"Alternativa comune" lancia un'iniziativa il 27 ottobre per un'Europa ecologista, pacifista, progressista e femminista in vista delle elezioni di giugno 2024. Partecipa anche Mimmo Lucano. «Lo sforzo è quello di costruire una rete più ampia rispetto alle proposte politiche in campo a sinistra», dice il consigliere Sergio D'Angelo, che abbiamo intervistato

La destra è al governo e la sinistra tenta di riorganizzarsi: trovare le tante tessere del puzzle, sparse per il Paese, e ricostruire una visione unitaria e alternativa della società per tentare di riconquistare la fiducia dei settori popolari.
Va in questa direzione l’appuntamento  del 27 ottobre a Napoli della rete Alternativa Comune, che riunisce appunto esperienze della sinistra civica provenienti da diverse parti di Italia. Sindaci, amministratori locali, l’eurodeputato Massimiliano Smeriglio ed anche Mimmo Lucano.
Ne parliamo con Sergio D’Angelo, eletto consigliere comunale tra le fila di Napoli Solidale, che introdurrà l’incontro e sembra essere, a tutti gli effetti, il padrone di casa.

Sergio D’Angelo


Alternativa comune si riunisce a Napoli per lanciare un nuovo progetto per le europee, chi la compone e con quali obiettivi?

La nostra ambizione è quella di diffondere la rete a livello nazionale con un appello rivolto a chi vuole contribuire a un patto eco-sociale per il clima, la democrazia, la pace e l’uguaglianza. La transizione ecologica contiene strutturalmente una forte domanda di giustizia sociale. La formula secondo cui la sinistra deve ripartire dai territori è stata così abusata in questi anni da essere diventata fonte di facile ironia. Noi invece ci stiamo provando davvero a raccordare esperienze della sinistra civica di diverse regioni italiane dal Lazio alla Lombardia, passando per Campania, Sardegna e Liguria. Non è, come afferma qualche voce incomprensibilmente critica a sinistra, la riverniciatura dello stesso edificio con tonalità più verdi. Basti vedere come si moltiplicano a livello internazionale i segnali di resistenza di chi invece vuole difendere le posizioni di rendita di un mondo inquinato e disuguale. La crisi climatica è una crisi epocale capitalistica, non a caso la destra si oppone esplicitamente al cambiamento.

Non è, però, la prima volta che operazioni come questa vengono fuori. Farete una lista alle europee o collaborerete con le altre forze del centrosinistra, come il Pd?

Noi daremo sicuramente un contributo alle prossime elezioni europee e porteremo con forza le nostre esperienze e biografie come patrimonio politico da mettere a disposizione. L’interlocuzione con le forze di sinistra ed ecologiste esistenti è strutturalmente un’ambizione del nostro percorso politico, ma le ambizioni sono un desiderio, un auspicio, un obiettivo dall’esito non necessariamente scontato. Il nuovo corso del Pd con la segreteria Schlein fa parte di questa categoria dell’auspicio, ma sappiamo tutti che il punto di arrivo proprio in questo caso non è per niente certo. Il punto è che i partiti si sono dissolti, anche una forza politica come il Pd che raccoglie mediamente un consenso intorno al 20% non ha un insediamento territoriale all’altezza dell’elettorato che aggrega. E così sul territorio questo consenso è più la sommatoria di reti intorno a questo o a quell’amministratore locale, a un deputato, piuttosto che l’articolazione di una forza politica che fa riferimento a quelle che una volta erano le sezioni e i militanti. Vedremo l’esito di questa transizione, con l’auspicio più sincero che vada nella direzione che noi auspichiamo.

Quale è il rapporto con l’alleanza Verdi Sinistra (Avs), con cui avete di certo dei tratti in comune?

AVS è sicuramente al momento una forza politica più vicina, ma in questo caso la speranza è che sappia andare oltre il rischio di autoreferenzialità di un gruppo dirigente che ha attraversato in questi anni lo scenario politico italiano dando vita a contenitori diversi sul piano formale, ma restando probabilmente sempre troppo simile a sé stesso. Auspichiamo dialogo e apertura.

Appunto, dialogo e apertura. Il gruppo Napoli Solidale continua ad allargare le sue fila, comprendendo ora anche Europa Verde. È a questo tipo di lavoro che faceva riferimento?

Le dico di più, il nostro gruppo nel Consiglio comunale di Napoli si è allargato ulteriormente, con l’ingresso delle due consigliere di Difendi la Città, Flavia Sorrentino e Fiorella Saggese, provenienti entrambe dal Movimento 5 Stelle. Oggi siamo in cinque e insieme ci battiamo contro le disuguaglianze territoriali, per un allargamento delle politiche sociali e per una città più verde con più trasporto pubblico e meno assediata dal traffico.

Crede che ci siano questioni che toccano maggiormente Napoli rispetto ad altre città?

