«Quello del Veneto e della Lombardia è l’egoismo dei ricchi in un Paese a disuguaglianza crescente», diceva già nel 2018 Gianfranco Viesti, autore di un bestseller contro l'autonomia differenziata. Riproponiamo qui la lungimirante intervista che gli fece nel 2018 Pietro Greco e che dette il la all'impegno di Left contro questa controriforma che spacca l'Italia e nega l'uguaglianza dei cittadini e che oggi, più che mai, rilanciamo

Il Senato il 23 gennaio ha dato il via libera al ddl Calderoli che vara l’autonomia differenziata, una riforma eversiva e secessionista la definiva il professor Gianfranco Viesti già nel 2018 in una conversazione con il giornalista e divulgatore scientifico Pietro Greco (1955-2020), che molto ci manca e anche per questo qui riproponiamo.

Nel 2023 il professor Viesti ha pubblicato con Laterza il libro Contro la secessione dei ricchi. Autonomie regionali e unità nazionale.

La petizione è stata lanciata da un gruppo di docenti e studiosi, primo firmatario Gianfranco Viesti, professore di economia dell’Università di Bari. E ha subito raggiunto le diecimila firme. Si rivolge al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ai parlamentari e a tutti i cittadini italiani. Ed è piuttosto allarmata. Perché, è scritto: «Il Veneto, la Lombardia e sulla loro scia altre undici Regioni si sono attivate per ottenere maggiori poteri e risorse. Su maggiori poteri alle Regioni si possono avere le opinioni più diverse. Ma nei giorni scorsi è stata formalizzata dal Veneto (e in misura più sfumata dalla Lombardia) una richiesta che non è estremo definire eversiva, secessionista». Un tentativo di secessione silenziosa, da contrastare.
Perché, professor Viesti?
Vede, la Costituzione italiana si fonda sull’uguaglianza dei cittadini. E su un principio di solidarietà fra i cittadini che prende forma con la tassazione progressiva. La fiscalità generale serve ad assicurare alcuni servizi fondamentali – la difesa, la sicurezza, la sanità, l’istruzione – a tutti, a prescindere dal loro reddito e dal luogo di residenza. Ebbene, l’iniziativa del Veneto e della Lombardia mette in discussione l’eguaglianza nei diritti di cittadinanza. Contro lo spirito della Costituzione. Un grande tema politico.
Non è una sorpresa.
Io non sono sorpreso dall’atteggiamento della Lega, che guida quelle due Regioni ed è nella maggioranza di governo. La Lega si muove con coerenza. La sua è una politica miope ma coerente: per una parte del Paese contro l’altra. Quello che mi sorprende è il silenzio pressoché assoluto degli altri partiti, compresi quelli di opposizione. Questa proposta non incontra alcuna resistenza. Di più. Non suscita alcun dibattito; nonostante sia per molti versi eversiva.
Perché eversiva? La Lombardia e il Veneto in fondo chiedono maggiore autonomia, non di staccarsi dall’Italia.
Io e i firmatari della petizione non abbiamo nulla contro una maggiore autonomia delle Regioni. Ma è indispensabile entrare nel merito. Su alcune materie l’autonomia può essere basata su ragioni forti. La prima regione ad appellarsi all’articolo 116 della Costituzione e a chiedere autonomia è stata la Toscana, per i beni culturali. Difficile essere contrari, gridare allo scandalo. Ma le iniziative del Veneto e, in buona sostanza, anche della Lombardia sono di tutt’altra natura. Vogliono il trasferimento di poteri non su alcune materie, ma su tutte quelle per cui è teoricamente possibile. Comprese quelle che riguardano diritti fondamentali. Per esempio vogliono regionalizzare la scuola.
Cosa muove queste Regioni?
Principalmente l’egoismo economico. Non vi sono, come in Catalogna o anche nei paesi Baschi motivazioni culturali e linguistiche.
Ma si può parlare a suo avviso di ampliamento degli spazi di autonomia delle Regioni? È possibile un’Italia federale?
