Sono circa 675mila i profughi siriani legalmente registrati in Giordania; a questi vanno aggiunti tutti quelli non registrati. Per un Paese che conta 10 milioni di abitanti, si può capire quanto pesi un numero così elevato di stranieri, per la stragrande maggioranza arrivati tra il 2011 e il 2013 in seguito allo scoppio della guerra civile. Per quanto siano trascorsi più di dieci anni e in questo tempo si sia instaurata una forma di convivenza civile tra le due popolazioni, i problemi rimangono molti e quello dell’istruzione dei rifugiati è uno dei principali. Emarginazione, povertà e abbandono scolastico sono solo alcune delle difficoltà che la comunità siriana incontra tutti i giorni, mentre gli aiuti umanitari sono sempre più scarsi in quella che rischia di diventare a tutti gli effetti una crisi dimenticata.
Se già in Italia quando le classi superano le 20 unità l’atmosfera comincia a essere claustrofobica, come ogni docente sa benissimo, allora si può solo immaginare come debba essere in Giordania dove arrivano a contare fino a 60 alunni contemporaneamente. Di norma le classi sono composte da un numero compreso tra i 30 e i 60 allievi, con buona parte degli studenti che rimane seduta per terra, non essendoci abbastanza spazio per le sedie o seggiole a sufficienza per tutti. In un contesto che già di suo può essere definito una sfida per ogni insegnante con un minimo di amor proprio, il fatto che i docenti poi siano chiamati ai doppi turni senza alcun beneficio economico risulta una vera e propria provocazione per l’intero mondo scolastico.
Funziona infatti così il sistema educativo in Giordania: i bambini giordani e quelli siriani non vanno a scuola insieme. Essendoci un numero molto elevato di stranieri, l’orario è stato diviso in due turni: la mattina i giordani, il pomeriggio i siriani. Per quanto possa essere comprensibile la separazione degli studenti in due gruppi distinti, non tanto per ragioni sociali quanto per questioni pragmatiche (il livello dei siriani infatti non è quasi mai lo stesso dei giordani, spesso perché hanno perso degli anni a causa della guerra), ciò che risulta davvero impossibile da comprendere è l’organizzazione generale della didattica. I docenti del pomeriggio infatti sono gli stessi della mattina, sono obbligati da anni a fare i doppi turni e a svolgere lo stesso identico programma due volte al giorno, senza ricevere alcun compenso per le ore aggiuntive.
«Si capisce che degli insegnanti che lavorano in questo modo siano scarsamenti motivati. È inevitabile, non ne traggono alcun beneficio. Le energie poi vanno tutte al mattino, il pomeriggio si limitano a far copiare agli studenti ciò che dettano o scrivono alla lavagna; non c’è alcuna sperimentazione didattica. In questo modo i bambini siriani, che già partono svantaggiati, escono dalla scuola primaria con delle lacune enormi e il rischio è che si ritrovino a 14 anni senza saper leggere o scrivere. Noi interveniamo per evitare che questo succeda», ha dichiarato a Left Anna Winkler, coordinatrice di Noiva in Giordania, una ong svizzera che si occupa prevalentemente di educazione. «Questo non significa che tutte le scuole siano così. Alcune sono molto buone ma in generale la qualità dell’istruzione per i siriani è molto bassa».
Le attività di Noiva si svolgono principalmente a Mafraq, la città con il secondo numero più alto di profughi siriani in Giordania, dopo la capitale Amman. Il progetto consiste nel formare i genitori volontari – soprattutto mamme – per poter insegnare l’arabo e la matematica di base ai bambini della comunità siriana. Le lezioni si svolgono a casa loro, sono organizzate in gruppi di una decina di studenti, e si tengono tre o quattro volte alla settimana. «Diamo anche un piccolo compenso economico ai docenti-volontari, che in questo modo non sono più disoccupati. Certo, i genitori non sono degli insegnanti e non possono sostituirsi ad essi, ma trattandosi dei loro bambini e della loro comunità sono altamente motivati nel fare ciò: così vengono compensate le carenze del sistema scolastico».