Io penso che questo millennio si caratterizzerà per questo scontro culturale: è possibile pensare per gli esseri umani, donne e uomini, che ci sia una possibilità di sviluppare una propria identità libera da ogni identificazione con qualcun altro? È possibile immaginare di superare la scissione tra mente e corpo che da più di 2000 anni viene proposta come unica possibilità per esercitare un pensiero? È possibile immaginare un pensiero nuovo che non stabilisca come principio ultimo quello del mors-tua vita-mea? Sono idee forti e valide per la costruzione di una sinistra nuova

Come orientarsi nella realtà attuale? Quali punti di riferimento possiamo trovare o sperare di avere?
Ciò che fino a qualche anno fa sembravano scenari da film di fantascienza si sono materializzati. L’Europa abituata a vivere in una pace e in una prosperità che sembravano resistenti a qualunque crisi, si è ritrovata prima con una pandemia che ha messo a dura prova il sistema economico e culturale e poi con due conflitti, uno dei quali mai pensato veramente possibile e un altro che ripropone uno scontro che va avanti da decenni per non dire da secoli senza che si sia ancora delineata veramente una possibile via d’uscita.

Pandemia e poi guerra. Prima abbiamo dovuto far ricorso al nostro essere esseri umani per collaborare tutti insieme alla soluzione di una crisi che coinvolgeva tutti gli esseri umani, a prescindere da ogni linea di frontiera. Poi ci siamo ritrovati a dover capire come orientarci, come comprendere questo fenomeno di ritorno della volontà di potenza delle grandi potenze internazionali. In questo certamente realizzando che le velleità europee di poter contrastare la potenza militare solo con l’economia.

Sicuramente gli storici comprenderanno quali sono stati i motivi più o meno latenti di queste guerre. E certamente verranno alla luce grandi interessi economici, come sempre è accaduto con le guerre.

A me interessa però sottolineare l’aspetto culturale di questo ritorno al passato.
Le guerre, con le loro assurde atrocità, con l’unica logica possibile dell’uccidere per non essere uccisi, ha bisogno di ideali di supremazia e potenza per essere alimentata.
Ha bisogno di propagandare la non umanità degli altri, dei nemici. E anche chi è al di fuori del conflitto viene trascinato inevitabilmente nel prendere posizione.

L’aspetto culturale di una guerra è allora la proposizione di una ineluttabile e naturale disumanità degli esseri umani. La proposizione di una supremazia di un gruppo, di un’etnia o di una popolazione che vive in un determinato luogo rispetto a quelli che vivono al di là di una linea immaginaria, perché gli altri non sono realmente esseri umani. Lo sono meno.

La guerra ha bisogno di un dio che sancisca la giustezza delle posizioni. Qualcosa di completamente astratto che dia il consenso ai soldati nell’obbedire agli ordini disumani di distruggere e uccidere altri esseri umani.

Noi che siamo fuori dal conflitto che possiamo fare? Siamo costretti a subire quanto accade facendo la nostra vita, la nostra storia quotidiana fatta di piccole cose, non sapendo come reagire.

Siamo costretti a disinteressarci delle atrocità che accadono. Anche se in realtà non è mai del tutto vero. E ci ritroviamo a subire un macabro sottofondo, una continua litania propalata dai grandi media, che la realtà umana è quella della guerra, dell’omicidio dell’uno sull’altro.

Siamo investiti quotidianamente da un continuo flusso di propaganda che ci dice questo. E non conta chi sia il nemico. La cosa che conta è l’idea che c’è sotto: non pensiate che sia possibile un altro mondo, non pensiate che sia possibile un altro pensiero, non pensiate che sia possibile una vita diversa.

