L'ambiente e la cultura di un intero territorio nel Sud del Paese sono a rischio per l'arrivo del Corredor, un mega progetto statunitense che dovrebbe essere l'alternativa al canale di Panama. Ecco le testimonianze degli abitanti e degli attivisti che da mesi protestano

Foto @ElSurResiste

La guerra contro i popoli indigeni del Messico ha un nuovo nome: Tren Maya. Nella carta, il “treno dei maya” è solo una linea ferroviaria che attraverserà e collegherà, per aprirle al turismo di massa, quelle terre del Messico meridionale dove, prima dell’arrivo dei colonizzatori europei, prosperava l’antica civiltà precolombiana. Ma il Tren Maya è non solo questo. La rete ferroviaria è inserita in un mega progetto che prevede la realizzazione di una grande arteria chiamata Corredor, per metà ferroviaria e per l’altra metà autostradale con l’obiettivo dichiarato di collegare le due sponde oceaniche del Paese, quella Atlantica e quella Pacifica, dal porto di Coatzacoalcos, a Est, a quello di Salina Cruz, ad Ovest.

Lavori nella foresta Foto @ElSurResiste

Siamo nell’istmo di Tehuantepec, nel Sud del Paese, dove il continente americano si restringe sino a che i due grandi oceani distano l’uno dall’altro poco più di 200 chilometri, prima di tornare ad allargarsi nella penisola dello Yucatan. Il progetto del Corredor di Tehuantepec prevede, oltre a questa grande arteria di comunicazione, anche la realizzazione di ben dieci grandi aree industriali, l’ampliamento dei due porti sopracitati e delle rispettive raffinerie, la realizzazione ex novo di un terzo stabilimento per la lavorazione del petrolio al largo della costa di Dos Bocas, dove verranno posate una serie di piattaforme petrolifere per sfruttare i giacimenti fossili del mar dei Caraibi.
Da sottolineare che il porto di Dos Bocas, si trova a due passi da El Bosque, un paese di pescatori che negli ultimi anni, in brevissimo tempo, è stato divorato dal mare a causa del mutare della corrente del Golfo imputabile ai cambiamenti climatici.

Il Corredor che minaccia di cambiare per sempre la geografia del Centroamerica e di fare piazza pulita, oltre che di quello che rimane della selva tropicale e della sua biodiversità, anche della cultura degli ultimi discendenti dei maya, è nato ai tempi della presidenza di Ronald Regan negli Stati Uniti. Ma è solo nel 2020 che i lavori sono cominciati, complice l’arrivo della pandemia che ha impedito le mobilitazioni popolari nelle piazze.

E con l’avanzare dei lavori, sono avanzate anche le violenze nei confronti dei popoli originari i cui villaggi avevano il solo torto di trovarsi lungo il percorso del Tren. Nella sponda atlantica del Paese e nello Yucatan intere comunità indigene sono state sgomberate con la forza e chi si opponeva ha subito aggressioni, intimidazioni e violenze. Nei territori zapatisti del Chiapas, sulla sponda occidentale del Messico, decine di attivisti sono state feriti con armi da fuoco o da taglio per mano di ignoti legati alle organizzazioni di narcotrafficanti. Edifici comunitari sono stati incendiati da gruppi paramilitari che godono del sostegno delle istituzioni federali, campi di mais che davano sostegno alle comunità, sono stati devastati da improvvisate esercitazioni dell’esercito su mezzi pesanti.

Proteste sui binari Foto @ElSurResiste

L’obiettivo del Corredor è principalmente quello di trovare un’alternativa al canale di Panama come arteria di passaggio delle merci da un oceano all’altro. Un’alternativa che gli Stati Uniti considerano strategica, dopo che la sovranità del canale è tornata ai legittimi proprietari, i panamensi, e si è conclusa l’occupazione militare Usa. La crescente ed inarrestabile influenza della Cina su Panama inoltre, ha reso la realizzazione dell’opera ancora più urgente per l’economia degli Stati Uniti.

Per quanto riguarda il costo dell’opera, il Governo federale del Messico ha stanziato quest’anno poco più di 21 miliardi di pesos, equivalenti a circa un miliardo e 76 milioni di euro, per la sola linea ferrotranviaria. La realizzazione dei poli industriali invece, viene valutata sui 50 miliardi di pesos (più di due miliardi e mezzo di euro). Cifre che, diamolo pure per scontato, sono destinate e crescere.

Ma, se la regia dell’opera è nordamericana, la realizzazione del Corredor si affida ad imprese europee. Su tutte, la Deutsche Bahn, la società ferroviaria tedesca, che ha giustificato la sua partecipazione all’operazione come un incentivo “umanitario” allo sviluppo di un’area economicamente arretrata.
L’ufficio comunicazione della Deutsche Bahn si è messo d’impegno per far passare il Tren Maya come una sorta di ecologico “trenino Disney” che scarrozzerà i turisti su parchi archeologici, portando ricchezza in aree oggi difficilmente accessibili perché coperte dalla foresta tropicale o perché utilizzate dalle comunità che vi praticano un’agricoltura di sostentamento. Ma anche senza voler considerare l’impatto ambientale del turismo di massa in una zona ricchissima di biodiversità, va considerato che la realizzazione di questo treno implicherà un radicale cambio di paradigma sociale in questi territori comunitari dove gli indigeni hanno realizzato autogestioni sul modello delle autonomie zapatiste del Chiapas.

