Ecco come gli adolescenti affrontano il tema della violenza contro le donne, dopo l'uccisione di Giulia Cecchettin. Il racconto di un insegnante su come la scuola può diventare un luogo che favorisce le relazioni umane
Era il 21 novembre e come ogni martedì mi stavo preparando ad entrare in classe per svolgere una lezione di matematica. Quel giorno avevo preparato un’attività di geometria sulle figure equivalenti. Osservata velocemente la classe per vedere se c’era qualche assente, avevo avvisato che alle 11 ci sarebbe stato un minuto di silenzio in memoria di Giulia Cecchettin. Subito i ragazzi avevano iniziato a discutere animatamente. «Professo’ gli ha dato un sacco di coltellate», «L’ha lasciata lì in un parcheggio», «Dicono che Turetta era normale, ma per me non lo era». Mi ero ritrovato a rispondere a una marea di domande su come e perché potesse essere successo un fatto del genere e poi era arrivato il minuto di silenzio... «Il silenzio a volte fa tanto rumore», aveva esclamato una ragazza appena era suonata la campanella che indicava la fine del minuto e il dibattito tra loro era continuato. Tornato a casa avevo ripensato a quanto successo in quelle due ore in classe e a tutte le riflessioni fatte dai ragazzi. Era giusto parlare di certe cose con loro? “Secondo gli altri non si dovrebbe parlare di questo a questa età perché è presto, ma per noi è corretto che se ne parli per conoscere il mondo per quello che è”, mi avrebbero detto poi. Quando li rividi a scuola il giorno dopo, chiesi loro se volessero continuare a parlare ancora di tutto quello che avevamo affrontato, dicendo che in caso lo avremmo fatto il giorno dopo. Molti di loro erano entusiasti. «Non vedo l’ora che venga domani per parlare di questa cosa», mi disse una ragazza nel corridoio.

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