Lo scrittore ucraino Serhij Zhadan racconta agli studenti di alcuni licei italiani come la popolazione civile vive sotto la guerra e la funzione sociale della letteratura e della cultura. L’occasione è stata la XVIII edizione del Premio internazionale città di Cassino “Letterature dal fronte”, promosso dall’omonima associazione culturale e dedicato agli scrittori contemporanei europei che nelle loro opere hanno parlato delle crisi umanitarie legate a recenti conflitti bellici.
Una particolarità di questo premio (la premiazione è avvenuta il 5 ottobre nell’aula magna dell’Università di Cassino) è che la giuria è formata dai ragazzi di alcune classi dei licei, ai quali è affidato il compito di leggere quattro libri di autori contemporanei e, tra questi, di scegliere il vincitore.
Nell’edizione di quest’anno, dedicata all’Ucraina, gli studenti hanno premiato il romanzo Il convitto (edito dalla Voland nel 2020, traduzione Giovanna Brogi e Mariana Prokopovyč), di Serhij Zhadan, ambientato proprio nelle regioni dell’Ucraina orientale dove, a cominciare dal 2014, si combatte una guerra della quale non si vede ancora la fine.
Purtroppo per motivi legati al conflitto bellico l’autore non ha potuto essere presente alla cerimonia, ma si è collegato dalla sua città, Kharkiv (la seconda città ucraina a quaranta chilometri dal confine russo teatro di violentissimi combattimenti nei primi mesi della guerra e dove i bombardamenti non sono mai cessati), ha seguito la cerimonia attraverso una traduzione simultanea e ha risposto alle domande degli studenti.
Ha dichiarato Zhadan all’inizio dell’incontro:
“Mi sembra molto importante il fatto che in questo momento si parli di letteratura che si occupa di un tema così tragico e doloroso come la guerra, è una sensazione molto strana essere uno scrittore che scrive della guerra e sulla massima prossimità con la morte e così è capitato che proprio ieri mi sono trovato nel Donbas in quei luoghi descritti nel romanzo Internat. Con degli amici siamo stati vicini alla linea del fronte a trovare dei nostri conoscenti e siamo tornati la sera tardi, ed è una strana sensazione quando ti trovi fisicamente nelle pagine descritte dal tuo libro e altrettanto singolare è la sensazione che la letteratura in queste circostanze perda la sua normale cornice, i propri confini; la realtà della guerra è molto crudele e molto forte, spesso molto più forte dei nostri tentativi di rifletterla, ma la cosa che a me pare ancora più importante in questa situazione è che la letteratura e la cultura le diano una voce, siano testimoni dei fatti. Qualcuno dei colleghi ha giustamente citato Umberto Eco, il quale scriveva che la letteratura offre la possibilità di vivere cento vite, ma allo stesso tempo la letteratura e l’arte in generale, ci offre la possibilità di ascoltare cento voci, sono le voci che solitamente non ascoltiamo quando parliamo di politica, economia o della lingua dei mass-media, invece la cultura, nella sua dimensione soggettiva e privata, ci offre la possibilità di ascoltare queste voci. Il premio nobel polacco Czesław Miłosz le definiva “le voci della povera gente povera”, delle persone intrappolate in mezzo al fuoco, nella zona teatro del conflitto bellico, nella zona della morte, e a me è sempre sembrato importante riportare la voce di queste persone, quelle che formano lo sfondo generale di questa guerra, proprio di questo parla il romanzo Il convitto, la voce degli uomini che vogliono sopravvivere e salvarsi. Ma, credetemi, la cosa che vogliamo di più è che questa guerra finisca il prima possibile, che l’Ucraina possa ristabilire la sua unità territoriale e che si possa parlare di una letteratura non di guerra, ma dell’amore, delle passioni e delle cose belle della vita. E io credo che sarà proprio così”.
Ecco l’intervista a Serhij Zhadan.
Paša, il protagonista de Il convitto, inizialmente sembra essere indifferente, sembra che voglia non sentire i rumori, le notizie della guerra con cui poi sarà costretto a confrontarsi. Questo comportamento è più simile a quello con cui le persone in Ucraina percepiscono il conflitto adesso o come lo percepivano all’inizio del conflitto?
