi siamo femministi. Loro sono nazionalisti, noi europeisti. Loro sono razzisti, noi antirazzisti. Loro negano l’emergenza climatica, noi dobbiamo fare della questione ambientale il centro del nuovo modello di sviluppo. Le tragedie climatiche che attraversano il mondo, purtroppo, non sono più al centro dell’agenda politica europea. Ripeto, noi come forze ambientaliste di sinistra dobbiamo tenere insieme la giustizia ambientale e quella sociale, anche perché a pagare i disastri climatici sono i più i poveri e chi sta peggio.
Frans Timmermans, che ora in Olanda affronta una difficile sfida nella corsa a primo ministro (per una coalizione di socialisti e verdi) ha lavorato a un Green new deal europeo, ma il progetto non è decollato, perché?
Purtroppo quell’opzione è stata sconfitta. L’Europa uscita dalle urne del 2019, da cui è nata l’idea della “maggioranza Ursula”, sosteneva il progetto di green new deal, fortemente voluto da Timmermans, e anche da un grande europeo come David Sassoli. A metà mandato quella scommessa è finita per cambi di maggioranze e anche per una certa furbizia e ambiguità del partito popolare che si è aperto alla destra dei conservatori. Meloni ha colto quella opportunità per uscire dall’angolo del conservatorismo identitario e rilanciare. Oggi questa storia è squadernata. Ma non ci siamo arresi. Abbiamo votato in continuità con l’inizio della legislatura, puntando su obiettivi ambiziosi riguardo alla neutralità climatica, per incidere sulla catena alimentare e sui processi produttivi. Ma non abbiamo più la maggioranza, perché gran parte dei popolari e dei liberali si sono spostati su un’altra linea.
Non a caso, anche in Italia, il liberale Calenda di Azione apre al nucleare, d’accordo con Salvini. Che ne pensa di questa opzione?
Io non sono d’accordo per molti motivi: per il modello di sviluppo ultra accentrato, per la pericolosità, ma anche perché in Italia ci sono stati due referendum e il popolo italiano ha scelto un altro modello di sviluppo.
Stiamo assistendo al fallimento dell’Europa riguardo alle politiche migratorie con costose e criminali esternalizzazioni dei confini e memorandum come quello firmato con la Tunisia dalla presidente della Commissione Von der Leyen con la premier Meloni. Intanto non c’è più neanche un impegno europeo al soccorso come era la missione Mare nostrum, mentre Fontex fa solo danno…
Anche su questo tema l’agenda conservatrice di destra purtroppo avanza in tutta Europa. La strategia? Negare e un po’ nascondere, molto esternalizzare. Come forze di sinistra non possiamo accettare la trasformazione di banditi del mare e criminali di guerra in interlocutori come è successo già nel caso dell’accordo con la guardia costiera libica all’epoca del governo Gentiloni e come accade oggi con l’autocrate Saïed a Tunisi. Dobbiamo chiarirci su questo punto.
Lei lo denuncia da tempo anche partecipando a missioni lungo la rotta balcanica e scrivendo reportage
Sì, in questi anni da parlamentare europeo ho avuto l’opportunità di andare sulla rotta balcanica e ho visto con i miei occhi quali drammi si consumano. All’epoca, l’attuale ministro Piantedosi era capo di gabinetto di Salvini e le sue direttive contro il diritto internazionale europeo facevano scuola. Oggi lo scenario, se possibile, è ancor più tragico.
Per i profughi ucraini è stata attivata la direttiva del 2001 che permette libera circolazione in Europa come è giusto che sia, come fare perché questo diritto venga riconosciuto anche a chi fugge da altre guerre dal Sud del mondo?
È clamoroso il doppio standard che applichiamo. Lo stato di diritto e il rispetto dei diritti civili e umani dovrebbero essere l’alfa e l’omega della politica culturale europea nel mondo, ma non è così. L’accoglienza di 4 milioni di profughi ucraini è stata importante, perché in Ucraina si muore, le città vengono bombardate dalla Russia di Putin. Ma noi non mettiamo in campo i medesimi strumenti e risorse per chi scappa da altre guerre, per chi fugge dalla Siria, dalla Libia, dal Libano, dall’assediata Palestina. È evidente che quando noi europei parliamo di stato di diritto e di diritti umani e civili non riusciamo a guardare oltre una prospettiva eurocentrica. E allora non siamo credibili, perché andiamo a due velocità.
Una questione simile riguarda il tema della guerra, l’Europa ha abdicato a un ruolo diplomatico per la costruzione della pace?
A questo riguardo a me è capitato di votare in difformità rispetto alla formazione politica a cui appartengo da indipendente (il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo ndr). La questione non è il dibattito sulle responsabilità della Russia che sono acclarate, ma come organizzare una agenda negoziale e di pace. Su questo le risposte europee sono gravemente deficitarie. A mio avviso non si può non avere l’ambizione di costituire la pace, non si può lasciare un’agenda di pace nelle mani di Paesi come la Turchia piuttosto che la Cina; non si può lasciare nelle mani del papa o del cardinale Zuppi un negoziato di pace, perché la pace non è una posizione etica o morale, è una scelta politica che attiene alle istituzioni sovrane, cioè elette dal popolo. La nostra capacità di investire e rispondere all’emergenza della guerra è stata buona. Ma sulla costruzione della pace c’è una cappa insopportabile. La Nato è una alleanza militare difensiva, non gli competono le scelte politiche. L’atlantismo sta diventando la cifra dei governi di destra più che l’europeismo. Noi dobbiamo invece rilanciare l’iniziativa strategica europea, dobbiamo rimarcare l’indipendenza e la sovranità europea rispetto a una agenda che corre tra Londra e Washington e che non è la nostra.