Le questioni che affrontiamo sono questioni in parte comuni alle altre grandi città e in parte segnate da quei dislivelli esistenti fra nord e sud, che inevitabilmente condizionano molti aspetti del vivere quotidiano a Napoli. Si pensi, per esempio, che qui si concentra la maggior parte dei percettori del Reddito di cittadinanza. Di conseguenza, è molto alto anche il numero di quelli che si sono visti privare del beneficio negli ultimi mesi, in seguito alla scelta punitiva e sbagliata del governo Meloni di cancellare la misura. In una città con una forte incidenza del lavoro nero e irregolare, il Reddito aveva assicurato un maggior potere contrattuale ai beneficiari, che oggi si trovano invece di nuovo esposti senza alternative a offerte di lavoro indecenti, quando non illegali, che la stampa e i social continuano a denunciare. Quando parliamo di legalità, dovremmo sempre ricordarci che permettere la permanenza di forme odiose di sfruttamento è anche un assist alle organizzazioni criminali. L’abolizione del Reddito è addirittura un incentivo indiretto a offrire lavori sottopagati, spero che il governo acquisisca consapevolezza di questa dinamica, evitando di scaricare come già sta avvenendo la situazione sui comuni che sono enti più colpiti dal taglio delle risorse.

L’esperienza in Consiglio comunale sta svolgendo un ruolo di aggregazione e raccordo di realtà civiche e politiche simili alla vostra, come abbiamo visto, anche a carattere nazionale. Per quale motivo è stata scelta Napoli?

Napoli è la più grande città del sud, somma perciò le criticità tipiche delle metropoli a quelle di un paese con marcate differenze territoriali che hanno un carattere strutturale, endemico potremmo dire. Non bastano quindi i poteri amministrativi locali per fare tutto quello che bisognerebbe fare. Si pensi per esempio alla questione migratoria, con una quota rivelante di giovani napoletani laureati, la cui formazione è a carico delle famiglie e del territorio, ma che poi vanno a spendere altrove in altri mercati del lavoro le competenze acquisite. È una vicenda che la politica locale può intercettare solo per via tangente, ma senza la possibilità di aggredirla come sarebbe necessario. Fatta questa premessa, si potrebbe fare di più, soprattutto in termini di indirizzo e di visione, ma anche sul piano di un maggiore coinvolgimento dei cittadini nel processo decisionale.

In che senso?

La Giunta restituisce all’esterno una certa idea di impermeabilità, Napoli ha invece bisogno di percorsi partecipativi per determinare una svolta virtuosa e costruire il proprio futuro a partire dalle eccellenze. Ci trova per esempio contrari la scelta del sindaco Manfredi di non nominare un assessore alla Cultura, tenendo per sé la delega. Un capitolo a parte meriterebbe la gestione del boom turistico che, se da un lato porta con sé un introito e dei posti di lavoro, dall’altro non va pensato come monocultura turistica famelica che determina anche gravi conseguenze sulla popolazione residente. L’aumento sempre più insostenibile degli affitti, ma anche dei prezzi dei generi alimentari, sono un esempio classico e mai come stavolta calzante, senza dimenticare i costi per lo smaltimento dei rifiuti, il consumo di suolo, il sovraffollamento e molto altro.

Di certo c’è un tema che in questi giorni, tra il Medio Oriente e l’Europa, non potrete non affrontare: è la guerra. Un tema che nelle scorse settimane ha più volte messo in difficoltà esponenti politici, anche del centrosinistra. Qual è il profilo del dibattito che animerete a riguardo?

Siamo contro la guerra, per principio e come scelta concreta di convivenza pacifica fra i popoli. La guerra in Ucraina ha visto la ricomparsa di un largo conflitto in Europa, dopo la carneficina della ex Jugoslavia. Eventi naturalmente scioccanti perché, quando i fenomeni avvengono vicino a noi, si è indotti inevitabilmente a una reazione più marcata, condizionata dalla breve distanza. Non si riesce, per esempio, a non pensare che i nomi delle città e delle località riportati nei bollettini di guerra sono gli stessi dei luoghi che magari negli anni scorsi abbiamo visitato per turismo, o dove abbiamo visto giocare una partita di una competizione sportiva internazionale.
Poi, proprio la guerra in Ucraina ci ha mostrato le conseguenze sulla nostra vita. Certamente meno cruente di chi vive con le bombe che gli esplodono sopra la testa e il numero di morti da piangere che non smette mai di salire, ma anche noi comuni cittadini abbiamo pagato e paghiamo il prezzo della speculazione, dei costi energetici alle stelle e di una dinamica dei prezzi che ha fortemente indebolito il potere d’acquisto. Il termine speculazione non è casuale, perché c’è chi si sta arricchendo con gli extraprofitti mentre i popoli europei diventano più poveri, con i salari che non tengono il passo dell’inflazione. Una dinamica dagli effetti drammatici in un paese come l’Italia che non solo non fissa un salario minimo fissato per legge, ma anche caratterizzato da livelli salariali fra i più bassi dell’occidente a fronte di un costo della vita aumentato a dismisura.

E la Palestina?

Il fronte che si è aperto in Palestina, che definire nuovo sarebbe astorico, privo di memoria, è in questo scenario un allargamento dei focolai di guerra che potrebbe, in un contesto di crisi capitalistica come quella che stiamo vivendo, preludere a un’escalation dagli esiti del tutto imprevedibili. Il pensiero va naturalmente alle vittime civili di ogni parte, agli innocenti che non decidono la guerra ma ne subiscono le conseguenze.