«Essere antifascisti oggi significa anche lottare contro le ingiustizie, essere contro una società di pochi ricchi/straricchi mentre c’è gente molto sfruttata sul lavoro», dice il figlio di Aldo, terzogenito dei sette fratelli Cervi fucilati dai fascisti al poligono di tiro di Reggio Emilia il 28 dicembre del 1943

Il 28 dicembre 1943, 80 anni fa, i sette fratelli Cervi, catturati dai repubblichini fascisti nella notte tra il 24 e 25 novembre e rinchiusi nel carcere politico dei Servi a Reggio Emilia, vennero tutti fucilati, in quanto antifascisti e partigiani, dai repubblichini presso il poligono di tiro di Reggio Emilia. Tutti e sette verranno decorati con la medaglia d’argento al valor militare. Anni dopo la guerra, presso la casa colonica dove la famiglia Cervi arrivò nel 1934, è sorto il Museo Cervi per ricordare la loro storia. Il padre dei sette fratelli, Alcide Cervi, scrisse il libro “I miei sette figli” che fece conoscere questa storia in tutto il mondo grazie alla traduzione in molte lingue. Per questo triste ma importante anniversario abbiamo inetrvistato Adelmo Cervi, figlio di Verina Castagnetti e Aldo Cervi terzogenito dei sette fratelli fucilati, molto attivo nel preservare la memoria storica della sua famiglia.
Adelmo Cervi, qual è stato il suo rapporto con suo nonno, Alcide Cervi, e come le ha raccontato l’episodio, ormai divenuto una tradizione, della “Pastasciutta antifascista”?
Eravamo tanti nipoti quindi non è stato e non poteva essere certo un nonno esclusivo. Era un uomo buono, saggio, ed abbastanza severo sulle cose perché voleva che si facessero bene, ed io ho avuto un rapporto di grande affetto con lui. Mi ricordo che il 25 aprile 1965, per il ventesimo anniversario della liberazione dai nazifascisti, io lo accompagnai a Milano, lui ormai era diventato un mito “papà Cervi”, dove gli fecero fare una sfilata su una macchina scoperta, come fanno ad esempio col papa, e venne sommerso di affetto con strette di mano e abbracci, tanto che si schermì con alcuni imbarazzato da tanto slancio. Comunque mio nonno era sempre molto disponibile, non diceva mai di no, e andava dovunque lo chiamassero. L’idea della Pastasciutta antifascista nacque da mio padre Aldo, che propose di offrirla a tutto il paese per festeggiare la deposizione di Mussolini il 25 luglio 1943. Così andarono a un caseificio presero due caldaie, usate per il formaggio, e fecero quintali di pasta con burro e formaggio da distribuire alla popolazione. Sono contento che sia diventata una tradizione, l’anno scorso per esempio l’ho chiamata “la pastasciutta dell’Adriatico” perché sono partito dalle Marche fino ad arrivare a Reggio Calabria, facendone una dietro l’altra e sono anche ingrassato un po’.
Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha deciso di non rinnovare l’accordo con l’Anpi, che permetteva all’associazione di entrare nelle scuole con suoi membri, partigiani e storici, per fare lezioni su Costituzione e Resistenza. Il ministro si è poi giustificato promettendo di aprire un nuovo protocollo con l’Anpi aperto a tutte le altre associazioni partigiane. Ad oggi però è tutto fermo. Lei cosa ne pensa?
Penso che non si possa lasciar passare questa cosa come se fosse indolore. Non possiamo permettere che questo governo faccia una cosa del genere; io la reputo inconcepibile. L’Anpi dovrebbe avere il dovere e il diritto di entrare nelle scuole così come tutti quelli che si rifanno alla lotta antifascista. Non trovo neanche le parole per dire quanto mi indigni questa decisione del ministro Valditara. Certo, mi rendo conto che da governo come questo, il più a destra dalla fine della seconda guerra mondiale, ci potesse essere il rischio che si verificasse una cosa di questo genere. Se il ministro non ci ripensa e non cambia posizione, a mio modo di vedere, come Anpi, dovremmo organizzare grandi manifestazioni di piazza contro questa decisione, perché non si può lasciar passare una cosa così senza fare una battaglia democratica.
Lei ha scritto un libro “I miei sette padri”, sulla storia della sua famiglia, da cui quest’anno è uscito un docufilm omonimo. Dove nasce l’idea del libro e l’idea di trasformarlo in un docufilm? Dove sarà possibile vederlo?
Inizialmente avevo scritto un libro su proposta della casa editrice Piemme Voci, dal titolo “Io che conosco il tuo cuore, Storia di un padre partigiano raccontata da un figlio”, ma poi chi mi aveva coinvolto se ne è andato dalla casa editrice, così ho deciso di scriverne un altro dal titolo “I miei sette padri”, che da diversi anni  ormai presento in giro per l’Italia. Per l’80° anniversario dell’eccidio di mio padre e dei miei zii, i fratelli Cervi, ho deciso di trasformare il libro in un docufilm. Dura 55 minuti, la regia è di Liviana Davì, mentre la produzione è di Grabinski Point APS insieme a oltre 600 coproduttori: istituzioni, associazioni, gruppi e compagni e compagne antifascisti che hanno reso possibile la sua realizzazione. Giro l’Italia, assieme alla regista Davì, per presentare il docufilm anche in molti cinema, però non ha una distribuzione siamo noi le sue gambe quando veniamo invitati. Io non dimenticherò mai il 28 dicembre 1943, l’obiettivo è non farlo dimenticare nemmeno alle nuove generazioni al fine di fargli capire gli orrori del fascismo, contro chi ancora oggi non riesce a dire di essere antifascista o magari dice che il fascismo ha fatto cose buone.