Terreni ieri economicamente improduttivi, sono stati messi in vendita ed acquistati da affaristi senza scrupoli, gli indigeni sgomberati a pistolettate da bande di paramilitari prezzolati e la selva spianata con le ruspe per far posto a cantieri edili dove sorgeranno resort di lusso in cui i ricchi rampolli nordamericani andranno divertirsi ed a consumare quelle droghe che nel loro Paese sono vietate. Proprio la droga infatti, gioca un ruolo non indifferente in questa speculazione edilizia alla cui base ci sono capitali che in America latina solo il narcotraffico può mettere a disposizione.

Manifestazioni contro il Corredor, foto @ElSurResiste

Per tutta l’estate, nelle città del Tabasco, del Campeche, del Chiapas e degli altri Stati del Messico meridionale, gli indigeni hanno organizzato manifestazioni contro il Corredor e in difesa della Madre Terra, gridando “Este tren no es maya, este tren es militar”. Questo treno non è maya, questo è un treno militare. Manifestazioni che, il più delle volte, sono state represse violentemente dai blindati dell’esercito.

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Proprio l’esercito messicano gioca un ruolo cruciale nell’operazione, e non soltanto come strumento repressivo o di difesa dei cantieri. “In Messico la legge consente alle forze armate di ‘fare impresa’ come una qualsiasi azienda privata – spiega Chasqui Camilo, attivista indigeno -. Le Forze armate possono presentare progetti, dirigere i lavori, dettare i tempi, assumere personale civile e anche ad appaltare a ditte terze”. Una procedura per certi versi simile al nostro “commissariamento” che ha, per di più, il vantaggio di scavalcare qualsiasi norma di tutela ambientale ed evitare i controlli sulle spese e le verifiche di bilancio. Il tutto, ovviamente, con il ‘nobile’ scopo di portare a compimento il più velocemente possibile un’opera ritenuta di supremo interesse nazionale.

“E quando dall’altra parte della barricata c’è l’esercito – continua Camilo – e la scusante del ‘supremo interesse’ della nazione, è difficile anche adire a vie legali. Inutilmente i nostri avvocati si sono appellati alla legge e alla Costituzione messicana che, anche se solo sulla carta, dovrebbe tutelare i diritti dei popoli originari”.

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Solo in un caso, la comunità di Porto Madera ha ottenuto una sospensiva dei lavori della realizzazione di una area industriale nel suo territorio comunitario. Per tutte risposta il loro portavoce, David Hernandez Salazar, è stato sequestrato per settimane ed è stato liberato solo in virtù una grande mobilitazione popolare. Hernandez non ha potuto comunque evitare di essere messo a processo per una serie di accuse quantomeno artificiose mossegli dagli avvocati delle forze armate.

“David ha comunque dimostrato che la battaglia per i diritti dei popoli originari e per la costruzione di un mondo libero dal capitalismo può essere vinta – commenta Andrea Mazzocco, autore del libro Economia comunitaria indigena, edito da Ombre Corte -. In tutto il Messico, è in atto un processo volto alla realizzazioni di grandi opere strategiche che implicano un riordinamento territoriale nel quale le autonomie indigene non hanno spazio. L’aumento delle aggressioni e delle intimidazioni agli indigeni dimostra solo che, senza l’uso della forza, il sistema capitalista non sopravviverebbe a lungo”.

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In primavera, Mazzocco, come attivista di Ya Basta Êdî Bese, ha guidato una folta delegazione di attivisti e giornalisti europei e americani, tra i quali chi scrive, in una carovana organizzata dall’esercito zapatista (Eznl) e dal congresso nazionale indigeno (Cni) per documentare le devastazioni del Corredor Interoceánico.

“Il Corredor ha anche una precisa funzione geopolitica di frontiera esternalizzata – sottolinea Mazzocco – Il progetto punta a tagliare in due il Messico lungo l’istmo di Tehuantepec con una arteria industriale costellata da caserme militari. Per i migranti diretti a nord il Corredor sarà solo l’ennesimo muro. Come già accade a Monterrey, il loro destino sarà quello di essere trasformati in manodopera ricattabile e facilmente sfruttabile nelle aree industriali con la complicità delle istituzioni federali e l’aiuto della organizzazioni criminali”.
No, questo treno decisamente non è maya!

Il libro

Riccardo Bottazzo è giornalista e scrittore. Si occupa di ambiente, migrazioni e movimenti dal basso. Ha scritto per Altraeconomia Disarmati. Paesi senza esercito e altre strategie di pace, in cui ha raccontato come alcuni Stati abbiano rinunciato ad avere un esercito: dalle isole Marshall ad Andorra fino al Costa Rica e altri ancora. Nel libro ci sono approfondimenti sulla situazione attuale del mondo pacifista con l’analisi del rapporto tra l’apparato militare e le questioni relative ai cambiamenti cliatici, il diritto internazionale, i bilanci statali.