Quando in realtà la stragrande maggioranza degli esseri umani vive la propria vita non solo senza mai fare male a nessuno ma nemmeno pensando come ipotesi di far male a qualcuno. Non è vero che la realtà umana è per la distruzione degli altri e questa è una cosa che tutti sappiamo.
Ma poi dobbiamo arrenderci alla realtà dei fatti. E anche nel quotidiano troviamo quella assurda ferocia, quella violenza senza motivo che non riusciamo a capire.
Il drammatico elenco di femminicidi che si sono succeduti in particolare con quello di Giulia che ha scosso profondamente l’opinione pubblica potrebbe farci pensare che non ci sia niente da fare.

In realtà no, io credo che dobbiamo osservare attentamente e più profondamente. L’accusa verso il cosiddetto “patriarcato” non è una semplice critica ai “maschi” della specie umana ma nasconde secondo me qualcos’altro che io ritengo una novità storica.

Non è stato detto chiaramente che quello che si contesta è, in verità, forse il principio cardine più importante della società moderna basata sul logos occidentale: quello per cui l’identità umana sarebbe per identificazione ed in particolare per identificazione con il padre. La critica al patriarcato è la critica ad una società che si basa sul concetto di identificazione con il padre come fondamento della società. Concetto di identificazione con il padre che significa anche che l’unico pensiero esistente sia un pensiero di tipo razionale, escludendo e cancellando ogni altra possibilità di pensiero che non sia logico e razionale. Escludendo cioè il pensiero dei bambini e delle donne.

L’identificazione con il padre significa che l’essere umano non ha una propria identità. Non può sviluppare un proprio pensiero autonomo. La realtà umana sarebbe quella di ripetere all’infinito la vita di qualcun altro. L’irrazionale viene ucciso e relegato ad essere uno “spirito religioso”, un tendere verso la spiritualità, l’assenza del corpo. Ad un essere buoni perché qualcuno ci spiega che è giusto così, non perché sia una tendenza naturale degli esseri umani.

Io penso che questo nuovo millennio si caratterizzerà per questo scontro culturale: è possibile pensare per gli esseri umani, donne e uomini, che ci sia una possibilità di sviluppare una propria identità libera da ogni identificazione con qualcun altro? È possibile immaginare di superare la scissione tra mente e corpo che da più di 2000 anni viene proposta come unica possibilità per esercitare un pensiero? È possibile immaginare un pensiero nuovo che non stabilisca come principio ultimo quello del mors-tua vita-mea?

Sono idee forti e valide per la costruzione di una sinistra nuova. Ed è una vera tristezza vedere la pochezza di pensiero di chi afferma che l’unico reale leader di una sinistra sia il papa che in realtà, anche per come viene chiamato (papa!) è il rappresentante più significativo del patriarcato.

Con Left sono tanti anni che proponiamo alla sinistra proprio un pensiero e una teoria di questo genere. Più volte abbiamo detto che le 4 lettere che compongono la parola Left sono le 3 della rivoluzione francese con la t di trasformazione, intendendo con questa parola ricordare la capacità che hanno gli esseri umani di trasformare se stessi, il proprio pensiero e il proprio essere. Trasformazione che è possibile nel rapporto con gli altri.

L’uguaglianza va affermata stabilendo che essa si realizza alla nascita come formazione di un primo pensiero di rapporto con un altro essere umano. Questo primo pensiero è universale, cioè di tutti gli esseri umani in quanto specie specifico.

La libertà è invece fantasia, possibilità di immaginare un mondo diverso, ed è libertà nella misura in cui è un pensiero che non ha intenzione di ledere gli altri ma è un pensiero di rapporto con gli altri.

La fraternità ci ricorda che siamo esseri sociali. Noi siamo perché gli altri sono e gli altri sono perché noi siamo.

La trasformazione è la possibilità di ricreare se stessi ogni volta diversi, affermando un no verso il disumano che può comparire nell’uomo ma che va, appunto, rifiutato.

 

In foto un’opera di Banksy sul muro tra Gerusalemme e Betlemme all’altezza di Qalandia checkpoint. Foto di Maureen from Buffalo, USA – West Bank wall at Kalandia, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=105353122