Questo atteggiamento riguarda più che altro l’atteggiamento delle persone all’inizio della guerra. Qui è importante ricordare che la guerra non dura da tre anni, è cominciata non dal 24 febbraio 2022, ma nella primavera del 2014 e i primi soldati russi sono comparsi con le armi in Ucraina nella primavera del 2014, quasi dieci anni fa. E allora l’atteggiamento di molte persone nei confronti di questa guerra era molto diverso. E quello che volevo mostrare era proprio come un civile, una persona che non si occupa di politica si trova di fronte a scelte importanti e deve prendere posizione. È una sorta di iniziazione di un personaggio letterario che attraversa il territorio della morte e torna indietro.
Dal momento che all’interno del romanzo Il convitto il protagonista Paša più volte fa riferimento all’uso delle lingua russa, a volte si sforza di parlare in russo, soprattutto con le autorità le volevo chiedere quanto fosse importante la lingua per uno Stato, per una nazione, nella sua identità, e quanto fosse importante per unire o disunire due popoli differenti.
Questa coesistenza di queste due lingue, il russo e l’ucraino, ha una grande influenza e una grande importanza. La lingua è un elemento identitario molto importante. Ma come mi pare abbia detto Lorenzo, in realtà a livello della vita quotidiana non c’è alcun conflitto, queste due lingue coesistono e questa coesistenza potrebbe essere del tutto neutrale. A me interessava sottolineare il fatto che proprio la scelta di servirsi di entrambe le lingue fosse legata alla sua mancanza di una presa di posizione netta. La scelta della lingua in questo romanzo rappresenta un importante strumento, ma non chiarisce tutta la questione. In realtà, senza entrare nel dettaglio di questioni politiche, possiamo dire che questa non è una guerra per la lingua. I Russi sottolineano spesso che sono venuti in Ucraina per difendere la lingua russa e i parlanti in russo, ma il tragico paradosso consiste nel fatto che le loro vittime sono prima di tutto gli abitanti civili dell’Ucraina orientale delle zone dove storicamente si parlava in russo.
Si riconosce nella situazione e nei personaggi di questo romanzo? Qual è l’argomento del libro che sta scrivendo dopo questo romanzo?
Mi riconosco in alcuni di questi personaggi perché il romanzo si svolge nelle zone della regione di Luhansk dove sono nato. Conosco bene quella regione, attualmente occupata dalla Federazione Russa. Ma non posso dire che mi identifichi direttamente in uno dei personaggi, ma naturalmente loro mi sono vicini, mi sono familiari. Ed è una cosa molto dolorosa quando, negli ultimi anni, scrivo della guerra in saggi e prosa, racconto di persone con le quali sono cresciuto. Adesso sto scrivendo un romanzo dedicato ai primi mesi dopo l’invasione a larga scala dell’Ucraina. La storia si svolge nella città di Kharkiv. Il libro dovrebbe uscire nel prossimo anno.
Il romanzo Il convitto descrive un viaggio, nel cuore e nella mente di una famiglia e all’interno di un conflitto armato. Al momento, cosa è cambiato rispetto a prima della guerra?
La situazione è cambiata in modo radicale, dal momento che adesso il confine non è immaginario, oggi non è possibile oltrepassare la linea del fronte. Adesso ricorda la linea del fronte così come l’abbiamo conosciuta nella Seconda, o forse anche nella Prima guerra mondiale. Adesso è diventata una guerra completamente diversa, una guerra totale che ci riguarda tutti. Nel 2015, l’anno in cui ho scritto ed è ambientato il romanzo, se ti allontanavi quindici o venti chilometri dal fronte, ti potevi ritrovare in una situazione assolutamente normale. Adesso non è possibile prescindere o astrarsi da questa guerra, io ad esempio mi trovo a Kharkiv e quasi tutti i giorni arrivano missili russi e risuonano le sirene degli allarmi antiaerei. E proprio mentre stavamo parlando, più di una volta è risuonato l’allarme antiaereo. Una situazione molto diversa da quella di qualche anno fa.
Come i ragazzi ucraini riescono a vivere l’esperienza drammatica della guerra, conciliandola con il mondo giovanile fatto di amori, interessi, spensieratezza e speranza?
