«il problema - che spesso causa forti disagi - non è dentro ma fuori di noi, nella società, nel patriarcato», dice Silvia Gallerano, regista dello spettacolo «per sole donne» in scena all'Auditorium di Roma dal 10 al 17 gennaio. Una ricerca corale che propone spunti di riflessione sull'identità femminile

Svelarsi non è un semplice spettacolo, è un momento di raccoglimento e, nello stesso tempo, di condivisione; un’occasione per una riflessione profonda. La “Serata evento per sole donne e chi si sente tale”, come recita il sottotitolo, è in programma all’Auditorium Parco della musica di Roma dal 10 al 17 gennaio. Svelarsi è di e con Giulia Aleandri, Elvira Berarducci, Smeralda Capizzi, Benedetta Cassio, Livia De Luca, Chantal Gori, Giulia Pietrozzini, Silvia Gallerano con il contributo di Serena Dibiase e la voce di Greta Marzano, con regia e coordinamento di Silvia Gallerano.

Le protagoniste dello spettacolo “Svelarsi”

Per consentire l’ingresso al maggior numero di donne possibile, è stato ideato il “biglietto sospeso”, ovvero la possibilità di acquistare un biglietto da devolvere a qualcuno che non può permettersi l’acquisto.
Della ricerca che c’è dietro lo spettacolo abbiamo parlato con Silvia Gallerano, artista che con il suo ribaltamento del concetto di nudità ha dato il via al progetto.

Silvia Gallerano, come e quando è nata l’idea di Svelarsi? Che valore attribuisce alla nudità e cosa rappresenta il corpo nello spettacolo?
L’idea dello spettacolo è nata nell’ambito di alcuni laboratori che ho cominciato a fare diversi anni fa, dopo lo spettacolo La merda, in cui ho sperimentato per la prima volta la sensazione della nudità in scena e l’ho vissuta come un’esperienza liberatoria e, soprattutto, rivelatoria di un’identità e di una potenza femminile di cui non avevo piena consapevolezza. Per assurdo, la nudità, poiché generalmente subita, viene associata a una condizione di debolezza, alla pornografia e all’erotismo, insomma a un’oggettificazione del corpo femminile. Al contrario, ho compreso che se agita in maniera forte e consapevole, sprigiona un grande potenziale creativo e identitario.

E quindi cosa è successo?
Tutto questo mi ha incuriosito, così ho iniziato ad organizzare dei laboratori con altre donne per capire se questa fosse una mia percezione personale o un sentire comune. Da questi workshop è emerso quanto il mio sentire fosse condiviso e, quindi, abbiamo continuato a lavorare sul tema della nudità a partire dal mio testo teatrale, relativo a tutte le umiliazioni che la protagonista si infligge per rispecchiare i canoni imposti dalla società. Insieme ci siamo confrontate su tutte le costrizioni che il nostro corpo deve subire per poter essere conforme alle richieste di una società a dominazione maschile e da questo lavoro è venuto fuori che spesso ci sentiamo inadatte ed inadeguate quando, in realtà, sono le richieste che ci vengono imposte ad essere sbagliate, inadatte e inadeguate. Ovvero, il problema – che spesso causa forti disagi – non è dentro ma fuori di noi, nella società, nel patriarcato. Parola che solo adesso è stata ripristinata.

Svelarsi si può considerare pertanto come un lavoro corale, in cui le attrici in scena sono anche autrici? Insomma, l’opera è frutto di un dialogo?
Assolutamente sì. Il progetto è nato nell’ambito di questi laboratori. Tra il 2018 – 2019 abbiamo cominciato a lavorare in maniera assidua con un gruppo di ragazze più giovani, poi con il Covid abbiamo sospeso. Ma, grazie al sostegno di Michela Cescon e del Teatro Dionisio, dopo la pandemia siamo riuscite a trasformare i laboratori in uno spettacolo. Mantenendo sempre lo spirito dell’esperimento. Infatti, durante lo spettacolo cerchiamo di coinvolgere anche le spettatrici e di trasmettere loro questa sensazione di potenza e liberazione che cresce anche nella dimensione collettiva. Per questo, più che autrice, mi considero coordinatrice degli interventi che ogni attrice ha sviluppato. Diciamo che se le attrici fossero state altre, anche lo spettacolo, penso, sarebbe stato diverso, perché è costituito da contributi molto personali ma che comunque, nella dimensione corale, acquistano una valenza collettiva.

