Con il disegno di legge sul premierato voluto dalla destra si alterano gli equilibri costituzionali e si riduce il pluralismo, mettendo a serio rischio la tenuta democratica del Paese
Iniziamo dal principio. Il disegno di legge costituzionale, recante Introduzione dell’elezione diretta del presidente del Consiglio dei ministri e razionalizzazione del rapporto di fiducia, approvato dal Consiglio dei ministri il 3 novembre 2023, è di matrice governativa, ma ormai questo non scandalizza più nessuno: vent’anni di riforme costituzionali di parte (inaugurate nel 2001 con la riforma del Titolo V varata dal centro sinistra) e di sudditanza della politica al dogma della governabilità sono state efficaci nel relegare nella soffitta della storia l’idea della Costituzione come patto sociale e della democrazia come pluralismo e discussione. La provenienza, del resto, non è che un sintomo del fascino, tradotto in norme, che il decisionismo esercita, con il suo sostrato di populismo. Certo, la riforma in sé è un evergreen quanto a strumento di distrazione sociale e marketing politico, ma c’è di più: il rafforzamento dell’esecutivo è un fiume carsico che a tratti affiora, mentre, sotterraneo, erode gli equilibri costituzionali. Non solo: è tutt’altro che estraneo alle esigenze della weltanschauung neoliberista dominante che, nel 2013, per voce della J. P. Morgan, lamenta la debolezza degli esecutivi, e ancor prima, nel 1975, con le parole della Trilaterale, l’eccesso di democrazia. Il premierato disegnato dalla riforma meloniana è torbido. È torbido perché minacciosamente fosco nel perseguire l’ossimoro della democrazia del capo e torbido perché mescola in una soluzione disgregata elementi incoerenti. Ancora. Il diritto è parte di un contesto storico e di fronte abbiamo un humus sociale intorbidito da passività, autoreferenzialità, omologazione, facile preda di logiche identitarie, di primitive dicotomie “amico/nemico”, in uno spazio spoliticizzato che espelle il conflitto e reprime il dissenso. Squilibri costituzionali, riduzione del pluralismo e mistificazione della sovranità popolare Essenza del costituzionalismo, e di una democrazia costituzionale, è la limitazione del potere, che si declina anche come equilibrio dei poteri. Il coacervo maldestro di norme del disegno di legge che dovrebbero stemperare l’immagine dell’uomo (o donna che sia) solo al comando per cinque anni intorbidisce le acque ma non ferma l’erosione dei poteri del presidente della Repubblica e del Parlamento. Presidente della Repubblica. Pensiamo al potere di nomina del presidente del Consiglio: si prevede che il presidente della Repubblica conferisca l’incarico all’eletto dai cittadini, in prima istanza, come in seconda (nell’ipotesi, invero “curiosa”, che il Parlamento non gli abbia concesso subito la fiducia). Il ruolo è meramente notarile.

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