Una domanda molto interessante, ma che richiederebbe una lunga risposta con molti esempi. Perché, se da una parte in Ucraina è in corso una guerra totale con una linea del fronte lunga oltre mille chilometri, e al fronte combattono centinaia di migliaia di cittadini ucraini, dall’altra parte della linea del fronte comunque continuano a vivere decine di milioni di civili ucraini. Molti giovani adesso sono al fronte, molti altri, soprattutto donne e bambini, sono stati costretti a lasciare il Paese, ma comunque in Ucraina continuano a svolgersi concerti, serate letterarie e festival. Secondo me è una cosa molto importante e molto giusta perché a mio avviso la cultura non è un intrattenimento, non serve per distanziarsi dalla realtà della guerra, ma deve servire per salvaguardare le cose importanti, la propria identità e il proprio punto di vista sul mondo. Inoltre in questo momento la cultura ucraina possiede una funzione sociale molto importante. Quasi in tutti i concerti si raccolgono fondi per gli aiuti umanitari. Negli ultimi tempi ho presieduto molti incontri e presentazioni dove erano presenti molti giovani interessati alla lingua e alla cultura del loro Paese. Quindi possiamo dire che i giovani fondamentalmente fanno quello che hanno sempre fatto: studiano, cercano lavoro, tentano di farsi largo nel mondo degli adulti cercando di cavarsela e di trovare sé stessi. Ma la cosa tragica è che devono superare anche il trauma della guerra. Ed è importante il fatto che vogliano rimanere nel loro Paese, cercare lavoro e continuare a studiare conciliando varie cose.
Quali sentimenti stanno vivendo gli studenti di Kharkiv, rassegnazione, pausa e odio, oppure cercano qualche forma di riscatto e in che modo chiedono di poter leggere, potere studiare, fare cultura nelle scuole e nelle università?
E’ una domanda difficile perché non si può generalizzare, una domanda per uno studio sociologico, ma non bisogna essere un sociologo per comprendere che la società sta vivendo un enorme stress, e non solo i giovani, ma tutte le generazioni. Ma non credo che la società sia caduta in una depressione o sia apatica. Anche perché non abbiamo scelta, o combattiamo e rimaniamo noi stessi o scompariamo come popolo. Se voi adesso avreste la possibilità di visitare Kharkiv, vedreste che c’è il sole, ci sono i bambini che corrono a scuola, i giovani a passeggio e la gente a fare la spesa, anche se tutti i giorni la città viene bombardata, e a quaranta chilometri da qui passa il confine con la Federazione Russa. E a me sembra che in un certo senso ci sia un meccanismo di adattamento alla situazione di stress. Questo non è per forza un bene, perché da una parte alcuni sentimenti vengono oppressi, ma dall’altra parte è un modo per cercare una via d’uscita.
Ne Il convitto appare evidente la funzione distruttrice assunta dalla guerra, che sbiadisce e cancella la dignità individuale, l’onore, il rispetto e la giustizia che spettano a ciascun uomo. Effettivamente è possibile ripristinare la dignità umana dopo un conflitto che l’ha messa in discussione?
La capacità di resistenza nasce proprio nel momento in cui una persona percepisce il pericolo per la propria dignità. Se vi ricordate bene, le manifestazioni sul Majdan di dieci anni fa furono chiamate “rivoluzione della dignità”. Quando la società sta attraversando un periodo di ingiustizia, quando la legalità non è osservata dallo Stato, ma viene messa in pericolo, in quel momento la gente comincia spontaneamente a mobilitarsi per resistere. Ed è proprio quello che è successo in Ucraina negli ultimi anni. Quando nel 2022 i primi carri armati russi sono comparsi nei sobborghi di Kharkiv, molte persone che non si occupavano di politica hanno preso le armi per difendere la città. Proprio perché era in gioco la dignità. Qualcosa del genere accade anche al protagonista del romanzo Il convitto che a un certo punto comprende che non a essere minacciata non è solo la sua famiglia, ma la sua dignità.
Nella foto: Sergey Zhadan, Euromaydan Rock for change, Kharkiv, 2013 (Wikipedia)