C’era una volta una monarchia in cui si poteva professare soltanto una fede e rinchiudeva gli ebrei in un ghetto. Nessun diritto umano: le libertà di pensiero, di espressione, di stampa, di voto erano negate. Il potere reprimeva il dissenso con violenza, ricorrendo all’esercito e alla pena di morte. Non c’era la scuola dell’obbligo: era considerata “un errore”. Quello Stato era lo Stato Pontificio.
Gli oltre mille anni di totalitarismo reale terminarono il 20 settembre 1870, quando i bersaglieri entrarono in Roma attraverso la breccia di Porta Pia. Fu l’apice del Risorgimento e una liberazione per chi vi viveva. Gli ebrei uscirono dal loro quartiere, i protestanti portarono a Roma le loro bibbie, gli atei cominciarono a definirsi tali. Tanti uomini e tante donne pensarono che si stava aprendo una nuova era. Non è andata esattamente così. Certo, come accadde quasi ovunque, lo scontro tra il Vaticano e il nuovo Stato durò decenni. Le élite erano anticlericali (ma raramente atee) perché vedevano nella Chiesa un ostacolo alla modernizzazione degli Stati e all’emancipazione delle popolazioni. Si statalizzarono molte proprietà ecclesiastiche destinandole a usi pubblici. Il Venti Settembre era festa nazionale e aveva un impatto simbolico fortissimo: il primo film a essere stato proiettato in Italia (davanti a una folla enorme) si chiama La presa di Roma. So bene che immaginare come poteva essere quella società richiede un grande sforzo. Provate a pensare alla Francia: bene, l’Italia, allora, era molto simile alla Francia. I cugini, nel 1905, approvarono la legge fondamentale sulla laicità. In Italia, nel 1913, i liberali di Giolitti stipularono invece un accordo con l’Unione elettorale cattolica, il Patto Gentiloni. E i due Paesi presero strade molto diverse. La Francia divenne un baluardo della democrazia, l’Italia finì nelle mani di Benito Mussolini. L’arci ateo folgorato sulla via della conciliazione firmò i Patti Lateranensi: nacquero lo Stato della Città del Vaticano e – grazie alle somme corrisposte dallo Stato – lo Ior. Il matrimonio ecclesiastico ebbe valore di legge, l’ora di religione tornò nelle scuole, il Vaticano ottenne enormi privilegi fiscali. La festa del Venti Settembre, che ormai imbarazzava il regime clerico-fascista, fu abrogata. Venne la Liberazione, ma non per la laicità. I parlamentari francesi la citarono nella Costituzione, quelli italiani vi inserirono il Concordato. Abbandonato dalle istituzioni politiche, dalla stampa, dalla Rai, il Venti Settembre finì nel dimenticatoio, tanto che noi dell’Uaar lo chiamiamo “la giornata degli smemorati”. C’era una volta un Paescon una grande voglia di laicità. C’è ancora, e ancora più di prima. Ma non c’è più una classe dirigente capace di concretizzare le aspirazioni di un popolo, mentre i clericali ne approfittano per riscrivere la storia. Alle cerimonie ufficiali del Venti Settembre ho visto cose che anche voi laici non potreste immaginarvi. Nel 2008 un delegato del sindaco Alemanno, tale Torre, fece suonare l’inno pontificio ed elencò uno per uno gli zuavi pontifici morti durante la presa di Roma. Come se alla commemorazione dello sbarco in Normandia si suonasse l’inno nazista e si ricordassero i soldati della Werhmacht. Nel 2010 fu concesso di parlare al numero due vaticano, il cardinal Bertone. Le autorità civili presenti (Napolitano, Gianni Letta, Polverini, Zingaretti, Alemanno) rinunciarono al loro discorso. Bertone glorificò il Concordato e Pio IX, l’ultimo papa re fresco di beatificazione. Ero lì, ma la Digos – con lo stile dalla polizia religiosa saudita – non mi permise di ascoltare, e non lo permise a tutti i potenziali critici di un evento orwelliano. E oggi? Fateci caso: nel centro delle vostre città vi sono ancora vie e piazze dedicate al Venti Settembre. Ci ricordano l’evento che unificò l’Italia e liberò un popolo. Il fascismo tradì quella liberazione, ma altrettanto hanno fatto i governi successivi. Il Venti Settembre non è una data qualunque: è un simbolo di laicità, di un principio fondamentale della Repubblica. Quel giorno l’Italia ebbe la sua capitale, e non può dimenticarlo solo perché, per averla, dovette fare guerra al papa.
Raffaele Carcano (Uaar) è direttore della rivista Nessun Dogma
Questo articolo è tratto dal libro di Left Porta pia 150, la riconquista della laicità.
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