Riguardo all’obiettivo del 2 per cento in armamenti richiesto dalla Nato agli Stati membri entro il 2028, il cancelliere tedesco Olaf Scholtz ora frena e anche la segretaria del Pd Ellly Schlein. È sufficiente?
Rientra in quella agenda opposta a quella della destra a cui accennavamo all’inizio. Su questo dovrebbe sentirsi coinvolto in maniera seria tutto il campo democratico progressista. Io spero che questi temi – il clima, l’immigrazione, la pace, la lotta al patriarcato, la lotta al nazionalismo per rilanciare le istituzioni comunitarie (dunque europee non delle nazioni) – siano condivisi anche dal M5s, dal Pd e da tutte le forze del campo largo. Penso che l’Alleanza verdi sinistra italiana possa dare un contributo importante a questa discussione. Penso anche che ci sia lo spazio per una lista, una aggregazione di sinistra, ecologista, basta sulla giustizia sociale e sulla pace, che possa caratterizzare un pezzo di campagna elettorale in maniera importante.
Serve una lista pacifista come quella proposta da Michele Santoro?
Servono anche forme di mobilitazione dal basso come quella messa in campo da Santoro, a cui io ho partecipato e che sostengo. Penso che la questione della pace sia uno dei temi della costruzione di una agenda di trasformazione dell’Europa, ma non so se possa essere l’unico punto. A mio avviso la costruzione della pace ha a che fare con il modello di sviluppo, perché quando decidi di rimpinguare 27 arsenali per 27 eserciti stai dicendo “viva il nazionalismo” e non “viva la difesa comune europea”. Un’agenda di guerra produce crisi sulle catene alimentari ed energetiche, genera inflazione e la pagano i più poveri, senza contare che la guerra inquina tantissimo.
Al Visionaria Urban fest interverrà Yolanda Diaz,vice presidente del governo Sanchez. Ha realizzato un importante risultato alle recenti elezioni spagnole con il movimento Sumar arrivato al 12, 3 per cento. Come ministro del lavoro ha varato politiche sul salario minimo, contro i contratti precari e a termine, ha lavorato alla legge che regola i contratti di riders ecc. Può essere di ispirazione?
Io lo spero molto, seguo Sumar dall’inizio, condivido parte del mio lavoro al Parlamento europeo con Maria Eugenia Rodriguez Palop, responsabile del programma di Sumar. Ho avuto la fortuna di veder nascere questa piattaforma politica culturale che ne confedera realtà nazionali, regionali, locali, unendo culture politiche diverse: dal partito comunista spagnolo a Izquierda unida, a Podemos e tante realtà locali. Sono contento del successo di Sumar e che venendo in Italia, Yolanda Diaz, abbia scelto di venire da noi. È stata a Bruxelles per parlare con i commissari e in Francia per parlare con Mélenchon, andrà alla Festa dell’unità e viene al Visionaria Urban fest. Che abbia deciso di accettare il mio invito è motivo di orgoglio proprio per quello che stiamo cercando di fare. La cosa straordinaria di Yolanda Diaz è che è una leader donna dalla formazione politica solida, robusta, che ha declinato approcci di sinistra mettendo le mani al cuore del problema: la giustizia sociale, il mercato del lavoro, il femminismo che lei lo ha declinato come politiche attive relative alla autonomia di genere e alla tutela delle donne sul posto di lavoro. Penso che l’esperienza del governo Sachez sia molto significativa. Ad essa Diaz ha dato un contributo straordinario. Quanto alle europee penso che la spinta di Sumar possa assomigliare a quella che diede Syriza, guidata da Tsipras una decina di anni fa. Il movimento politico Sumar non è la reductio ad unum, ma uno spazio di esperienze diverse e plurali che Diaz è riuscita a mettere insieme.
L’appuntamento: Yolanda Diaz la leader di Sumar è l’ospite d’onore di Visionaria Urban fest 2023 a Roma. Dal 4 al 9 settembre, con il titolo”impronte”, è tornata la festa per la sinistra popolare nel cuore rosso della Capitale nel quartiere Garbatella. Oltre alla già vice presidente del governo Sanchez e ministra del lavoro che l’8 settembre incontra Smeriglio e Gualtieri in un incontro pubblico in Campidoglio, tantissimi i protagonisti di questa edizione- da Monica Guerritore a Sandro Portelli. Da Tridico, Ciaccheri, Marotta, allo stesso Smeriglio, Fratoianni e Bonelli e tanti altri. Fra gli eurodeputati ci sono Ana Miranda, Manu Pineda, Pietro Bartolo e Maria Eugenia Palop. La Villetta Social Lab, torna così a farsi spazio di confronto a sinistra e di resistenza, lanciando una proposta in vista delle Europee.
Autore della foto Eric VIDAL
Copyright: © European Union 2021 – Source : EP
Tratta dal sito www.massimilianosmeriglio.it