Non dovremmo mai scordare che godere del privilegio di un Ssn pubblico non è affatto scontato. Eppure la progressiva dismissione della medicina territoriale, a vantaggio dei privati, non si è arrestata nemmeno dopo che la pandemia ha evidenziato l’assoluta necessità di potenziarla
Con progressiva irruenza, sta recentemente emergendo la questione “carenza di medici di medicina generale”, punta di quell’iceberg che è il programma - ormai non più occultabile - di dismissione della medicina territoriale. A sua volta organico al progetto di feroce ridimensionamento del Servizio sanitario nazionale pubblico.
Mettiamo subito sul tavolo due numeri: nel nostro Paese sono previsti poco più di 51mila medici di medicina generale (mmg), uno ogni mille persone sopra i 14 anni. Fino a pochi anni fa, nonostante un lieve calo, il sistema ha tenuto. Come prevedibile e previsto, il calo si è trasformato negli ultimi anni in un tracollo, passando per i 40.250 mmg in servizio al primo gennaio 2021 fino ai circa 35mila di oggi. Tre quarti dei quali alle soglie della pensione, a fronte di poche centinaia di nuovi ingressi. Più che un’ipotesi è ormai una triste constatazione il fatto che resteremo con grossomodo 15mila medici di base nell’arco di un numero di anni che può essere contato sulle dita di una mano.
Eccoci quindi, a 20 anni dall’avvio del piano di disfacimento della medicina generale, a raccogliere il frutto avvelenato non di un errore di programmazione ma di un pianificato “non-ricambio” dei medici in servizio, come appare evidente dalla tabella pubblicata qui a fianco.
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