Mentre la marcia dei trattori a Roma si è rivelata un flop, è sempre più necessario un cambio di paradigma nella produzione agricola e nella politica della Ue chiamata a sostenere l'agricoltura di qualità e ecosostenibile e i diritti e la dignità di tutti i lavoratori agricoli

Trattori provenienti da varie Regioni hanno fatto ritorno a Roma con i loro veicoli agricoli per partecipare alla manifestazione organizzata dal Cra Agricoltori Traditi. Rispetto al clamore, la manifestazione è stata un flop. Dodici mezzi agricoli hanno attraversato la città, dando vita a un corteo che si è snodato fino al Circo Massimo, mentre circa un migliaio di persone si sono riunite nell’area del Centro storico per partecipare all’evento. Tra i partecipanti annunciati Giuliano Castellino, condannato a 8 anni per un assalto fascista alla sede nazionale della Cgil, al quale la questura ha vietato l’ingresso alla manifestazione.
La sigla Riscatto Agricolo, che nei giorni scorsi aveva manifestato in varie province italiane, da nord a sud, ha fatto un passo indietro dando un giudizio positivo dell’incontro con il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e dai parziali sgravi sull’Irpef iscritti nel Milleproroghe. Il movimento di protesta degli agricoltori, cavalcato dalla Lega e che ha riscosso molta attenzione mediatica, appare ora frammentato in decine di organizzazioni, includendo da ex leadership dei forconi ai gruppi di complottisti, fino ad abbracciare anche frange di matrice neofascisteggiante.
Ma cosa ha portato gli agricoltori di tutta Europa a scendere in piazza? La grande distribuzione indubbiamente li strozza, insieme alla logistica e all’industria delle trasformazione. Nella filiera produttiva sono senz’altro soggetti deboli. «Compriamo in euro e vendiamo in lire», ha detto uno dei manifestanti con una metafora che rende chiara la proporzione.  Ma non si può dire che l’Europa non li aiuti, una ingente porzione del bilancio europeo è destinata al sostegno dell’agricoltura. Ma i piccoli e medi imprenditori agricoli scesi in piazza ce l’anno con gli accordi commerciali internazionali dell’Ue, sostenendo che favoriscano una eccessiva liberalizzazione delle importazioni di prodotti agricoli da Paesi terzi. (Nei fatti, però, l’accordo con il Mercosur è congelato). Inoltre, sono state criticate le nuove misure della Politica Agricola Comune (Pac), che limitano l’agricoltura intensiva imponendo la messa a riposo del 4% dei terreni a seminativo. (Ma anche a questo riguardo l’Europa ha aperto alla messa a coltura di questi terreni con piantagioni che hanno un ciclo produttivo breve). Le proteste riguardanti le politiche agricole europee del Green Deal di fatto sono state già da tempo ammorbidite, in risposta a queste proteste. Troppo spesso mettendo fra parentesi gli obiettivi di riduzione delle emissioni clima alteranti. E non è un buon segno. «Le politiche green non devono finire sotto le ruote dei trattori», ha scritto in una nota il segretario generale della Flai Cgil Giovanni Mininni, che rimarca la necessità di un cambio di paradigma nella produzione agricola e da parte della Ue chiamata a sostenere l’agricoltura di qualità e ecosostenibile e i diritti e la dignità dei lavoratori agricoli, tutti, a cominciare dai braccianti sfruttati e vessati dal caporalato.
Secondo Davide Fiatti della segreteria nazionale della Federazione Lavoratori Agro Industria Flai Cgil, «Negli anni passati fino a oggi è totalmente mancato un pensiero di ristrutturazione e programmazione del settore agricoltura sia da parte dei produttori che della politica. Le richieste degli agricoltori durante le proteste possono funzionare per dare respiro sull’immediato ma non vanno assolutamente a incidere in prospettiva. Bisogna ripensare il modo di coltivare per incidere meno sul pianeta, se no l’agricoltura italiana fatta di piccole aziende e piccoli proprietari terrieri è destinata a morire».
Un pensiero confermato dai dati. L’Osservatorio Città Clima di Legambiente, infatti, ha pubblicato un report che però non ha scosso adeguatamente né la politica italiana né l’opinione pubblica: il 2023 è stato segnato da un aumento senza precedenti degli eventi climatici estremi, mettendo a dura prova il Paese di fronte al cambiamento climatico in atto. Secondo i dati più recenti dell’Osservatorio, il numero di eventi meteorologici estremi registrati nel 2023 ha superato di gran lunga qualsiasi altro anno del decennio precedente, con un totale di 378 episodi avversi. Tutto questo, oltre a portare disagi e qualche volta purtroppo anche lutti (31 nel 2023), ha generato anche un impatto economico rilevante, soprattutto nell’agricoltura. Il settore agricolo italiano ha subito infatti un duro colpo nel corso del 2023 a causa degli effetti devastanti del cambiamento climatico.

Il rapporto annuale dell’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA) ha rivelato un calo significativo nella produzione agroalimentare, portando l’Italia al terzo posto nella graduatoria UE per valore alla produzione. La causa principale di questo declino è stata la siccità implacabile che ha caratterizzato gli ultimi due anni. Secondo i dati dell’ISMEA, i danni al settore agricolo italiano si stimano intorno ai 6 miliardi di euro, con un impatto particolarmente grave su settori chiave come la frutta e la verdura. Le previsioni per la fine dell’anno non lasciano spazio all’ottimismo, con cali significativi nelle rese di prodotti come le ciliegie (-60%), le pere (-63%), il pomodoro (-12%) e la vendemmia, mentre la produzione di miele ha subito un crollo del 70% rispetto all’anno precedente.
Anche settori tradizionalmente robusti come il vino e l’olio non sono sfuggiti all’impatto negativo del cambiamento climatico. L’olio ha registrato un calo del 27% nella produzione, mentre il settore vinicolo ha subito una diminuzione del 12% rispetto all’anno precedente.
Ma l’Europa è davvero cieca e sorda alle richieste degli agricoltori? A causa delle proteste scatenatesi in tutto il continente, il Parlamento Europeo ha respinto il regolamento che mirava a ridurre del 50% l’uso dei pesticidi entro il 2030, a favore di metodi alternativi, sebbene la misura fosse considerata necessaria per proteggere la fertilità del suolo e la salute umana. Anche la proposta di trattare le stalle come fabbriche, l’allevamento produce un quinto del gas serra antropico, scatenando una forte reazione nel mondo agricolo, ha ottenuto l’esclusione degli allevamenti intensivi di bovini dal testo finale.
Eppure clima e agricoltura sono un nodo inestricabile dipendendo una sillogicamente dall’altra e se in questo contesto di sfide e cambiamenti climatici senza precedenti, non troviamo la necessità di raggiungere un dialogo più stretto tra agricoltori, istituzioni e organizzazioni ambientaliste, senza demagogie e campanilismi in vista delle prossime elezioni difficlmente questo settore potrà far germogliare nuovi semi.

Nella foto: manifestazione al Circo Massimo, Roma, 15 febbraio 2024