È opportuno un equilibrio fra i poteri: un Paese come l’Italia non può essere, a mio avviso, né completamente accentrato né completamente decentrato. Il grado di autonomia regionale può crescere un po’. Ma a condizioni chiare: che ci siano evidenti motivazioni per cui attribuire maggiori poteri su specifiche materie a specifiche Regioni; che a deciderlo sia il Parlamento, in rappresentanza dell’intero Paese e non certo solo le Regioni che li richiedono; che siano tutelati i diritti fondamentali di tutti i cittadini italiani. Personalmente sono contrario alla regionalizzazione della scuola: sono a favore della scuola pubblica italiana e non della scuola veneta o lombarda.
Invece, cosa chiedono il Veneto e la Lombardia?
Chiedono tutto. Perché lo scopo è quello di ottenere tanti soldi che accompagnino le nuove competenze: molti di più di quelli che ora sono spesi dallo Stato nei loro confini. Questo è il punto chiave: sono i soldi il motore primo del processo. E chiedono, fra l’altro, al Parlamento nazionale di rinunciare alle proprie competenze: di votare una delega in bianco al governo, in modo che le specifiche condizioni, di merito e finanziarie, siano decise da una commissione tecnica Veneto-Italia.
Professor Viesti, la secessione silenziosa non riguarda solo la dimensione politica e istituzionale. Si sta consumando nei fatti, le due Italie invece di convergere divergono sempre più.
Quello di Veneto e Lombardia è l’egoismo dei ricchi in un Paese a disuguaglianza crescente. Con la grande crisi, si è accentuato un riparto asimmetrico dei sacrifici richiesti: l’aumento della disuguaglianza è frutto anche di scelte di politica economica che hanno penalizzato molto di più i cittadini e le aree più deboli del Paese. La pressione fiscale – a parità di reddito – è più alta al Sud. Sul fronte della spesa si stanno ridisegnando i grandi servizi pubblici nazionali: è il caso dell’università ma anche della sanità. Chi ha meno reddito ha meno diritti sociali. Con l’“autonomia rafforzata” questo processo potrebbe fare un grande balzo in avanti: le Regioni Veneto e Lombardia chiedono che i meccanismi di calcolo per il riparto delle risorse fra le Regioni per finanziare i servizi sia fatto tenendo presente anche il reddito dei cittadini. Più a me che sono più ricco, meno a te che sei più povero.
Che tipo di politica è questa?
È sostanzialmente secessionista: restiamo insieme solo per la difesa, la politica estera e l’appartenenza all’Europa; per il resto “padroni in casa nostra”. È autolesionista. La storia ha dimostrato che l’integrazione (nazionale, europea) è sempre vantaggiosa. Nel mondo contemporaneo “non ci si salva da soli”. Quando a competere sono giganti come gli Stati Uniti, la Cina, la Russia, l’India: quale sarebbe il potere di incidere del Veneto o della Lombardia? Praticamente nullo. La verità è che possiamo competere con quei giganti solo con un’Italia forte, in tutte le sue regioni, e inserita in un’Europa molto più coesa e capace di quella di oggi.
Però in questa vicenda della “secessione dei ricchi” una grande responsabilità la hanno anche le classi dirigenti del Sud: politiche, economiche, intellettuali.
Beh, la secessione silenziosa non riguarda solo il Sud ma tutti i cittadini italiani. Certo, il Sud, più debole, ne subirebbe le maggiori conseguenze; ma lo stesso vale anche per il Centro. Il fatto è che le classi dirigenti e i cittadini non stanno percependo quando sta avvenendo. La Lega, che propone questa politica, sta cercando di accrescere il consenso politico nel Centro-Sud: per questo non vuole che si parli di questi temi, che ne svelerebbero la persistente natura nordista. Ma gli altri partiti sembrano accettare questo gioco; frange del Partito democratico inseguono addirittura la Lega su questi temi. E le classi dirigenti politiche del Centro-Sud, in grandissima maggioranza, tacciono.

L’intervista è tratta da Left del 21 settembre 2018, dal titolo Bella Ciao

Nella foto: comitato NoAd a Bari, giugno 2021 (facebook Contro ogni autonomia differenziata)

Per approfondire, il libro di Left di dicembre 2023 Repubblica una indivisibile euromediterranea