Quanto è importante, e cosa significa, essere antifascisti oggi?
Essere antifascisti dovrebbe essere un obbligo per ciascuno di noi. Dobbiamo pensare, che tutte le persone che hanno combattuto e/o hanno perso la vita, nella lotta contro il nazifascismo, lo hanno fatto per consegnare la libertà e la democrazia al popolo italiano. Quindi essere antifascisti oggi, secondo me significa anche lottare contro le ingiustizie esistenti, essere contro una società di ricchi/straricchi gente opulente mentre c’è gente molto sfruttata a lavoro, quando ce l’ha, e non riesce a far quadrare i conti, significa essere dalla parte dei migranti, da quella delle donne, da quella degli ultimi e in definitiva dalle parte di tutte quelle persone che subiscono sopraffazioni. Servirebbe equità, ed invece viviamo all’interno di una società con straricchi che si arricchiscono sempre di più e poveri che si impoveriscono ogni giorno di più. Io dico sempre che mio padre ha combattuto per avere anche una società più giusta rispetto a quella capitalistica. Di conseguenza essere antifascisti oggi significa combattere non solo contro i nuovi possibili fascismi e per evitare che la storia venga stravolta o dimenticata, ma significa lottare anche contro le ingiustizie che ho detto, e soprattutto rispettare ogni giorno la Costituzione e battersi affinché possa venire davvero attuata. Purtroppo devo constatare che siamo ancora ben lontani dalla società che si prefigurava mio padre o da quella che dovrebbe nascere da una seria attuazione della nostra Costituzione.

foto di apertura di Alcide Cervi – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=59694472

Andrea Vitello è specializzato in didattica della Shoah e graduato a Yad Vashem. Ha scritto il libro, con la prefazione di Moni Ovadia, intitolato Il nazista che salvò gli ebrei. Storie di coraggio e solidarietà in Danimarca, (Le Lettere 2022). Scrive su Pressenza e su Left

Link trailer docufilm https://www.youtube.com/watch?v=d9fJzqkoZ44