Qual è il “capitolo” che scuote emotivamente di più?
Sicuramente la parte dedicata ai “sensi di colpa” è forte, lo abbiamo visto anche nelle repliche realizzate intorno al 25 novembre. Si tratta di un argomento molto delicato che trattiamo in maniera dinamica creando un vero switch, un cortocircuito emozionale, attraverso un potente climax; perché cominciamo da un sentimento per arrivare ad un altro, ma non vorrei “svelare” troppo….

Va benissimo… Secondo lei qual è il primo passo da fare per cambiare la percezione che le donne hanno di loro stesse?
Penso che la dimensione collettiva, lo stare insieme, sia estremamente positivo per noi donne. Dovremmo capire che le altre donne non sono “nemiche” o “rivali” ma persone che, come noi, subiscono le stesse dinamiche depotenzianti e sopraffattorie. In passato, come ha ricordato Simonetta Crisci, avvocata ed esperta in storia femminista, ad un incontro che abbiamo fatto con degli studenti, tutte le grandi battaglie che abbiamo vinto come donne, le abbiamo vinte perché eravamo insieme. Quindi, penso che questa possa essere una chiave. Anche perché la condivisione, lo scambio, aiuta a cambiare il punto di vista e a capire che, spesso, quello che pensiamo sia sbagliato in noi, in realtà deriva da un’imposizione sociale esterna che incombe e grava come una condanna su tutto il genere femminile ma che unite possiamo estirpare. Insomma, lo stare insieme ci permette di elevare la nostra posizione, di assumere un ruolo attivo; di passare dalla sottomissione all’azione.

Le donne per lei sono vittime?
Non credo, cioè non credo che dovremmo esserlo. Penso che la storia ci abbia attribuito un ruolo. Un ruolo in cui abbiamo sguazzato. Una sorta di posizione comoda, passiva, rassegnata. Per questo penso che il motivo per cui il femminismo non ama chiamare vittime le persone che subiscono violenza sia proprio perché questo termine ci pone, come donne, in una posizione di passività; mentre abbiamo la possibilità di rispondere ma la acquisiamo solo nel momento in cui ci rendiamo conto che la condizione di vittima non è connaturata in noi ma frutto di un retaggio storico in cui siamo state relegate. Quindi, possiamo decidere di uscirne benissimo.

Pensa che attualmente, anche alla luce dei recenti fatti di cronaca, sia in corso un cambiamento?
I cambiamenti sono sempre in corso. Mi ha stupito il grande movimento che ha suscitato l’omicidio di Giulia Cecchettin, coinvolgendo persone che normalmente non vengono toccate da questi avvenimenti e molti uomini. Anche coloro che hanno risposto in maniera fastidiosa, sentendo la necessità di mettersi sulla difensiva, hanno mostrato un cambiamento, nell’essere quantomeno consapevoli della loro coda di paglia e, dunque, non del tutto estranei all’accaduto. Penso che il cambiamento adesso lo dovrebbero fare gli uomini, cominciando a ragionare sul maschile, sulle costrizioni che il loro ruolo dominante impone. Certo, mettere in discussione una posizione di potere è molto difficile, però credo dovrebbero iniziare a porsi delle domande sul significato di essere uomini in una società in cui gli uomini sono i padroni.

Cosa volete provocare con questo spettacolo?
Uno smottamento delle certezze. Un movimento. Noi non proponiamo verità ma spunti, domande e riflessioni. Penso che il lascito più grande di Svelarsi sia quello di offrire un altro punto di vista attraverso cui guardare la realtà

Qui il link per il biglietto sospeso:

https://gofund.me/c2b37810