Nel giorno del funerale laico di Giorgio Napolitano (del quale su Left abbiamo talora criticato le scelte, pur riconoscendo la sua statura di politico democratico) ripercorriamo la storia del suo doppio mandato con questo intervento del costituzionalista Andrea Pertici, autore del libro Presidenti della Repubblica (Il Mulino) e professore di diritto costituzionale nell’Università di Pisa
Giorgio Napolitano è stato il primo ad essere stato eletto presidente della Repubblica per due volte. La prima, nel 2006, arriva piuttosto inattesa. Infatti, nel 2004, Napolitano lascia l’Europarlamento e la sua carriera politica sembra giunta al termine. Ma il 23 settembre 2005, il Presidente Ciampi lo nomina senatore a vita per avere illustrato la patria per altissimi meriti in campo sociale. Così, quando l’anno successivo lo stesso Ciampi termina il suo mandato come Presidente della Repubblica, Napolitano si trova a Palazzo Madama e il suo nome viene presto fatto per succedergli al Quirinale. Non si tratta, in realtà, della prima scelta. Il centrodestra, sconfitto di misura nelle elezioni, reclama una scelta “bipartisan”, ma l’unico nome che soddisfa la richiesta è quello del Presidente uscente, Carlo Azeglio Ciampi, che, però, rifiutava, dicendo: «Nessuno dei precedenti nove Presidenti della Repubblica è stato rieletto. Ritengo che questa sia divenuta una consuetudine significativa. È bene non infrangerla. A mio avviso, il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato».
Il centrosinistra propone, quindi, Massimo D’Alema, che, pur con un curriculum di prestigio, appare ancora troppo al centro della scena politica e quindi difficilmente elevabile a un ruolo ‘super partes’. A fronte di tale obiezione, il centrosinistra fa il nome di Napolitano, che con D’Alema aveva condiviso l’appartenenza al Pci-Pds-Ds, ma che era ormai in una posizione assai più defilata. L’anziano senatore a vita è stimato anche nel centrodestra, che però non lo vota. Così Napolitano risulta eletto, al quarto scrutinio, con i voti della sola maggioranza. Non succedeva da molto tempo: gli ultimi Presidenti – Pertini, Cossiga, Scalfaro e Ciampi – erano stati tutti espressione di un ampio accordo parlamentare.
In un Parlamento in cui la maggioranza è stretta e il leader dell’opposizione non ha accettato la sconfitta, non si tratta di una posizione semplice. Forse anche per questo Napolitano è esigente con la maggioranza che lo ha eletto e che sostiene il governo Prodi II, tanto che quando questo, un anno e mezzo dopo, vede negarsi la fiducia, non esita a sciogliere le Camere. Le elezioni riportano al governo Berlusconi, con quella maggioranza di centrodestra che non aveva votato per Napolitano al Quirinale. La convivenza non sembra facile: presto Napolitano interviene a difesa del Parlamento, denunciando la compressione dei tempi di discussone e l’abuso dei decreti-legge e, nel febbraio del 2009, rifiuta di firmare il “decreto Englaro”. È scontro aperto, ma Napolitano tiene il punto. Intanto, quella che sembrava una maggioranza granitica si indebolisce per i contrasti tra Berlusconi e il Presidente della Camera Fini, che, dal vertice di Montecitorio, fonda un nuovo partito, presentando, alla fine del 2010, una mozione di sfiducia. Napolitano teme che questo possa mettere a repentaglio l’approvazione della legge di bilancio e quindi chiede che sia data priorità all’approvazione di questa. La richiesta, che viene assecondata, porta ad un affievolimento della spinta della nuova forza politica riconducibile a Fini e al mutamento di posizione di alcuni parlamentari, che decideranno di non sfiduciare il Governo, che rimarrà così in carica quasi un altro anno. La sua caduta arriverà per una serie di motivi, tra i quali certamente pesa molto la perdita di credibilità, soprattutto di fronte all’Unione europea, per vincere la quale Napolitano pensa che a Palazzo Chigi debba andare una persona che goda di piena fiducia a Bruxelles. Nasce così, come “Governo del Presidente”, l’Esecutivo guidato da Mario Monti, ex commissario europeo, che pochi giorni prima lo stesso Napolitano ha nominato senatore a vita. Lo appoggia uno schieramento trasversale di forze politiche di centrodestra e centrosinistra, con la ‘benedizione’ dello stesso Napolitano, che sembra ritenere che, per affrontare problemi rilevanti come quelli dell’Italia, servano riforme che solo la collaborazione tra forze politiche diverse, e ‘responsabili’, può realizzare. Quest’idea sembra accompagnare il Presidente anche nel passaggio alla nuova legislatura, quando non ritiene di affidare l’incarico di formare il Governo al leader del partito più rappresentativo, come normalmente avviene nelle democrazie parlamentari, per vedere se può raccogliere attorno a sé una maggioranza per governare, ritenendo probabilmente più adeguata una maggioranza come quella che aveva sostenuto Monti. Se questa non si riesce inizialmente a ricomporre, non se ne trova comunque una alternativa, tanto che Napolitano, ormai in scadenza, decide di lasciare al successore il compito di formare il nuovo Esecutivo. Ma anche sull’elezione del suo successore al Quirinale si crea presto uno stallo, per superare il quale serve un accordo “bipartisan”. E il Pd, Forza Italia e i centristi guidati dallo stesso Monti lo trovano solo chiedendo a Napolitano la disponibilità a rimanere sul Colle. Il Presidente, a differenza di Ciampi, accetta, ma a condizione che “tutte le forze politiche si prendano le loro responsabilità”. La richiesta, in effetti, non può che essere rivolta (anzitutto) a chi lo ha voluto confermare. E, infatti, solo una settimana più tardi si formerà un governo appoggiato esattamente da quelle forze politiche che hanno votato Napolitano. L’uscita di Berlusconi, qualche mese dopo, non cambia di molto lo schema politico grazie alla formazione del ‘partito dei ministri’ azzurri, guidati da Alfano, che si chiamerà ‘nuovo centrodestra’. Lo schema sembra addirittura rafforzarsi con l’arrivo al governo di Renzi che, particolarmente a suo agio nel guidare una maggioranza di quel tipo, le imprime una nuova spinta. E, infatti, all’inizio del 2015, Napolitano, ritenendo che una stabilità sia stata ritrovata, decide di dimettersi. Saranno gli elettori, con i referendum e le elezioni, a indicare la preferenza per altre soluzioni, ma la differenza di idee è l’essenza della politica. Napolitano ha cercato di risolvere le complesse questioni che gli si ponevano di fronte attraverso le sue.
In foto il presidente Giorgio Napolitano con il presidente Obama
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